Ogni vestito che indossiamo ha un costo di produzione. Tra i fattori che ne determinato il prezzo dobbiamo tenere di conto dell’acqua. Ben 2.700 litri ne servono per fare una t-shirt. Conosciamo le quantità di acqua utile per bere e per uso domestico o per mangiare. Non quella però che serve per produrre gli abiti che portiamo quotidianamente.
L’impronta idrica è lo strumento essenziale per affrontare, in particolar modo, la siccità e per misurare l’acqua utile per produrre i capi che indossiamo. Il recente studio di Johan Rockström, colui che ha ideato “i nove limiti planetari”. In pratica, la determinazione di soglie entro cui l’uomo può continuare la sua attività economica sulle preziose risorse naturali senza che la Terra ne risenta.
Una di queste risorse preziose è l’acqua. Essa serve in quantità davvero enormi per produrre semplici capi di vestiario. Probabile che l’impiego massiccio di acqua sia dovuto ai semi di tessuto che vengono trattati con quantità eccessive di fertilizzanti e pesticidi. Il loro utilizzo inaridisce il suolo che ha bisogno così di più acqua.
Esistono però alcune fibre per realizzare vestiti che necessitano di meno impronta idrica. Per esempio, il cotone biologico creato senza uso di diserbanti o altre sostanze chimiche. Esso è rigenerato da un processo meccanico che sfila gli scarti ritessendoli senza ulteriore necessità d’acqua. I jeans necessitano dai 7 ai 10mila litri. Il tessuto più bisognoso d’acqua è il cuoio con 17mila litri per kg di pelle prodotta.