Iniziamo la recensione di Bentu (che significa Vento) di Salvatore Mereu precisando un dettaglio non da poco, ovvero che il regista torna alla Mostra del Cinema per la settima volta con una dolente e allo stesso tempo luminosa storia di grano e vento ambientata nella Sardegna degli anni Cinquanta, una storia che è metafora, quanto mai attuale, della sfida che l’uomo ingaggia con la natura.

Segnato dai suoni della natura che diventano una vera colonna sonora, Bentu si nutre di una tradizione neorealista che ha fatto grande il cinema italiano.

Interamente parlato in sardo, l’ultimo film di Salvatore Mereu è liberamente tratto da Il vento e altri racconti dello scrittore e instancabile sostenitore della cultura sarda Antonio Cossu. Tra immagini caravaggesche e profondo realismo, Bentu si pone il compito di fotografare ciò che resta di un’antica civiltà che, priva di macchinari, ha dovuto fare i conti con i capricci della natura.

Per ogni cosa  c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. Un tempo per nascere e uno per morire, uno per piantare e uno per sradicare le piante. Nell’entroterra sardo è il tempo del raccolto del grano ma Raffaele (Peppeddu Cuccu) aspetta che arrivi il vento per farlo come da tradizione. Sa che questo momento è scandito dalla natura e non c’è trebbiatrice che tenga a distoglierlo dall’aspettare in completa solitudine il suo arrivo.

Il tempo nuovo, dell’urgenza, gli fa visita sotto forma di Angelino (Giovanni Porcu) sollievo e spina nel fianco di un’attesa non riconosciuta come necessaria. Due tempi generazionali si confrontano nelle campagne sarde, cercando in un caso di riaffermare il proprio spazio e nell’altro di costruirne uno. C’è un tempo, quello che passa tra potenza e atto, che certifica la distanza che separa la gioventù dalla vecchiaia.

Con una sensazione di calma prima della tempesta, Salvatore Mereu rincontra cinematograficamente la sua terra e le riflessioni esistenziali che custodisce ancora gelosamente nonostante l’assottigliarsi della memoria.

Bentu è uno dei tesori del regista sardo che finisce per diventare un faro antropologico sugli orizzonti che si avvicendano nella cornice di un tempo remoto.

Aspettare il vento…

Bentu, la recensione: per ogni cosa c'è il suo tempo

Continuiamo la recensione di Bentu dicendo che Raffaele sa che quel mondo ha dei tempi di stabilità perché sono marchiati sulla sua pelle usurata dal sole e dalla fatica, li vede andare e tornare anno dopo anno dal suo sperduto casolare.

L’impazienza di Angelino è una minaccia da domare, come la vigorosa cavalla Tortorella, per rispettare la sacralità della natura. Servono testardaggine e sacrificio, ma quando il vento arriva non solleva soltanto il grano raccolto ma anche, vertiginosamente, lo spirito di chi non può più attendere.

Bentu sussurra con fermezza che non possiamo ignorare il sistema in cui siamo inseriti. Bisogna abitarlo e ascoltarlo per trovare la dimensione adatta con cui disporne, di tempi da seguire ce ne sono in abbondanza.

L’anziano Raffaele (interpretato da Peppeddu Cucco, che da bambino recitò in Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta) e il giovane Angelino (Giovanni Porcu), i due protagonisti del film,

rappresentano così le due facce della stessa medaglia, della stessa cultura: una ancorata al passato e al ritmo della natura, l’altra rivolta al futuro, impaziente e indomabile.

Tutta la vita di Raffaele è volta alla raccolta del grano che cura con sapienza antica nel podere di famiglia. All’inizio dell’estate, come ogni anno, dopo che ha finito di mietere a mano le spighe, le raccoglie in mucchio in attesa che arrivi il vento col suo soffio per separare i chicchi dalla paglia.

Per non farsi trovare impreparato, da giorni dorme in campagna, lontano da tutti. Ma il bentu questa volta sembra deciso a non volersi presentare, non ne vuole proprio sapere di farsi vedere.

Solo Angelino, suo nipote, viene a trovarlo ogni giorno, per non farlo sentire solo. Un giorno, forse, quando sarà grande, Raffaele potrà prestargli la sua indomita cavalla e lui potrà finalmente cavalcarla. Ma Angelino non vuole aspettare…

Selezionato più volte alla Mostra del Cinema di Venezia (nel 2003 con il suo primo lungometraggio Ballo a tre passi vincitore della Settimana della Critica, nel 2010 con Tajabone nella sezione Controcampo italiano, due anni dopo con Pretty Butterflies nella sezione Orizzonti e infine nel 2020, fuori concorso, con Assandira, Mereu presenta quest’anno alle Giornate degli Autori un film atipico nato da un progetto realizzato in collaborazione con il Corso di Laurea Magistrale in Produzione Multimediale dell’Università di Cagliari.

Considerazioni finali

Bentu, la recensione: per ogni cosa c'è il suo tempo

Concludiamo la recensione di Bentu dicendo che Bentu (vento, in sardo) racconta la storia di Raffaele, un anziano contadino che affronta con cieca determinazione la fatica e i dolori della vecchiaia, prendendosi cura del mucchietto di grano che ha raccolto, che servirà come scorta per un anno intero per lui e la sua famiglia.

A differenza di molti altri contadini che hanno ceduto al richiamo della tecnologia, Raffaele, come molti prima di lui, si affida al vento per liberare il grano dalla paglia che lo ricopre. Il vento, però, lo fa aspettare, allungando le sue giornate all’infinito. Da solo, nella sua casetta di campagna, lontano da tutti, il protagonista del film spera in un miracolo, crede con tutte le sue forze nella sua stella fortunata, quella che finalmente gli porterà una ventata di vento.

Nel ruolo di Raffaele rivediamo Peppeddu Cuccu, l’attore orgolese che da bambino aveva esordito, nel 1960, in Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta. Angelino è invece interpretato dal giovanissimo Giovanni Porcu di Ollastra. Il film è liberamente tratto da Il vento e altri racconti di Antonio Cossu.

Un gruppo di studenti e studentesse – anche dell’Oristanese – del corso coordinato da Antioco Floris ha partecipato attivamente alla realizzazione del film, dalla preproduzione al set fino alla postproduzione. Tra i protagonisti, oltre a Peppeddu Cuccu – l’attore orgolese che aveva esordito da piccolo, nel 1960, con il film “Banditi a Orgosolo” di Vittorio De Seta – c’è anche Giovanni Porcu, giovanissimo ed esordiente attore di Ollastra.

Il nostro tentativo di avvicinare il mezzo, di provare a governarlo, continua il regista, assomiglia molto alla sfida che il protagonista del nostro racconto, un vecchio contadino, ingaggia con la natura, col vento, nel tentativo di assicurarsi il raccolto. Anche noi, come lui, abbiamo combattuto, a dispetto di tutto, con grande pervicacia per portare a casa il nostro film.

Ecco, se dovessimo, trovare una formula che racchiuda il senso della nostra esperienza credo che Bentu sia la storia di un’ossessione, come per il vecchio Raffaele lo è tirare fuori il grano dalla paglia in un tempo in cui le macchine sono poco più di un miraggio e l’arrivo di una trebbia poteva essere salutato come il passaggio del Rex.

L’unica presenza umana che allieta le sue giornate è il piccolo Angelino. Se la monotonia del vecchio si colora ogni volta che compare il bambino, quest’ultimo può beneficiare della sua esperienza, può ispirarsi ai gesti che gli trasmette, può finalmente arricchirsi di conoscenze sulla natura che via via va scomparendo.

Sebbene incuriosito da questa conoscenza ancestrale, quello che veramente interessa ad Angelino, però, è cavalcare la cavalla selvaggia del vecchio, una lussuria che non riesce a contenere nonostante il rifiuto di Raffaele di lasciargliela cavalcare.

Se la pazienza del vecchio contadino sembra infinita, quella di Angelino sembra esaurirsi in un istante, sostituita da un bisogno di libertà impossibile da contenere.

Vero faccia a faccia tra uomo e natura, Bentu mette a nudo la nostra attuale perdita di contatto con ciò che ci circonda, il nostro bisogno dispotico di posizionarci sempre al centro dell’universo.

76
Bentu
Recensione di Laura Della Corte

Concludiamo la recensione di Bentu dicendo che il film è lento e animato quasi esclusivamente dai suoni vivi della natura oltre che dal misterioso linguaggio parlato da Raffaele e Angelino, Bentu ci costringe, anche se solo durante il tempo di un film, a prenderci una pausa dalla frenesia della vita.

ME GUSTA
  • Segnato dai suoni della natura che diventano una vera colonna sonora, Bentu si nutre di una tradizione neorealista che ha fatto grande il cinema italiano.
  • Bentu è uno dei tesori del regista sardo che finisce per diventare un faro antropologico sugli orizzonti che si avvicendano nella cornice di un tempo remoto.
  • L'impazienza di Angelino è una minaccia da domare, come la vigorosa cavalla Tortorella, per rispettare la sacralità della natura.
FAIL
  • Il finale appare prevedibile anche se non meno doloroso e inevitabile.