Avventure, arrembaggi, tesori nascosti. La storia della pirateria affascina da sempre intere generazioni. Non c’è adulto o bambino che non abbia sognato almeno una volta di solcare i mari, con una benda sull’occhio, la spada pronta da sguainare ed una bottiglia di rum tra le mani. Perché la vita dei bucanieri è così: impetuosa, appassionante e priva di leggi da rispettare, talmente sregolata da essere capace di irretire la mente dei viaggiatori più intrepidi.
Protagonisti delle storie più avvincenti, i pirati hanno da sempre vissuto un rapporto molto stretto con il mondo dell’intrattenimento. Il cinema, tra tutte le forme d’arte, è quella che ha saputo meglio attingere dalla storia e dalle leggende dei pirati, dando vita, attraverso una visionaria e intelligente rivisitazione pop dei miti del mare, a storie che ancora oggi stuzzicano la nostra fantasia. Nonostante i pirati siano da sempre fonte di ispirazione per i media, stranamente non sono poi tanti i videogiochi dedicati ai corsari dei sette mari.
Eppure l’immaginario piratesco offre innumerevoli spunti in termini di contenuti e storie, grazie all’abbondanza di elementi di carattere mitologico e fantastico. Proprio per questo motivo, vale la pena soffermarsi su quei pochi esempi di valore che hanno contribuito a fornire un’interessante rappresentazione dell’esperienza piratesca in chiave digitale per riuscire a comprendere quanto in realtà il mito dei pirati abbia ancora tanto, tantissimo da dare al mondo dei videogiochi.
Nel profondo dei Caraibi, l’isola di Mêlée
In genere, la figura del pirata viene spesso accostata al senso di avventura e alla sepoltura di tesori segreti. Un’immagine che è stata perlopiù idealizzata dal cinema e dalla letteratura, che hanno contribuito nel tempo alla diffusione di miti considerati tuttora erroneamente delle realtà storiche. I veri pirati in realtà non erano altro che razziatori e saccheggiatori dei mari, che prendevano di mira le navi mercantili per appropriarsi dei loro beni che – attenzione – spesso non consistevano in oro e gioielli, ma in materiali e medicine da rivendere. Insomma, i pirati erano considerati da un punto di vista storiografico più come dei criminali e balordi, che come dei personaggi capaci di grandi gesta.
Eppure, non mancano prodotti di intrattenimento in cui i pirati sono posti al centro della narrazione, rappresentati come degli eroi dall’animo nobile, tanto da spingere il pubblico ad immedesimarsi nelle loro scorribande e avventure.
È proprio questo il caso di The Secret of Monkey Island, il capolavoro di Lucas Arts, con protagonista l’impacciato aspirante filibustiere Guybrush Threeepwood. Il giovane non ha altra ambizione se non quella di diventare un “temibile pirata”. Il problema è che Guybrush non possiede alcuna abilità particolare, se non quella di riuscire a trattenere il fiato sott’acqua per dieci minuti ed essere un vero e proprio maestro nel ritrovarsi nelle situazioni più assurde. Nel corso delle sue disavventure, deve infatti sopportare situazioni esilaranti e demenziali, facendosi strada tra una miriade di richieste strampalate e personaggi oltremodo bizzarri che lo porteranno ad un passo dal realizzare la sua impresa.
Insomma, se a prima vista Guybrush può sembrar un vero e proprio corsaro, vestito di tutto punto con camicia di lino bianca, pantaloni corti e orecchini d’oro (tutti elementi che richiamano l’estetica settecentesca di un pirata appartenente all’età dell’oro), in realtà il giovane è tutto fuorché un “pirata” nel vero senso del termine. Dotato di perseveranza, intelligenza e furbizia, più che un corsaro, Guybrush rappresenta il nostro alter ego perfetto, un personaggio dalle qualità strambe e brillanti, in grado di farci calare nel miglior modo possibile nella sua corsa verso il successo.
Con The Secret of Monkey Island, Ron Gilbert, Dave Grossman e Tim Schafer riprendono molti dei simboli e dei topoi della mitologia piratesca, derivati in larga parte dal romanzo On Stranger Tides (Mari stregati) del 1987, rivisitandoli in chiave umoristica (basti pensare ai duelli all’arma bianca finemente trasformati in sfide a suon di insulti). Non mancano poi altri dettagli storici come testimoniato dai continui riferimenti al Grog, celebre bevanda a base di acqua e rum realmente esistita ed inventata dai marinai inglesi nel 1740 e strizzate d’occhio alla storia del temuto pirata Barbanera (1680 -1718) a cui è ispirato l’antagonista LeChuck che impersona il classico stereotipo del pirata malvagio a partire dall’abbigliamento, costituito da un lungo giaccone rosso, un cappellaccio e la già citata barba nera.
Sic Parvis Magna
Se le storie di mare sono state in parte la principale fonte d’ispirazione per la creazione di the Secret of Monkey Island, non si può non ammettere che abbiano contribuito in maniera sostanziale anche nello sviluppo dell’avvincente intreccio che fa da sfondo alle ultime avventure del nostro amato cacciatore di tesori Nathan Drake. La storia di Uncharted 4 ruota intorno l’inseguimento del tesoro del pirata Henry Every, una figura storica realmente esistita, vissuta nella seconda metà del Seicento. Soprannominato il “Re dei Pirati” dai contemporanei, Every era conosciuto per essere stato uno dei pochissimi grandi capitani pirata a fuggire con il suo bottino senza essere arrestato o catturato e per essere l’autore dell’atto di pirateria più redditizio della storia. Sebbene la carriera di Every come pirata sia durata solo due anni, ai suoi tempi era considerato una vera leggenda.
Le informazioni che Uncharted 4 fornisce riguardo alla figura Henry Avery, tra l’altro, sono storicamente autentiche.
Every iniziò la sua carriera come primo ufficiale della Carlo II, una nave inglese noleggiata dagli spagnoli per combattere i pirati delle Antille. La sua fama però si deve principalmente ad un colpo di fortuna che gli capitò durante un assalto a un convoglio appartenente al Gran Moghul, imperatore dell’India discendente diretto di Gengis Khan. Questa nave (che in Uncharted 4 prende il nome inglese di Gunsway) aveva il compito di trasportare ogni anno migliaia di pellegrini alla mecca e – cosa più importante – era carica di grandi ricchezze.
Si racconta che grazie a quel colpo Every riuscì a conquistare un’ingente bottino del valore di oltre seicentomila sterline. L’assalto milionario, però, scatenò l’ira di Moghul che, furibondo per quanto accaduto, minacciò il governo inglese di sequestrare i beni della Compagnia delle Indie per potersi rifare delle perdite. Alla fine, la compagnia fu costretta a pagare i danni e l’Inghilterra ad emettere un mandato di cattura per Every, che da quel momento in poi fece perdere completamente le sue tracce.
La storia racconta che dopo la sua sparizione, la caccia all’uomo continuò per decenni ma nessuno riuscì mai a fornire prove certe riguardo alla posizione e allo stato del pirata. Alcuni romanzieri irrazionalmente sostengono che la sua ciurma si sia sciolta e che lui si sia diretto a Devon, dove venne truffato nel tentativo di vendere i diamanti saccheggiati e morì in povertà. Altri sostengono che visse pacificamente fino alla sua morte, avvenuta intorno al 1714. Altri racconti – ed è questa l’ipotesi di fantasia che persegue Uncharted 4 – suggeriscono persino che Every fu uno dei fondatori di Libertalia, la leggendaria colonia segreta pirata, la cui storia è ben conosciuta dai fan della serie.
In un perfetto equilibrio tra realtà e finzione, Naughty Dog ha svolto dunque un lavoro davvero eccellente per quanto concerne la caratterizzazione dell’immaginario piratesco: oltre a porre fine degnamente alle vicende del grande cacciatore di tesori, Uncharted 4 ha avuto il pregio di mettere in campo un intreccio che mescola sapientemente storia, miti e leggende dei sette mari per restituire un immaginario coerente e originale, ricco di fascino, azione ed avvincenti avventure. Tra l’altro, soprattutto per quanto concerne questo specifico capitolo, Nate non appare poi così distante dalla figura del pirata. A dispetto dei diversi obiettivi ed ideali, il pirata ed il cacciatore di tesori restano entrambe delle figure che vivono esplorando il mondo, spinti da un’insaziabile sete dell’oro che li porta ad arraffare le altrui ricchezze. L’unica differenza sta nel fatto che il cacciatore di tesori “ruba” a chi non è più vivo, quindi di fatto non arreca alcun danno, risultando così moralmente accettabile. Un concetto già esplorato anche in Assassin’s Creed IV: Black Flag, altro titolo recente ad ambientazione piratesca.
Il quarto capitolo della serie Assassin’s Creed offre invece un’interessante rappresentazione dell’Età dell’Oro della Pirateria (1650-1730), arricchita dalla presenza di personaggi storici (dal già citato Barbanera a “Calico” Jack Rackham) e avvenimenti realmente accaduti. Il tutto avvolto da un’evocativa atmosfera marinaresca, che strizza più volte l’occhio alla celebre saga cinematografica di Pirati dei Caraibi.
La caratterizzazione del protagonista del gioco, Edward Kenway, contribuisce poi a rendere il tutto ancor più efficace e coinvolgente. Esuberante e spavaldo, la figura del corsaro Kenway si inscerisce perfettamente all’interno del quadro storico rappresentato in Black Flag, ricalcando per indole e caratteristiche gli storici pirati di quell’epoca che vagavano per mare in cerca di glorie e ricchezze, liberi di essere scorretti e privi di qualsivoglia morale. Inoltre, la presenza di altri piccoli dettagli all’interno del gioco, come i canti della ciurma durante la navigazione o la riproduzione degli arrembaggi, restituiscono un affresco convincente e credibile dell’epoca.
La “X” indica dove scavare
Se esiste un titolo che ha saputo esplorare l’immaginario piratesco in tutte le sue forme e possibilità, quello è senza dubbio Sea of Thieves. Il ricco open world di Rare permette di vivere in prima persona la vita da pirata in maniera totalmente libera ed immersiva, tra spettacolari battaglie navali, delicate spedizioni, cacce al tesoro e centinaia di altre attività marinaresche. Esplorare gli anfratti ondosi del mondo creato da Rare vuol dire abbandonarsi al piacere dell’avventura e godersi le bellezze tropicali del luogo, brindando con i propri compagni con boccali ricolmi di Grog, suonando stornelli in riva al mare o pescando in un’isoletta abbandonata.
Con Sea of Thieves, Rare ha svolto un lavoro esemplare di ricerca sulla mitologia dei sette mari riuscendo nell’impresa di imbastire un impianto ludico e stilistico originale attraverso una minuziosa cura per la caratterizzazione, non solo del mondo di gioco ma anche del background narrativo. La sensazione è quella di ritrovarsi immersi in una delle più grandi migliori avventure a tema piratesco, colma di richiami pop a film come I Goonies o Pirati di Caraibi e dai risvolti a dir poco imprevedibili. Quelli capaci di trascinare il giocatore in un vortice di emozioni ed insidie degne delle più grandi scorribande che l’età dell’oro abbia mai conosciuto.
Se guardiamo alle opere appena citate, ci accorgiamo quanto il rapporto tra pirati e videogiochi sia fortemente labile. L’immaginario piratesco, per quanto continui ad esercitare un’inarrestabile fascino sull’essere umano, resta un universo poco esplorato sul piano videoludico. Eppure, l’epica piratesca così ricca di elementi di carattere fantastico e surreale, resta un terreno estremamente fertile per lo sviluppo di una miriade di avventure videoludiche di stampo ruolistico.
Del resto, tutto il fascino dell’epoca dei pirati risiede non tanto nelle sue atmosfere, quanto nelle sue storie ricche di mistero, spade, maledizioni e personaggi indimenticabili. Esplorare le loro possibilità potrebbe ravvivare l’offerta ludica propria del genere o fungere da stimolo per dare vita a nuovi originali concept, come nel caso di Sea of Thieves. Qualunque sia il destino a cui andranno i pirati videoludici, una cosa è certa: potremmo vivere anche mille avventure tra i mari, ma avremo sempre e comunque il desiderio di poter veleggiare ancora una volta verso terre inesplorate, con il coraggio di chi non ha paura di affrontare l’ignoto e con lo stesso identico ardore di chi ha sempre voluto diventare un autentico e “temibile pirata”.