Il Governo del Regno Unito ha autorizzato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Gli avvocati del fondatore di WikiLeaks avevano impugnato l’istanza di estradizione, sostenendo che Assange fosse a rischio suicidio e che le dure condizioni detentive a cui sarebbe stato sottoposto negli USA avrebbero aggravato la sua condizione.
L’Home Office ha respinto le argomentazioni degli avvocati, sostenendo di non aver riscontrato motivi per pensare che l’estradizione negli USA rischi di costituire una violazione dei diritti umani di Assange «inclusi i suoi diritti alla libertà d’espressione e ad un giusto processo». Inoltre il governo britannico ha aggiunto che Assange verrà trattato «in modo appropriato e con riguardo per le sue condizioni di salute» dagli Stati Uniti.
La decisione è stata firmata da Priti Patel, il Ministro degli Interni del Regno Unito, a cui è attribuita l’ultima parola nei casi di estradizione. Tuttavia, gli esperti di diritto britannico ed europeo sostengono che difficilmente la partita sia già chiusa: i legali di Assange hanno a disposizione diversi altri strumenti per tentare di impedire, o quantomeno ritardare, l’estradizione.
Assange ha la possibilità di chiedere un ulteriore udienza presso la Corte Suprema del Regno Unito e, se ciò non bastasse, gli rimane sempre l’opzione di portare il suo caso davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ma non ci sono automatismi: entrambe le corti potrebbero decidere di non fissare un udienza, di fatto segnando le sorti di Assange.