SLA, un farmaco potrebbe farla regredire
L’Italia contribuisce significativamente ad uno studio su un nuovo tipo di farmaco che fornisce risultati incoraggianti

La sclerosi laterale amiotrofica, nota anche come SLA, è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che provoca una progressiva perdita di controllo delle più importanti attività muscolari colpendo i motoneuroni. Chi ne è affetto perde gradualmente il controllo di funzioni vitali quali camminare, respirare, parlare, impugnare gli oggetti. Per queste ragioni, e per il veloce degenerare delle condizioni di chi ne è affetto, è considerata una malattia estremamene debilitante. Fino ad oggi quello che i malati di SLA si sono sentiti ripetere più spesso è che “non esiste una cura in grado di guarire dalla sclerosi laterale amiotrofica”. Lo studio pubblicato il 22 settembre 2022 sull’autorevolissimo The New England Journal of Medicine, invece, ci offre dei risultati che potrebbero cambiare questa realtà.
Il Centro regionale Esperto per la Sla, dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, e parte del Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi Montalcini” dell’Università di Torino sono stati gli unici centri italiani – e uno dei pochi nel mondo- ad essere stati coinvolti direttamente nella conduzione dell’indagine, contribuendo con il maggior numero di pazienti per la sperimentazione descritta nello studio. Avviato nel 2020, è stato incentrato sui benefici del farmaco Tofersen su pazienti affetti da SLA. I risultati hanno dimostrato un rallentamento e, in alcuni casi, un’inversione della progressione clinica della malattia. Il Tofersen è un oligonucleotide antisenso (ASO) che opera selettivamente sull’Rna messaggero, filamento nel quale è contenuta l’informazione genetica che permette la genesi della proteina alterata nel caso della SLA, bloccandone la sintesi. La terapia viene somministrata mediante puntura lombare, e tale metodica è molto ben tollerata.
Le fasi dello studio
Lo studio sperimentale ha coinvolto 108 pazienti affetti da Sla con mutazione nel gene SOD1 divisi in individui a rapida e lenta progressione. La sperimentazione del farmaco ha avuto due fasi: una prima di sei mesi, ed una seconda di estensione dello studio tuttora in corso. Il trattamento risulta essere efficace nelle persone portatrici del gene mutato SOD1, nelle quali è stata rilevata una significativa riduzione della proteina alterata del gene. Il professor Adriano Chiò, direttore del centro di Torino, ha affermato che si tratta di un “risultato clinico straordinario, mai osservato precedentemente nel trattamento della Sla. L’effetto positivo del farmaco si manifesta in modo netto nel corso del primo anno di trattamento e successivamente persiste nel tempo”. Ovviamente, essendo una sperimentazione, ci saranno altre fasi: una nuova sperimentazione internazionale, questa volta sul gene FUS, sempre con il coinvolgimento in primo piano del centro regionale esperto per la Sla dell’ospedale Molinette, che lavorerà al progetto trainato da gruppi di ricerca statunitensi, insieme a soli altri tre centri di alta specializzazione in Europa.
Leggi anche