I molti santi del New Jersey, la recensione del prequel di I Soprano: criminali fuori tempo massimo

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Quando, periodicamente, escono le classifiche delle “cento serie migliori di sempre”, puntualmente nelle prime posizioni figura I Soprano. Non a torto: l’opera creata da David Chase si contende lo scettro sicuramente con pochi altri titoli, come The Wire e Mad Men (scritta da Matthew Weiner, che viene proprio dalla writers room di I Soprano). Probabilmente ad oggi abbiamo visto molte altre serie tv altrettanto valide, ma la storia di Tony Soprano, gangster del New Jersey con la faccia di James Gandolfini, che decide di andare in terapia per non perdere il controllo, è una di quelle che hanno fatto da spartiacque. Questa è una premessa inevitabile per la recensione di I molti santi del New Jersey, film prequel diretto da Alan Taylor e scritto proprio da Chase.

Nel 1990 David Lynch e Mark Frost hanno cambiato per sempre la serialità con Twin Peaks: un linguaggio nuovo stava nascendo, grazie a uno degli autori più originali del cinema. È stato però a fine anni ’90 che la televisione ha assunto un’identità tutta sua, dando il via a quella che oggi viene detta la “Golden Age of Television”. HBO in questo è stata determinante: nel 1998 hanno visto infatti la luce Sex & The City, poi I Soprano, nei primi anni 2000 Six Feet Under, The Wire. Come diceva un noto slogan: “it’s not tv. It’s HBO” (non è televisione, è HBO). Il livello di scrittura si è alzato, sono stati scoperti talenti, le serie tv hanno dimostrato tutto il loro potenziale, diventando sempre più simili a romanzi da guardare che non al cinema. I personaggi sono diventati il centro di tutto.

Se pensiamo ai grandi protagonisti della serialità, Tony Soprano è davvero il padrino della moderna televisione. Un gangster italoamericano che, schiacciato dalle regole e dai codici della malavita, che si aggiungono a quelli del capitalismo americano, comincia ad avere attacchi di panico. Una premessa geniale. Andata in onda per sei stagioni, dal 1999 al 2007, I Soprano è un mix perfetto di psicanalisi, umorismo nero, crime drama. I molti santi del New Jersey ci porta indietro, all’adolescenza di Tony Soprano. Precisamente nel 1967, anno in cui incontriamo uno dei grandi spettri della serie: Dickie Moltisanti, zio che il futuro boss ha idealizzato.

I Soprano

Dickie Moltisanti ha un volto

Costantemente evocato da Tony e dall’altro zio, Corrado Junior (qui interpretato da Corey Stoll), Dickie Moltisanti è il mentore del futuro leader dei Soprano. Schiacciato tra una madre che sappiamo sarà la fonte principale delle sue angosce (la giovane Livia ha il volto inquietante di Vera Farmiga) e un padre assente (Johnny Boy, a cui dà corpo Jon Bernthal), Tony, adolescente insicuro, idolatra Richard, cercando spesso il suo consiglio e ispirandosi a lui. Grazie a I molti santi del New Jersey capiamo immediatamente che era una scelta praticamente obbligata: affascinante, ben vestito, intelligente e con un grande senso degli affari, Richard “Dickie” Moltisanti ha il carisma del sempre bravo Alessandro Nivola e si distingue da tutti gli altri criminali che abbiamo visto nella serie. Sarà l’eleganza degli anni ’60, ma il suo boss è lontano anni luce da quelle facce rozze dei comprimari di I Soprano, dei loro abiti kitsch (se ricordate le folli camice di Furio sapete) e modi animaleschi.

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Certo, Dickie è sempre un criminale degli anni ’60, non è certo progressista: lo vediamo dal suo rapporto con l’amante Giuseppina (l’attrice italiana Michela De Rossi), donna venuta dall’Italia che cerca di emanciparsi una volta in America, e da quello con Harold McBrayer (Leslie Odom Jr.), criminale con cui si allea e che prende parte alle proteste per i diritti dei neri a Newark. Ma, come Tony, ha problemi con i suoi genitori: in I molti santi del New Jersey conosciamo infatti anche suo padre, “Hollywood Dick” Moltisanti. Un nome che è tutto un programma e, non a caso, è interpretato da Ray Liotta, volto simbolo di Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese, film di riferimento per David Chase.

Cinema e televisione non sono la stessa cosa

Negli ultimi venti anni il concetto di saga e di “universo espanso” è cambiato, assumendo dimensioni gigantesche. Non soltanto la Marvel, che intreccia fumetti, cinema e serie tv: anche da noi, pensiamo a Gomorra, prima un romanzo, poi un film, poi una serie e di nuovo un film (L’immortale), c’è chi ha intrapreso questa strada. Con la nascita della piattaforma di streaming HBO Max è naturale che Warner Bros. stia cercando di creare dei nuovi franchise (un esempio è il recentissimo Dune, di cui è già stata annunciata una serie tv, a cui potrebbero aggiungersi molti altri titoli). Perché non puntare quindi su uno dei suoi prodotti storici e di maggior successo? I molti santi del New Jersey nasce proprio per rivitalizzare una storia che, nonostante continui a essere amata e vista, si è fermata 14 anni fa. E non è finita qui: David Chase ha già ammesso che gli hanno chiesto di fare almeno un altro film o una serie, che colmi il lasso di tempo che c’è proprio tra questo prequel e l’arco narrativo del Tony Soprano di James Gandolfini.

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C’è un problema però: cinema e televisione hanno ormai linguaggi diversi e distinti e I molti santi del New Jersey sembra non esserne pienamente consapevole. L’ispirazione è sicuramente quella del cinema di Martin Scorsese, ma la pellicola non arriva mai ad avere la potenza delle immagini del regista premio Oscar. Contemporaneamente 120 minuti sono pochi per approfondire minuziosamente i personaggi (di cui moltissimi nuovi), che è proprio il punto di forza della serie tv. Il risultato è quindi uno strano “ibrido cinetelevisivo”, che non riesce mai a decollare davvero. Chi non ha visto nemmeno una puntata di I Soprano può seguirlo ugualmente, ma rimarrà poco impressionato da questa ennesima storia di gangster senza il bagaglio emotivo che possiede invece chi ha vissuto tutti gli 86 episodi della serie con James Gandolfini. I fan invece potranno godere delle numerose strizzate d’occhio (si comincia da subito, con la voce narrante di Christopher Moltisanti, ovvero Michael Imperioli, nella sequenza d’apertura), ma, consumato in fretta il fan service, si rimane con la voglia insoddisfatta di rivivere la forza di quei dialoghi, quelle sottigliezze nei volti dei protagonisti che ci hanno fatto innamorare della serie e che sono ormai perduti. La magia non c’è più.

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Michael Gandolfini è il giovane Tony Soprano

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La cosa più interessante di I molti santi del New Jersey è forse il casting del giovane Tony Soprano: a interpretarlo è infatti Michael Gandolfini, vero figlio di James Gandolfini. La somiglianza è impressionante e l’imbarazzo nello sguardo è lo stesso. Il linguaggio del corpo invece è totalmente diverso: se Tony adulto era invadente, massiccio, prepotente, Tony adolescente è insicuro, timido. Nel suo disperato tentativo di farsi notare dallo zio vediamo tutte le fragilità che emergeranno, anni dopo, quando sarà a capo della famiglia e avrà gli attacchi di panico di fronte alle papere che abbandonano la sua piscina. In quel ragazzo dai capelli lunghi intravediamo tutto ciò che avrebbe potuto essere ma non sarà mai, per via della famiglia in cui è nato, da cui, anche volendo, non riuscirà mai a staccarsi.

I molti santi del New Jersey è in sala dal 4 novembre.

60
I molti santi del New Jersey
Recensione di Valentina Ariete

Come scritto nella recensione di I molti santi del New Jersey, il prequel di I Soprano racconta l'adolescenza di Tony Soprano, interpretato da Michael Gandolfini, figlio di James Gandolfini, storico protagonista della serie HBO. Alessandro Nivola è suo zio, Dickie Moltisanti, boss della famiglia negli anni '60 e mentore del futuro capofamiglia. Indeciso se essere più un film o un episodio lungo di una serie tv, il prequel non decolla mai davvero, nonostante a scrivere sia David Chase, creatore di I Soprano.

ME GUSTA
  • Il carisma di Alessandro Nivola.
  • Michael Gandolfini nel ruolo del giovane Tony Soprano.
  • Chi non ha mai visto la serie può seguire il film, ma si perde molti riferimenti.
FAIL
  • Il film è indeciso se essere cinema o televisone.
  • 120 minuti sono pochi per approfondire i molti personaggi.
  • La magia della serie non c'è più.