L’uso dello smart working è molto diffuso nelle imprese italiane del Nord Est (70%). Tale dato è emerso dal report presentato in un importante evento a Benevento dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). L’analisi riguarda più di 15mila interviste a occupati e a 5mila unità locali/imprese del settore privato extra agricolo.

Lo smart working è prediletto da imprese e dai lavoratori. Ha l’aspetto positivo di incrementare la produttività per due datori di lavoro su tre. Poi permette il risparmio dei costi di gestione degli spazi fisici. Per il 72% dei datori di lavoro lo smart working aumenta il benessere organizzativo e l’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti. Il miglior vantaggio è per i lavoratori. Per l’80% migliora l’organizzazione degli impegni privati e della famiglia.

Il 72% ha una maggiore indipendenza di metodi, orari e luoghi di lavoro e risparmia tempo negli spostamenti. Ad apprezzare lo smart working sono le medie imprese (63%) e grandi imprese (78%), infine metà delle micro imprese (31%). I lati negativi dello smart working sono la non facilitazione dei rapporti fra i colleghi e con i responsabili. Inoltre, aumenta l’isolamento.

 

Questo bilancio sul biennio trascorso ci induce a tenere conto anche delle polarizzazioni emerse tra pubblico e privato, delle tipologie di imprese, ma anche dei marcati squilibri territoriali con, ad esempio, una quasi totale carenza nel sud e nelle isole dello smart working quale indicatore di performance nella contrattazione aziendale relativa al premio di risultato delle imprese, che interessa solo il 3% delle imprese del Mezzogiorno rispetto a quasi il 50% delle imprese del nord-ovest e il 29% del nord-est. Eppure, il Mezzogiorno potrebbe beneficiare notevolmente della diffusione dello smart working, sia in termini di prestazioni lavorative svolte al sud per imprese del Nord (il cosiddetto “southworking”), sia in termini di ripopolazione delle aree interne.

Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp