Atlantide, la recensione: un’esperienza multisensiorale

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78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Festa del Cinema di Roma, Festival di Vienna, Salonicco, designato Film della Critica 2021: cominciamo questa recensione di Atlantide di Yuri Ancarani con l’elenco delle rassegne cinematografiche dove è stato presentato, ma specificando che questo non lo rende un titolo freddo, distante, fatto “per i festival”.

Ci troviamo invece di fronte a un’opera anarchica, colorata, che vuole essere un’esperienza multisensoriale. E ci riesce.

In sala il 22, 23 e 24 novembre come evento speciale, distribuito da I Wonder Pictures, Atlantide di Yuri Ancarani è un film che sfugge all’incasellamento: parte documentario, nato da un’osservazione e convivenza di quattro anni con un gruppo di ragazzi veneti, tutti dislocati sulle varie isolette della laguna di Venezia, parte videoarte, parte film che sa anche intrattenere (ma non ditelo all’autore!), grazie alle riprese incredibili delle barche che sfrecciano sull’acqua.

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Nato senza sceneggiatura, Atlantide racconta la storia di Daniele (Daniele Barison, faccia sofferente e livida, perfetta per dare volto a una generazione lanciata a velocità folle in un mondo che ha sempre meno senso), adolescente il cui unico pensiero è portare il suo barchino a 85 Km orari, guadagnandosi il rispetto dei coetanei e di se stesso.

Un rito di passaggio, che anni fa si realizzava grazie all’acquisto del motorino, magari truccato, oggi con le minicar. Il barchino però ha tutto un altro fascino, soprattutto dal punto di vista cinematografico. Anche perché il regista riesce a trasformare la distesa d’acqua e i suoi mille riflessi in un deserto umido, in cui, invece che la polvere, ad alzarsi verso il cielo sono gli spruzzi d’acqua, in un gioco di specchi che non può non affascinare.

Atlantide: stessi riti di passaggio, diverso elemento

Daniele, come il film di cui è protagonista, non ci sta a seguire le regole. La velocità per lui è sinonimo di virilità, di realizzazione. Ecco perché detesta ogni forza dell’ordine ma rispetta la Guardia di Finanza: sono quelli con le barche più veloci. Per realizzare il suo scopo decide di rubare un motore, scatenando una reazione a catena in cui la violenza sembra inevitabile. A guardarlo mentre si piega consumato dalla sua ossessione c’è la fidanzata (all’epoca delle riprese Barison e Maila Dabalà stavano davvero insieme), che vorrebbe soltanto stare insieme, aprirsi, condividere. Ma non c’è tempo.

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L’adolescenza ha da sempre i suoi riti di passaggio: a prescindere da motorini, microcar e barchini, succede qualcosa di misterioso in quel periodo di mutamento, dai quindici a venti anni, in cui tutto ciò che siamo in potenza prende la forma – difficilissima da reimpostare – degli adulti che saremo.

Nel caso di Daniele il rito iniziatico è quello a un mondo maschile che non ammette dubbi, debolezze, in cui lo scambio con gli altri non è contemplato: ad avere importanza è soltanto la realizzazione personale. Daniele, nel suo piccolo, non riesce a discostarsi da modelli eclatanti che vediamo tutti i giorni ancora oggi: facendo un’iperbole, Elon Musk che si progetta il suo lanciafiamme, o che intraprende la sua personale corsa allo spazio non è poi così diverso da un adolescente che spinge il proprio barchino al limite.

Atlantide: fantascienza sull’acqua

Partendo dal microscopico, Yuri Ancarani racconta una storia universale, non soltanto perché il film è il risultato del montaggio di quattro anni di riprese, in cui, come un entomologo, ha osservato i suoi protagonisti. Il senso di smarrimento, la mancanza di senso, si riflettono nelle decine di canali e di rivoli che dividono le isolette, come Sant’Erasmo.

Se la laguna di Venezia è l’universo, le isole sono i pianeti e i barchini su cui si muovono Daniele e gli altri delle astronavi.

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Il collegamento con la fantascienza è evidente nel finale, che da solo vale la visione: in una Venezia che sembra quasi un modellino scomponibile nelle mani del regista, che si tinge di mille sfumature diverse, la realtà si piega e si scompone, in un vortice di suoni, colori e movimenti di macchina che fanno pensare a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Immagini che non hanno bisogno di parole: sono così potenti da riuscire ad arrivare direttamente nel nostro subconscio. L’angoscia esistenziale di Daniele è la nostra. Il suo sentirsi immensamente piccolo nel mondo che lo circonda anche.

Atlantide: una colonna sonora tra sinfonia e trap

Le splendide immagini girate da Yuri Ancarani (anche direttore della fotografia e montatore) sono accompagnate da una colonna sonora folle tanto quanto il film: accanto alla musica sinfonica suonata dall’orchestra di Francesco Fantini, che ricorda quella degli accompagnamenti musicali hollywoodiani, ci sono i brani di Sick Luke, trapper che si cimenta per la prima volta con il cinema.

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Una scelta obbligatoria per raccontare con sincerità questa nuova generazione: se la trap non respingesse tanto gli adulti, non sarebbe la musica dei giovani. E ha ragione Yuri Ancarani: le basi di queste canzoni sono perfette per rendere Atlantide un viaggio ancora più conturbante e misterioso, che sembra lontano anni luce visto da fuori ma che, se proviamo ad avvicinarci e a farci trasportare dalla sua forza, scopriamo che è molto più vicino di quanto non immaginiamo.

recensione di Freaks Out

 

Atlantide è in sala il 22, 23 e 24 novembre.

80
Atlantide
Recensione di Valentina Ariete

Come scritto nella recensione di Atlantide, il film di Yuri Ancarani è un'esperienza multisensoriale, in cui immagini, musica e angoscia esistenziale si fondono in un finale incredibile, che ricorda quello di 2001: Odissea nello spazio, che vale da solo la visione.

ME GUSTA
  • Lo spirito anarchico e libero di Yuri Ancarani.
  • Il finale splendido.
  • La colonna sonora di Francesco Fantini e Sick Luke.
FAIL
  • Chi non ama la sperimentazione al cinema potrebbe non gradire.