After Life 3, la recensione: una radiografia del dolore

After Life 3, la recensione

Iniziamo la recensione di After Life 3 con una nota “critica”: le cose belle non durano mai in eterno. Dire che in questo terzo e ultimo capitolo della serie succedono un bel po’ di vicende rispetto alla seconda stagione sarebbe un eufemismo grossolano, ma anche se nella stagione finale della black comedy di Ricky Gervais il tempo si è sostanzialmente fermato, la chiusura avviene in modo piuttosto onesto.

Con l’eccezione di alcuni sviluppi per lo più minori – vi risparmieremo i dettagli per preservare il vostro divertimento e sorpresa – sia Tony Johnson che la sonnolenta cittadina di Tambury rimangono invariati. C’è una menzione del coronavirus, ma non ha alcun impatto sulla storia, il che ci fa chiedere perché Gervais abbia sentito il bisogno di menzionare la pandemia.

Per molti, questa mancanza di sviluppo sostanziale, in particolare tra le stagioni 2 e 3, sarà un conforto piuttosto che una delusione; in un’epoca in cui regna l’incertezza, sapere cosa aspettarsi, senza la minaccia che il tappeto ti venga strappato da sotto i piedi, ha sicuramente i suoi meriti. Ma ci ha lasciati a desiderare di più, e coloro che in precedenza hanno sostenuto che After Life avrebbe dovuto essere una serie limitata probabilmente concorderanno su questa affermazione.

Lo stato fisso della narrazione deriva da Tony che, ovviamente, rimane completamente devastato dopo la morte di sua moglie.

Come nelle prime due stagioni, continua a passare gran parte del suo tempo ad agguantare bottiglie di vino mentre guarda i vecchi video di Lisa (Kerry Godliman) durante la sua malattia e in tempi più felici, prima che l’oscurità scendesse definitivamente su di lei.

Di seguito il trailer ufficiale pubblicato su YouTube:

Affrontare i propri demoni interiori

After Life 3, la recensione

Continuiamo la recensione di After Life 3 dicendo che uno dei motivi per cui ha avuto molto successo, soprattutto all’inizio, è il suo modo di affrontare un argomento ancora così tabù, in un modo del tutto sfrontato e onesto.

È una rappresentazione autentica del dolore ed è senza dubbio il tratto più lodevole della serie, con Gervais che offre una solida performance come un uomo che esiste, ma non vive.

La performance di Godliman alimenta ancora una volta la sua parte, trasmettendo lo spirito vibrante, caldo e generoso di Lisa nella dispersione dei momenti in cui appare. Devi solo passare un secondo in sua compagnia per capire perché Tony non può immaginare un mondo senza di lei. Ma quella componente centrale della serie, che è così ben eseguita, è anche quella che la penalizza.

Il dolore assume molte forme diverse. Alcuni cercano nuove distrazioni, demolendo la loro casa nel tentativo di ricominciare da capo, almeno esteticamente, o intraprendono un’escursione di mille miglia in solitaria per purificare la mente e ottenere una prospettiva. Tony, al contrario, sprofonda in uno stato di inerzia.

Se non fosse stato per le suppliche dei suoi amici e colleghi di onorare la vita di Lisa vivendo la propria – e lo sguardo implorante del suo pastore tedesco Brandy – rimarrebbe permanentemente incollato al suo divano, con i video di Lisa perennemente pronti a sostenerlo. Ma avendo assistito a due stagioni precedenti, questo ultimo capitolo sembra intensamente familiare al punto da diventare a tratti anche un pochino noioso.

Anche con il cambiamento nella visione del mondo di Tony che si verifica nel finale, quella tristezza acuta e il gigantesco senso di perdita rimangono sempre presenti e sottolinea ulteriormente perché i programmi TV sul dolore sono pochi e rari. È un tema difficile da affrontare in una sola stagione, per non parlare di tre, e mentre Gervais è riuscito a renderlo sopportabile, persino divertente, nella premiere di After Life, si è fermato qui.

Una vita a volte non basta

After Life 3, la recensione

Ci avviciniamo alla conclusione della recensione di After Life 3 ricordando un momento specifico:

“Non so perché non possiamo continuare così?” Tony dice a Emma (Ashley Jensen) nella seconda stagione. “Continuiamo, e non cambia nulla.”

Eppure, ciò che Gervais vuole comunicare è altro perché rispecchia la realtà dell’adattamento a una vita a cui è stato strappato il suo cuore pulsante.

Il suo mondo, un tempo technicolor, si è offuscato poiché non è in grado di comprendere un futuro senza la persona che ama di più al mondo.

L’atto stesso del lutto è pesante e monotono, e Gervais si rifiuta di addolcirlo, appoggiandosi invece alla sua permanenza. Di conseguenza, After Life 3 è diventato una sorta di test di resistenza e nemmeno Penelope Wilton (Anne) è in grado di sollevarci con i dialoghi più pieni di speranza del suo personaggio.

Il dolore è una cosa strana. Per molti di noi, gli ultimi due anni circa sono stati a dir poco abominevoli. Molti di noi hanno dovuto affrontare le tragiche perdite di cari, e molti altri hanno dovuto vivere nel terrore perpetuo di subire quel ciclo infernale che gli strizzacervelli chiamano fasi.

Eppure, tragedia e dolore sono quasi sempre esperienze condivise. Come un nemico comune, è solo unendosi e guarendo che possono essere superati.

Le prime due stagioni della serie Netflix di Ricky Gervais After Life hanno catturato infallibilmente quell’inevitabile risentimento perché è successo a molti di avere a che fare con quel genere di sentimenti.

La terza stagione fornisce una conclusione degna alla storia di Tony Johnson, un vedovo depresso che abbiamo visto cadere in depressione dopo aver perso l’amore della sua vita, sua moglie Lisa a causa del cancro. Scrittore di articoli per un giornale locale nella cittadina immaginaria di Tambury, trova più facile essere un idiota con tutti quelli che lo circondano, preferendo scagliarsi contro tutto ciò che si muove per vendicare la morte di Lisa, invece di venire effettivamente a patti con la tragedia e trovare la pace.

Ecco come Tony ha riassunto la sua ritrovata visione del mondo nella prima stagione: “Se divento un merda e faccio e dico quello che cazzo voglio per tutto il tempo che voglio, e poi quando tutto diventa troppo, posso sempre uccidermi. È come un superpotere”.

Cerca tutto il conforto possibile nelle registrazioni video lasciate da Lisa sul letto di morte per aiutarlo ad adattarsi alla realtà che sicuramente gli verrà addosso dopo la sua morte. Quei video e il suo cane sono ciò che gli impedisce di uccidersi.

Gervais, comico e scrittore che sa anche recitare molto bene, ha un senso dell’umorismo pungente e irriverente che spesso si avventura in territori oscuri e non piace a tutti. Per lui, assolutamente nulla è sacro e spesso gli piace prendere in giro i devoti.

After Life 3, la recensione

In effetti, ha portato molte di quelle sensibilità in After Life. Ma attraverso questa serie, ha anche presentato un aspetto sincero. Anche se ha contribuito a creare un paio di serie TV eccitantemente originali e spiritose come The Office ed Extras, After Life, nonostante sia completamente contrario alla sua immagine pubblica, sembra lo spettacolo definitivo di Gervais. È come se si fosse addolcito con l’età e non ci dispiace.

Ma, detto questo, è un dato di fatto che tutte le persone che hanno seguito la serie fin dall’inizio (100 milioni di famiglie, secondo Netflix) apprezzeranno il capitolo finale dello show. Sono semplicemente felici di trascorrere del tempo in quella bolla, godendosi i tanti volti e le rispettive idiosincrasie. E questo è quello che ci sentiamo di affermare nella recensione di After Life 3.

Ma mentre siamo pronti a salutare Tony, ci saranno milioni di persone che piangeranno la sua partenza dalle loro vite. Gervais ha i suoi critici, ma questa serie televisiva con la sua originalità è un’eredità indiscutibilmente impressionante.

 

After Life 3 è disponibile per la visione su Netflix.

 

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77
After Life 3
Recensione di Laura Della Corte

Concludiamo la recensione di After Life 3 dicendo che anche se la trama non si evolve in modo significativo rimane comunque una serie di conforto che tratta il tema del dolore in modo originale e mai scontato. Da vedere, senza pregiudizi.

ME GUSTA
  • La trama non si evolve particolarmente ma la serie riesce a dare il suo solito senso di conforto.
  • Le performance dei protagonisti principali rimangono le migliori.
  • La cura per la scelta delle canzoni è sempre molto apprezzabile.
  • Un finale onesto per una storia che non è mai stata facile da raccontare, continuare a vivere pur non vivendo.
FAIL
  • Alcuni personaggi secondari sono a dir poco sgradevoli e francamente se ne potrebbe proprio fare a meno.
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