La bellissima utopia con la quale Marco Bellocchio stuzzicò la fantasia dello spettatore in uno dei finali di Buongiorno, Notte del 2003 vedeva l’Aldo Moro di Roberto Herlitzka passeggiare per Roma, alleggerito da quello che poteva essere un normale decorso della coscienza di uno dei testimoni, nonché fautori, di ciò che gli stava succedendo. La coscienza di uno dei rapitori e non di uno dei suoi “amici”. Quelli su cui, quasi vent’anni dopo, il cineasta di Bobbio si concentra per tornare a raccontare il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana. Quelli da cui inizia la sua personalissima marcia funebre lunga 5 ore e mezzo di uno Stato mai rappresentato così misero, piegato e storto.
“Marcia” è una delle parole chiave di questa recensione di Esterno Notte, un’opera colossale che con il suo preludio spirituale non condivide solamente un’assonanza molto significativa nel titolo, ma si lega ad esso anche grazie alla marcia (appunto) di cui sopra, iniziata da un Moro che usciva dall’appartamento di via Camillo Montalcini e terminata da un altro (quello di Fabrizio Gifuni), già in ospedale quando viene raggiunto da Cossiga (Fausto Russo Alesi), Andreotti (Fabrizio Contri) e Zaccagnini (Gigio Alberti). Tutti ben lungi dall’essere sollevati per il suo ritrovamento e loro malgrado raccoglitori delle dimissioni di un uomo che parla a nome di un’epoca storica.
Rappresentazione onirica tipicamente bellocchiana, che usa spesso manipolare il concetto di sogno psicanalitico, stavolta ribaltandone la visione da contenuto manifesto dell’inconscio per trasformarla nell’espressione del suo desiderio.
Esterno Notte è stato presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes per intero, mentre in sala la sua uscita sarà divisa in due parti. La prima, di cui questo articolo si occupa, il 18 maggio e la seconda il 9 giugno, mentre in autunno andrà in onda in sei puntate su Rai Uno. Un caso di “doppio” che ha avuto un suo rappresentate storico proprio nel 2003 con La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (poi finito sempre in Rai) e, più recentemente, lo ricorderete tutti, con Loro di Paolo Sorrentino, anche in quel caso un uomo politico, forse l’esatto opposto di ciò che ha rappresentato Aldo Moro.
La miniserie evento, prodotta da The Apartment, Kavac Film, Rai Fiction e Arte France Cinéma e distribuita da Lucky Red, è stata scritta da Marco Bellocchio stesso, che ha anche firmato la regia di ogni puntata (debutto a 82 anni nel mondo della serialità), insieme a Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino. Tra gli attori non citati finora troviamo Toni Servillo, Margherita Buy, Gabriel Montesi, Daniela Marra, Pier Giorgio Bellocchio e Paolo Pierobon. Una menzione, infine, alla fotografia, splendida, di Francesco di Giacomo.
Uno Stato in ostaggio
I 55 giorni del 1978 furono l’anno dell’alba dei funerali di uno Stato che conobbe la sua definitiva sepoltura nei tragici eventi che segnarono il 1992. Eventi che, guarda caso, Marco Bellocchio racconta ne Il traditore, la sua ultima opera di finzione prima di Esterno Notte.
La “mania” del cineasta per quel momento storico non deve destare troppa curiosità: parliamo di uno degli intellettuali più importanti del nostro panorama cinematografico, nonché uno dei registi più politicamente eruditi, eleganti ed equilibrati.
Con questa opera anche artista straordinariamente consapevole e splendidamente in grado di interrogarsi ancora, sia sul contenuto che sulla forma della sua arte.
Lo confermano le prime sequenze e ancor di più la rappresentazione di Aldo Moro, talmente precisa, chirurgica e reale da far spavento e per di più contrapposta a quelle che sono soprattutto delle maschere indossate da uomini e donne con i quali viene posto a confronto. Una persona reale in mezzo a delle figure in declino, ridotte a poco più di caricature di uomini.
Da Moro si parte con una prima ora straordinaria, un overture da applausi in cui si traccia la linea storica, politica e familiare con la solita erudita incisività, messa lì con garbo, in attesa di chi vuole notarla, avendo cura di non urlare mai (casomai parlare con ferma educazione), prima dell’infausto evento. Cronaca di un momento di quiete in mezzo ad una tempesta, poco prima di essere da essa a sua volta travolto. Solo a quel punto la palla passa a coloro che da fuori osservano, promettono, soffrono e, molto probabilmente, attendono che l’inevitabile accada.
Loro, che come e più di lui, sono ostaggi, isolati dal resto del mondo, respinti dai loro affetti, resi impotenti dai loro superiori, tormentati dalle loro miserevoli paure. Loro, come lui, in attesa di morire.
Una linea sottile tra interno ed esterno, racconto corale e intimo, dimensione umana e politica. Una proiezione comune nella vicenda di un uomo solo, immolato al cospetto di una Passione mortale, in modo che nulla possa cambiare.
Lo sguardo dei grandi
Non c’è disprezzo, risentimento o ira, ma neanche compassione, comprensione o accorgimento nello sguardo di Bellocchio. Solo un lento e freddo incedere di un pennello che ha il solo scopo di dipingere il ricordo di cosa furono quegli uomini così potenti, grandi e celebrati durante quei terribili 55 giorni. Solo una volta messo su tela esso può essere scandagliato, compreso, messo in discussione, ancora una volta e ancora una volta in un modo diverso.
Forse l’interesse primario del cineasta è proprio questo: trovare il miglior modo per ricordare, ma non per celebrare o giudicare, bensì per analizzare.
Su questo intento delinea la sua mastodontica opera, che se lascia senza fiato per la messa in scena delle complessità storiche, antropologiche, umane, sociali e politiche, sorprende soprattutto per la sua incredibile modernità. Bellocchio matura, evolve, gioca, sperimenta, spettacolarizza, cita e poi ricomincia. Viaggia tra onirismo, saggistica, dramma familiare e umano, tragedia shakespeariana e greca, cronaca politica e racconto senile. Si diverte Bellocchio, consapevole di una maturità che da anni lo ha reso uno dei maestri indiscussi del cinema europeo, forte come non mai.
È lui l’unico tra gli esterni ad essere realmente attivo nella vicenda, uno spettatore libero e partecipe. Un gigante in grado di parlare della piccolezza di coloro che la Storia fece passare per monumenti.
Concludiamo questa recensione di Esterno Notte con un invito semplice: andate al cinema per gustarvi questa prima parte, anche se è una miniserie, anche se uscirà in televisione ad autunno (magari la riguarderete, no?), perché la sala si è ancora una volta dimostrata il medium ideale per una visione del genere. Noi vi diamo appuntamento alla seconda parte.
La prima parte di Esterno Notte è al cinema dal 18 maggio, mentre la seconda arriverà il 9 giugno, entrambe distribuite da Lucky Red.
Esterno Notte - parte uno è al cinema dal 18 maggio e si compone delle prime due ore e mezza della miniserie evento diretta e co-scritta da Marco Bellocchio. La seconda parte uscirà il 9 giugno, mentre in televisione arriverà completa in autunno, in sei episodi in onda su Raiuno. Nella sua interezza in salta è stata invece presentata Fuori Concorso a Cannes75. A quasi vent'anni di distanza da Buongiorno, Notte il cineasta di Bobbio torna a raccontare i 55 giorni del sequestro Moro, stavolta ponendosi al di fuori dell'appartamento di via Camillo Montalcini e raccontando la prigionia di coloro che rappresentavano il potere dello Stato italiano e che si erano assunti l'onere di liberare un uomo che invece condannarono ad un sacrificio solitario. Un'opera monumentale scritta e diretta superbamente da un autore dall'intelligenza e dalla consapevolezza straordinarie e ancora in grado di sperimentare, giocare con il linguaggio e rischiare, pur tenendo fede a quei principi che lo hanno reso uno dei maestri indiscussi del cinema italiano ed europeo. Dimensione politica, psicanalitica, sociale e familiare fuse nella rappresentazione di un'imponente via crucis al centro di un momento storico cruciale per il nostro Paese, scandagliato e analizzato in tutte le sue componenti. Una volta ancora, una volta di più. Una volta ancora, diversa dall'ultima. E poi di nuovo, fino all'ultimo atto.
- Le prove degli attori, in primis quella di Gifuni, sono straordinarie.
- Lo sguardo di Bellocchio è rinnovato, stimolante e moderno.
- La scrittura è equilibrata, erudita sul contenuto e attentissima alla forma .
- Qualcuno potrebbe trovare scomoda la fruizione di una prima parte e non di un primo lungometraggio.