CODA – I segni del cuore, la recensione: tutti hanno il diritto di essere ascoltati

CODA - I segni del cuore

Uno degli aspetti più importanti e sempre poco sottolineati del cinema di sistema americano sta nella sua capacità di non snaturarsi e di applicare la sua visione a qualsiasi altro linguaggio, panorama e contesto, in modo da rielaborarlo con una coerenza che fallisce solo quando sceglie di non assorbire, ma emulare. Non si può copiare un prodotto culturale, ma, sicuramente, si può americanizzare. Se prima si trattava di una questione prettamente commerciale, ormai da anni a questa parte sta diventando una componente sempre più insita ai professionisti del settore, poco importa delle produzioni dietro un progetto o le mire con cui parte. Poi c’è sempre uno scotto da pagare ovviamente, ma roba che da quelle parti lì non arriva proprio.

Nella recensione di CODA – I segni del cuore parliamo dell’esempio più riuscito di questo fenomeno (scriviamo all’indomani del trionfo agli Oscar, ma dateci fiducia, abbiamo altri motivi, altrettanto validi, per affermarlo, ci teniamo a non entrare nella lista di quelli del “quanto è facile parlare dopo“), soprattutto per il decorso che ha avuto la sua storia sia produttiva che distributiva.

La pellicola è il remake del film francese La famiglia Bélier, che non solo ha rappresentato un caso cinematografico in patria diventando uno di quei film, in qualche modo, di svolta, ma è anche relativamente recente, essendo uscito appena nel 2014. Tutti motivi per un inizio di lavori piuttosto in sordina (ah ah) o almeno lontani dalle attenzioni di critica e pubblico, nonostante la presenza di un monumento come Marlee Matlin (la prima attrice priva di udito a vincere un premio Oscar, nel suo caso per Figli di un Dio minore). 

Come spesso capita però sono le idee chiare che fanno la fortuna di un progetto.

La regista e scrittrice Sian Heder (Oscar per la sceneggiatura non originale) decide di adattare la storia della pellicola europea e darle un taglio deciso, cambiando il target (basta guardare il titolo, che da contenere la parola “famiglia” passa ad essere l’acronimo di Child Of Deaf Adults) e decidendo di reclutare attori realmente sordi (Oscar come attore non protagonista a Troy Kotsur) per poi confezionare un film su misura e presentarsi per la seconda volta al Sundance Festival dopo il passaggio nel 2016 con il suo Tallulah, stavolta facendo incetta di premi (ben quattro), tra cui miglior film, e sperare in una stagione dei premi da protagonista. Fortuna ha voluto che l’occasione la fiutasse Apple, che le idee chiare le ha quasi sempre .

Il resto, come si dice, è storia. Tre vittorie agli Oscar (nella categorie più abbinate degli ultimi anni) e il lancio della baby star (eccezionale) Emilia Jones per un film che è un piccolo adattamento tradizionalmente americano distribuito da uno streamer e che da noi è arrivato solo in homevideo, ma che i risultati hanno rilanciato al punto che arriva anche nei cinema nostrani, dal 31 marzo 2022, grazie a Eagle Pictures.

Non abbiate dubbi: CODA è un film da Oscar, così ci togliamo subito il pensiero. C’è anche un precedente recente che lo conferma in pieno, avendone anticipato la formula.

Adesso bisogna capire se siamo disposti a continuare ad accettarlo o meno.

I Rossi di Glouchester

Uno dei centri urbani più importanti nelle vicinanze di Boston è senza dubbio Glouchester: ottima meta turistica nel periodo estivo e straordinario punto di riferimento per l’industria del pesce. Non a caso sono generazioni che i Rossi, come tante altre famiglie indigene, hanno dedicato anima e corpo all’attività ittica, continuando a praticarla nonostante ogni avversità, persino handicap molto invalidanti. Padre (Kotsur), madre (Matlin) e figlio (Daniel Durant) sono infatti sordi, ma, nonostante ciò, continuano ad andare avanti, anche se dovrebbero pensare di vendere meglio li pesce che pescano. Il loro segreto? Un asso nella manica: c’è un membro della famiglia che può sentire, la piccola di casa, Ruby (Jones).

Lei è il loro unico contatto con il mondo esterno, l’interprete che permette un dialogo e dunque che l’unica in grado di difenderli da ciò a cui non hanno accesso.

Una responsabilità enorme che la ragazza accetta di buon grado, pur sopportando di vivere una vicenda esistenziale parossistica, trovandosi esclusa sia in casa propria che all’esterno.

CODA - I segni del cuore

Tutto cambia quando a scuola incontra qualcuno in grado di “sentire la sua voce” (non solo in senso letterale, né noi né il film vogliamo essere così cinici e ad ogni modo non ve la prendete con noi!), ma soprattutto quando è lei la prima a voler esprimersi e ascoltarsi. Il motivo scatenante è la cotta per il solito ragazzetto di turno, ma le ragioni per cui Ruby si iscrive al corso di coro sono tutte negli occhi del suo insegnate, Bernardo Villalobos (Eugenio Derbez), che cambia la vita della giovane, dedicandosi al suo talento e preparandola in modo da poter sostenere l’audizione per entrare alla prestigioso Berklee College of Music.

Pensare che le intenzioni della ragazza per dopo il diploma erano entrare nell’attività di famiglia.

Come dirlo ai suoi? Come privarli del loro unico modo per rapportarsi al mondo? Come convincersi che seguire la propria strada sia l’unica cosa giusta da fare?

Il modo americano

La messa a fuoco è ciò che premia CODA ed è il più grande merito della Heder, la quale scrive un remake che mette da parte tutto ciò che è una reale analisi di una famiglia che convive con una situazione del genere, offrendo una rappresentazione leggera, superficiale e tangenziale alla storia che realmente le interessa: quella di una ragazza che deve trovare la sua via, facendo i conti con un disagio che, seppur in modo indiretto, la coinvolge. Per fare ciò recluta un cast di attori realmente sordi, tutti azzeccatissimi e in forma smagliante, in modo da garantirsi una fisicità e una vicinanza reale e coinvolgente (la vecchia storia dell'”essere” al posto del “rappresentare”) e si concentra sullo scrivere un coming of age classico, in cui i dubbi esistenziali per trovare se stessi vengono messi velocemente da parte per poter ragionare secondo una logica di racconto da self made man tipicamente americana. Il tutto sotto forma di un melò sfumato con la comedy e con un forte messaggio di inclusività.

La star del film è Emilia Jones, che è straordinaria e che regge il film da sola. Non solo perché canta, piange, si arrabbia e parla la lingua dei segni in modo eccezionale, ma perché, integrandosi con il lavoro e le caratteristiche personali dei suoi colleghi, fa del suo personaggio una persona reale, pur mancandole una certa costruzione esistenziale (c’è solo qualche accenno ad un modo di parlare strano che aveva in precedente).

Ruby sa già chi è, non lo scopre nel film: il suo approccio con la vocazione è praticamente istantaneo e il momento di crisi che vive non dà mai l’impressione di minare una sua costante crescita.

Emilia Jones

Una formula chiara, quasi scientifica e assolutamente vincente che trova il suo coronamento nella capacità della Heder di fare un film “normale” nei tempi e nel linguaggio cinematografico, nonostante la presenza forte della componente sorda, realizzando una gabbia d’orata che fa esattamente ciò per cui è stata costruita. Il resto lo fa la bravura nella sintesi, vittoriosa anche sulla scolasticità e sulla ripetitività che bene o male permeano l’intera pellicola, riuscendo a lavorare con le piccole cose, che sono quelle che rendono grande un film del genere (e forse ogni film), come un dito posato per sentire una vibrazione, lo sguardo di un padre, il sorriso storto di una madre o la scelta di una particolare canzone.

CODA – I segni del cuore è un film da Oscar perché il film che meglio ha saputo giocare ad un tavolo che con la valutazione della qualità cinematografica ci azzecca poco e forse ci ha sempre azzeccato poco. Vince la logica, la tecnica, le intenzioni, l’intelligenza, la progettualità, ma, purtroppo, si perde la necessità e il livore del raccontare e del raccontarsi, così come il preferire un lato del linguaggio che progredisce senza evolversi, astenendosi da sperimentazioni di alcun tipo. Ai posteri o, meglio, a voi, l’ardua sentenza. Noi possiamo dire che ha vinto l’Oscar più ambito il film più innocuo e che se lo è meritato. Complimenti a chi ci ha lavorato.

CODA – I segni del cuore è al cinema dal 31 marzo 2022 distribuito da Eagle Pictures.

75
CODA - I segni del cuore
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

CODA - I segni del cuore è il titolo Apple scritto e diretto da Sian Heder vincitore agli Oscar 2022 per miglior sceneggiatura non originale, miglior attore non protagonista a Troy Kotsur e miglior film. Remake del film francese del 2014, La famiglia Bélier, la pellicola è un coming of age classico, in cui i dubbi esistenziali per trovare se stessi fanno velocemente posto ad una logica di racconto da self made man tipicamente americana. Il tutto sotto forma di un melò sfumato con la comedy e con un forte messaggio di inclusività. Il cast, composto per lo più da attori realmente sordi, è straordinario, ma tra tutti spicca la prova della giovanissima Emilia Jones, un astro nascente in tutto e per tutto. La formula del racconto è quella di una storia tangenziale l'invalidità, che rimane comunque una parte integrante del racconto, rappresentata con sincerità e senza pietismo alcuno, anche se in modo didascalico e un po' superficiale. Un film che vince per la logica, le intenzioni, la progettualità e l'intelligenza, che non è poco, oltre che per la capacità di far, senza dubbio, emozionare.

ME GUSTA
  • La chiarezza delle intenzioni traspaiono nella scrittura e nella regia.
  • Le magnifiche prove del cast, soprattutto di Emilia Jones, astro nacente.
  • Il mix tra comedy e melò, in grado di catturare ed emozionare una grande fetta di pubblico.
FAIL
  • La conferma che un certo modo di raccontare americano, per quanto efficace, rende innocuo tutto ciò che prende in esame.
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