La scorsa settimana WhatsApp è andato offline per alcune ore. L’improvviso disservizio della popolare applicazione di messaggistica (la più utilizzata in Italia) ha generato il panico tra gli utenti, creando più di qualche problema collaterale anche ad altre aziende.
Ad esempio a TIM: l’amministratore delegato della telco italiana ha recentemente manifestato il suo fastidio per i frequenti down di WhatsApp. Quando succedono episodi di questo tipo, spiega Pietro Labriola, gli utenti danno per scontato che sia un problema del loro operatore e non del social network. Morale? Migliaia di utenti si riversano sul servizio di assistenza di aziende come TIM, chiedendo delucidazioni per un problema che, tuttavia, non dipende in alcun modo da loro. «L’ultimo episodio ci è costato oltre 40.000€», ha detto Labriola. E chi paga? Una domanda retorica, perché a quanto pare l’azienda di Zuckerberg, che ha sede negli Stati Uniti, non ne vuole proprio sapere.
Nel caso specifico, le chiamate verso l’assistenza clienti di TIM sono aumentate del 310%. Un picco di traffico insostenibile, che ha ovviamente prolungato i tempi d’attesa per tutte le persone che dovevano risolvere un problema effettivamente di responsabilità o competenza dell’operatore telefonico. Sono oltre 65.000 gli italiani che hanno telefonato, nell’arco di tre ore, al servizio clienti di TIM.
Il paradosso è che in quelle 3 ore TIM ha sostenuto tutti i costi dell’informazione, senza che questo portasse alcun beneficio ai nostri clienti. Ce lo dice chiaramente l’indice di soddisfazione che monitoriamo alla fine di ogni contatto con il call center, che è sceso addirittura di 1 punto nella scala da 1 a 10
tuona l’AD di TIM. Che aggiunge:
Questo paradosso mette in luce un aspetto economico importante: a un Operatore come TIM 3 ore di queste informazioni al cliente costano circa 40.000 euro. Gli OTT non hanno alcun obbligo, di conseguenza non sopportano alcun costo e ribaltano l’effetto del disservizio sugli operatori delle telecomunicazioni