Nella spasmodica e ormai morbosa ricerca di una corrente cinematografica, una casa di produzione, una linea editoriale, un gruppo di autori, un autore solo, una sceneggiatura, una scena o un’inquadratura che in qualche modo potessero far respirare un po’ di po’ futuro o anche solo sottintendere una visione, un inciampo o un’epifania, di solito si è trovato un conforto nei nomi più “datati” piuttosto che nelle cosiddette nuove leve. Non sorprende che sia stato proprio uno di loro a tentare di mostrarcelo, questo futuro, anche se più di una volta viene il sospetto che ce lo abbia fatto vedere solo per toglierci la speranza di viverlo. Liberarci da una trappola, Monicelli approverebbe.

Volendo siamo stati anche fortunati, perché nella stitichezza generale, a mostrarcelo è stato proprio David Cronenberg, uno di quei registi che usa scrivere trattati scientifici più che girare film, talmente freddo e preciso in quello che vuole rappresentare da fare quasi spavento, se paragonato ai suoi colleghi. Magari la cominciamo proprio così questa recensione di Crimes of the future, con il dire che siamo stati fortunati che abbia visto la luce.

Prima di tutto perché non era scontata, dato che è arrivata (in concorso a Cannes75) a 8 anni di distanza da Maps to the stars, un’attesa interminabile e che ha destato anche qualche preoccupazione in dei momenti, dubbi di una conclusione di carriera. Poi perché ci permette di vedere Viggo Mortensen (e non poteva essere altrimenti), l’attore feticcio del regista canadese nella seconda parte della sua filmografia, alle prese con un titolo che segna un ritorno a quel tanto evocato body horror fondamentalmente disperso (salvo rare eccezioni) al finire degli anni ’90.

Infine perché entrare, ancora una volta, nella mente cronenberghiana è sempre un privilegio, anche se il film è Cosmopolis.

Crimes of the future è dichiaratamente un guardarsi dentro (e indietro) in modo da trovare una formula efficace per approcciarsi al mondo di oggi. Il titolo è lo stesso del secondo lungometraggio della carriera del cineasta (forse il primo in cui comincia a prendere le misure con quella che poi diverrà la sua poetica, lo trovate su YouTube tra l’altro) e dentro ci sono diversi riferimenti ai suoi film precedenti, in primis eXistenZ e Videodrome, ma anche tanti altri, talmente tanti da far pensare a questa pellicola come ad una summa, concettuale e artistica, della sua carriera.

Accanto al suo pupillo, il regista piazza due attrici tra le più richieste degli ultimi anni, Léa Seydoux e Kirsten Stewart (c’è anche la nostra Denise Capezza), sconvolgendone sostanzialmente il modus di recitare, e per girarlo se ne va in Grecia (da dove provengono la maggior parte dei soldi) e lì da forma la sua idea di futuro plasticoso, artificiale, vuoto perché evocativo e praticamente bicromatico (marrone/grigio).

Il suo ritorno al futuro, anzi al contemporaneo, che, passando per il ripercorrimento del suo cinema, giunge ad un interrogarsi a proposito di un dopo, suo e nostro.

Sindrome di evoluzione accelerata

Nel prossimo futuro l’evoluzione della specie umana è diventata un fenomeno da tenere sotto controllo, tant’è che è nato (o sta nascendo) un Registro vero e proprio, che ha il compito di segnalare ed organizzare tutte quante le nascite spontanee di nuovi organi.

Un tentativo di controllo da parte di un ente corporativo per dare un’organizzazione ad una biologia impazzita che ha annullato il dolore e estinto le infezioni.

Crimes of the future

Un tentativo simile lo fa anche Saul Tender (Mortensen), un’artista performativo tra i più conosciuti del suo tempo, che, in coppia con la sua partner Caprice (Seydoux), si esibisce in interventi chirurgici in cui si fa espiantare questi organi “in più”, ma così facendo, a differenza dell’ente di cui sopra, li trasforma in vere e proprie opere d’arte. Sono infatti gli artisti gli unici che permettono una reale esplorazione dell’ignoto, che non è più da cercare fuori, ma dentro di noi, all’interno di un processo evolutivo che ha ormai fuso definitivamente la dimensione carnale e quella tecnologica.

Qui stanno le radici del cambiamento a cui è andata incontro anche la sfera sessuale.

Il senso stesso delle performance del duo sta nella sua natura fortemente erotica, un sussulto in un mondo diventato invece tutt’al più apatico, grigio e piatto. Basti guardare alle reazioni di Timlin (Stewart), che da essere uno dei cosiddetti “controllori” governativi non ci mette molto a cedere all’attrazione verso la performance chirurgica di Saul e Caprice.

L’artista è però anche insospettabilmente combattuto sul fascino della sua stessa evoluzione ed infatti è anche un agente sotto copertura.

Durante la sorveglianza che adopera sulle performance illegali di altri artisti (mentre “approfitta” della mano ferma della sua partner per estrarre gli organi clandestini da se stesso) viene però una sera avvicinato da un uomo che con la verità che cela potrebbe cambiare la sua stessa vita.

Dalla nuova carne al nuovo sesso

È un noir, questo Crimes of the future, ideato da una mente da sempre affine ai racconti di Dick oppure all’immaginario di Ballard o di Borroughs. È un film di fantascienza, in cui ancora una volta si parla del rapporto tra l’analogico e il digitale, si ipotizza il post umano, si elaborano metafore sui modi in cui il sintetico ha cambiato e sta cambiando il nostro organico, nei modi più intensi, disparati ed emotivamente pregnanti. È un film politico perché provocatorio, intelligente, sagace e fazioso. Poi si, è anche body horror, ma vabbé.

È un film di David Cronenberg e tanto basta più di qualsiasi altra definizione, perché come tale, incontenibile, trascende la sua funzione autonoma sempre e comunque.

Kristen Stewart e Léa Seydoux

Il discorso su di un’evoluzione che permetterà all’uomo di digerire la plastica, inserita in un mondo ostile e vuoto, in cui tutti quanti sembrano come volersi tenere a distanza l’uno dall’altro, salvo poi, improvvisamente, sortire dalle loro vuotezze nell’atto del guardare senza osare chiedere (quasi nessuno almeno). La decisione di mettere al centro un artista in conflitto con se stesso e con il suo tempo, sbarbato e con i capelli bianchi, che solo nel mostrare agli altri ciò che ha dentro riesce a trovare un modo per esorcizzarlo. La deriva della formazione di una nuova carne (“Viva la nuova carne!“) che è diventata quella di declamare un nuovo sesso, inteso come definitivo riconoscimento della nascita di un nuovo umano, fuso con la macchina e con il suo ambiente. La necessità di una condizione libera dell’arte cinematografica, svincolata dalle gabbie dei grandi studios.

Tutti gli argomenti canonici e i topoi visivi di Cronenberg e anche di più, ognuno qui ripresentato, con una eleganza rara, nella regia, nella fotografia e nell’uso della colonna sonora (c’è sempre Howard Shore) e con una certa dose di forza anche nella direzione attoriale, che ha esito alla fine molto alla personalità dei suoi tre tenori, tutti molto bravi e al servizio del film.

Però, insomma, rimane una summa, dov’è che siamo andati avanti?

Viggo Mortensen

In Crimes of the future l’accesso alla dimensione sessuale, ma anche naturale, misteriosa, positiva sta nell’arte contemporanea. La chirurgia, come deriva della body art, che anche nel recente passato ha individuato una dimensione (dovrei dire inter dimensione) in cui ha intercettato anche l’erotismo, viene adoperata da Cronenberg come tramite principe per l’esplorazione di una mappa interna dell’essere umano. Essa è colei che spontaneamente cambia, si crea e si modifica per entrare in sintonia con il mondo che la circonda. Sia questa la strada da seguire? Sia in questo esplorare, ma senza resistere, un’evoluzione che trova la sua dimensione nella fusione di uomo e ambiente attraverso l’arte la via per il futuro? Sia questo l’unico modo in cui spettatore e regista posso guardare avanti insieme? Se così fosse: “Viva il nuovo cinema!”.

Crimes of the future è al cinema dal 24 agosto 2022 con Lucky Red.

85
Crimes of the future
Recensione di Jacopo Fioretti

Crimes of the future è la nuova pellicola di David Cronenberg, presentata a Cannes75 e uscita 8 anni dopo il suo ultimo lavoro. Protagonista inevitabile è Viggo Mortensen, ormai attore feticcio del regista canadese, mentre accanto a lui troviamo Léa Seydoux e Kirsten Stewart, un trio di star al completo servizio della recitazione funzionale alla pellicola. Più che un ritorno al semplice body horror, si può parlare di un ripercorrimento dello sguardo cronenberghiano, di cui questa pellicola è una summa elegante e sincronizzata al contemporaneo. Di più, essa è sia il coerente proseguimento di una poetica cinematografica lunga oltre mezzo secolo e che ancora riesce a parlare del nostro mondo ed ipotizzare un suo futuro, sia un trattato di rara intelligenza sulla condizione dell'arte e sulla sua importanza nel permettere all'uomo di entrare in contatto con se stesso e con l'ambiente che egli stesso ha prodotto. Viva il nuovo cinema!

ME GUSTA
  • La pellicola è una splendida summa della poetica cronenberghiana.
  • La coerenza del percorso artistico del regista, a tanti anni di distanza.
  • La capacità di riuscire a parlare del presente, ipotizzando un futuro.
  • La prova del cast, la regia, la fotografia, la scenografia e la colonna sonora. Tutto fine, funzionale ed elegante.
FAIL
  • Il setting, la concezione visiva e la complessità del testo possono allontanare.
  • La recitazione e la scelta del ritmo sono certamente estremizzati.
  • È un film che guarda al primo Cronenberg, non è per tutti, ma da tutti dovrebbe essere visto.