Come si suol dire, non c’è due senza tre ed ecco che Mike Flanagan torna su Netflix con una sua personale serie tv, dopo i fasti del duetto di The Haunting (Hill House / Bly Manor) e di Midnight Mass, acclamati per la commistione intelligente di horror squisitamente jump scare e terrore psicologico, con interessanti tematiche di fondo. The Midnight Club cerca di seguire questo tratto distintivo, distanziandosi però per via di alcuni elementi: vediamo quali nella nostra recensione.

The Midnight Club… o Piccoli brividi?

A differenza dei due precedenti serial, in questo caso abbiamo una trasposizione dal romanzo omonimo scritto da Christopher Pike e originariamente pubblicato nel 1994. Non si tratta della prima opera traslata da un originale cartaceo, per il cineasta, che già due volte ha portato in live action Stephen King (senza grande successo, peraltro: ma del resto, quante trasposizioni di successo esistono da quest’autore così difficile da portare al cinema?). Quanto questo lo abbia aiutato e quanto invece messo in difficoltà è difficile da decidere, ma è un particolare degno di nota. Così come degno di nota è il passaggio della demografia del target a cui è dedicato The Midnight Club, che affronta sì tematiche spaventose e anche importanti, ma lo fa dal punto di vista di un gruppo di adolescenti. Pike, del resto, è sempre stato un autore di horror young adult, e la scelta di trattare questa fascia dev’essere stata pienamente consapevole da parte di Flanagan.

La storia è quella di Ilonka, brillante diplomanda piena di aspettative per il futuro che vede spezzarsi non solo (quasi) ogni suo sogno, ma anche ogni speranza di sopravvivere abbastanza a lungo da festeggiare i diciannove anni. Vita da college, velleità intellettive e lavorative, prospettive amorose, tutto va a rotoli quando riceve la diagnosi di un tumore maligno che non vuole saperne di reagire alle terapie. Siamo agli inizi degli anni ’90, la scienza medica sembra non poter nulla contro il suo male. All’accanimento terapeutico la ragazza preferisce, in accordo con un riluttante quanto premuroso patrigno, il trasferimento in un hospice specializzato in malati terminali adolescenti, sito tra i boschi. Non è solo la tranquillità che Ilonka cerca: ha scoperto che in quella struttura, tanti anni fa, una ragazza sofferente della sua stessa patologia è miracolosamente guarita dopo un breve soggiorno. Incuriosita e assurdamente speranzosa, la giovane si trasferisce e indaga, nonostante la diffidenza dell’altrimenti amabile direttrice Stanton. Qualcosa di strano, effettivamente, quel posto lo ha: cosa sia, però, è difficile da mettere a fuoco. Sarà colpa della setta che lo abitato per alcuni anni, decenni prima? I suoi nuovi “amici” dell’istituto sembrano non saperne nulla, ma in compenso hanno molto da raccontare, storie del terrore comprese…

Coming of age

The Midnight Club procede, parallelamente, su tre vie: l’indagine di Ilonka sulla guarigione miracolosa, le storie di vita degli ospiti di Brightcliffe Home e le storie del terrore che questi si raccontano, ogni notte, in consesso nei sotterranei dell’istituto. E un giuramento vige tra di loro: il primo che morirà cercherà in tutti i modi di dare agli altri la prova che la vita continua, in un modo o nell’altro.
Il Midnight Club è la vera terapia di gruppo di questi ragazzi che sembrano aver perso alla roulette della vita eppure sono ancora pieni di passioni e spinte emotive e vitali, che prendono forma anche, in maniera catartica, all’interno dei racconti del brivido che si narrano a turno, tra espedienti spaventosi tanto banali quanto efficaci e agghiaccianti allegorie alla loro condizione.

L’idea alla base di The Midnight Club è molto intrigante, per quanto assai angosciante e degna di diversi “trigger warning” per le tematiche trattate: non è tanto l’horror jumpscare quello che fa saltare dalla sedia lo spettatore quanto le riflessioni metapsicologiche che possono risultare disturbanti, soprattutto se, in qualche modo, possono appartenere al vissuto di chi guarda.
L’atmosfera che si respira è proprio quella di un horror degli anni ’90, e in questo Flanagan non sbaglia una virgola, come mood, riferimenti e tematiche che si riflettono sulla narrazione: fin da subito arriva una riflessione sull’AIDS che i più giovani potrebbero addirittura trovare difficile da mettere in prospettiva, ma che funge da perfetto specchio dei tempi. Ricorda molti film di genere coming of age dall’aria un po’ vintage che riflettono sul senso della vita e della morte, della solitudine e della compagnia, da L’attimo fuggente a Non lasciarmi, passando per Breakfast Club.

C’è una grande attenzione alle storie dei singoli pazienti, alla loro interiorità e alla verosimiglianza dei loro atteggiamenti, coadiuvata da un’ottima resa dei singoli interpreti, piuttosto in parte: impressionante soprattutto la performance di Ruth Codd, solo apparentemente stereotipata nei panni di Anya.
La serie, ad ogni modo, si prende i suoi tempi per percorrere tutti e tre i percorsi previsti, accelerando o rallentando i ritmi in maniera a volte imprevedibile, ma non sempre convincente: l’interesse è comunque mantenuto alto dalla moltitudine di snodi narrativi, dato anche che inevitabilmente vi affezionerete alle storie di Ilonka, Anya, Igby, Amesh, Natsuki, Cheri, Spencer e Sandra.

77
The Midnight Club
Recensione di Marco Lucio Papaleo

Nel complesso, The Midnight Club è una serie che si segue amabilmente, ma soffre di squilibri. L'horror vero e proprio, pur con una girandola incessante di jumpscare (su cui lo stesso Flanagan fa onestamente fin da subito autoironia) non funziona: siamo – con tutta probabilità volutamente – al livello della letteratura di genere young adult, poco più su di un Piccoli Brividi. Molto più spinto e maturo (almeno per il pubblico di riferimento), invece, il versante emotivo, vero punto di forza dell'operazione, dato che la risoluzione della macrotrama potrebbe deludervi. Se vi appassionerete principalmente alla trama orizzontale, difatti, rischiate di rimanere delusi da una risoluzione non all'altezza delle singole storie personali. Difficile dire se effettivamente, come sospettiamo, il problema derivi dalla matrice originale: forse partire da un riferimento preciso in parte instrada Flanagan, e in parte, al contempo, gli fa perdere fuoco, arrivando in fondo all'opera. Fatto sta, ad ogni modo, che l'opera avrebbe giovato di una certa pulizia e “asciugatura” del superfluo, limitandosi alle inquietudini esistenziali dei suoi protagonisti. Resta, ad ogni modo, meritevole di visione se temi e argomenti risultano di vostro interesse.

ME GUSTA
  • Meccanismo a scatole cinesi interessante
  • Contesto ottimamente reso
  • Personaggi approfonditi il giusto
  • Le storie della mezzanotte sono effettivamente inquietanti
  • Cast in parte
FAIL
  • Jumpscare quasi parossistici
  • Trama orizzontale non all'altezza
  • Ritmo altalenante