In occasione della selezione in concorso di Petite Maman alla XVIII edizione di Alice nella Città, è stata ospite alla sezione parallela della Festa del Cinema di Roma, Céline Sciamma, una delle cineaste più importanti del cinema d’autore francese contemporaneo. Occasione per parlare della sua pellicola, presentata in anteprima mondiale alla Berlinale71, un lavoro di rara bellezza, pieno di tematiche da approfondire come da sempre il suo cinema, segnato da un ritorno al mondo dell’infanzia, a 10 anni da Tomboy.
Una favola magica di circa 70 minuti con protagoniste due bambine di 8 anni, eppure, come fatto notare in apertura dell’incontro, nella pellicola non è presente nessun elemento visivo sovrannaturale: nessun portale ultra dimensionale o simili.
Al termine della prima bozza della sceneggiatura mi sono resa conto che questo film era già di per sé un viaggio nel tempo, quindi ho cominciato a pormi delle domande. Non volevo che ci fosse la presenza di una qualche macchina, volevo che l’unico aspetto magico fosse quella possibile con i mezzi cinematografici: montaggio, ecc… Quando si ha un’idea la cosa importante è rispettarla e io ho voluto resistere alle convenzioni, facendo ricorso ad una sorta di realismo magico.
Una fra le (tante) altre cose belle del film è l’idea di cooperazione fra le ragazze e le generazioni diverse.
L’idea era di combinare l’aspetto gioioso e politico di questo film. Eliminare la gerarchia, creare un equilibrio tra madre e figlia. Questo è il motivo per cui ho scelto due sorelle: se incontrassi mi madre all’età di 8 anni potrebbe essere benissimo mia sorella. Ho cercato di passare da una idea di genealogia verticale ad orizzontale, arrivando così ad un’idea di sorellanza. Cercare un trio: madre, figlia e nonna.
Non vengono solo rappresentati rapporti di cooperazione, ma anche timore, specialmente dei bambini nei confronti del mondo degli adulti:
Ho cercato di ricreare una sorta di intimità dello spazio e dell’infanzia, un tempo senza connotazione precisa, in modo che qualsiasi bambino, indipendentemente dal suo periodo storico, potesse rivivere e riappropriarsi di questa e, di conseguenza, della sua storia. L’idea era di lavorare sulle paure dell’infanzia e una delle paure più forti è quella della tristezza degli adulti. C’è un unico mostro, la pantera nera, un’ombra rigorosamente fabbricata da un essere umano, l’adulto che entra in scena.
In Petite Maman il tema dell’infanzia è messo sempre in relazione ad uno sguardo femminile, per di più dedicato quasi solamente al mondo femminile.
Ho cercato di creare nel film questo legame tra i due sguardi. In fondo si tratta di personaggi che non riescono quasi mai a dimostrare o a vivere la loro individualità. I bambini mi interessano molto, sono un pubblico multiculturale, senza pressioni della società o con una storia forte dietro. Puoi inventare e sperimentare molto con loro. Nel costruire il film ho pensato molto a Miyazaki e al cinema d’animazione giapponese, da cui ho preso anche la connotazione molto pittorica.
Intervento spunto per un approfondimento su questi due mondi, a cui la Sciamma è così attenta ed affezionata, e sui quali viene nuovamente stimolata. Prima sulle nuove generazioni:
Oggi come oggi si può dire che la gioventù sia in prima linea nelle lotte sociali e globali, pensate al cambiamento climatico. Eppure abbiamo visto che in questi anni l’infanzia, i giovani, sono stati considerati sempre una popolazione di seconda classe, mentre molte delle strutture sociali in cui viviamo dipendono da loro. Io lavoro con i bambini e mi sono resa conto molto presto di cosa siano capaci. I giovani devono portare avanti le loro idee, è anche normale lo facciano, ma noi dovremmo appoggiarli, perché il peso politico lo abbiamo noi e non loro.
Poi sulle donne:
La cosa è abbastanza spontanea, i cambiamenti arrivano proprio dove c’è maggiore oppressione. Anche nel cinema, specialmente in alcuni generi cinematografici, si è fatta oppressione e dove si fa oppressione si prepara il terreno fertile per la nascita della resistenza e della rivoluzione. Forse è anche questo il motivo per cui il cinema borghese e quello più sentimentale si rinnova poco. Anche se anche lì c’è una forma di soppressione, ma più sotterranea.
Le parole chiave del cinema di Céline Sciamma sono intimità e sorellanza (o fratellanza):
I miei film sono tutti un modo per vivere questo sogno: creare una comunità fraterna. Questa è l’utopia del cinema no? Vivere un’idea prima di diffonderla.
Due aspetti spesso coniugati ad un messaggio politico molto importante, ma che non vincola mai la visione della pellicola, sempre molto libera di essere letta e vissuta in più modi.
Il motivo è probabilmente perché non ho un messaggio politico da dare, ma mi baso molto di più sulle sensazioni. Io cerco solamente di mettere delle idee del film, che poi devono danzare insieme. L’importante è la ricchezza dei contenuti, che non deve mai mancare, per dare più spunti e punti di vista e che poi possa dialogare, muoversi e sfiorarsi in modo sensuale e attraente. Magari più ci sono idee e più il film sarà politicamente stimolante. Insisto su “sensuale” perché voglio che l’elemento del desiderio sia sempre presente. Il desiderio di avere altre idee.
Infine c’è stato un doppio intervento sulla condizione del cinema dopo la pandemia, in cui si è parlato non solo della crisi della sala, ma anche di come essa abbia inficiato sulla creatività degli autori:
Il cinema ha continuato, per cui la creatività non si è inaridita. Se pensiamo al circuito film-cinema-spettatore allora siamo stati molto colpiti duramente, anche se la crisi in questo senso già si stava avviando. Ma paradossalmente questa situazione ha creato nuove possibilità, nuove collaborazioni. Se si definisce come la possibilità di fruizione del cinema solo la sala, allora forse abbiamo un punto di vista un po’ limitato. Dico che questo è il momento di riflettere sulla definizione di cinema, che per me è la qualità dell’intimità che si crea tra film e spettatore. Se si continua ad insistere solo per salvare le sale cinematografiche, rischiamo di perdere qualcos’altro. Bisogna riflettere su un’arte molto più grande delle semplici condizioni di fruizione.
Ultimo commento sull’esperienza di girare durante il lockdown:
Sicuramente ci sono tantissimi aspetti legati ai protocolli, ma si possono integrare molto facilmente. Da questo punto di vista questo film ha creato comunque pochi problemi: poco girato in studio e pochi attori. Tuttavia è stata comunque un’esperienza diversa: girare un film è di solito creare un lockdown personale, stavolta invece è stato possibile creare noi qualcosa di uovo in mondo realmente vuoto. Anche solo vedere una mascherina abbassarsi è stato un momento di gioia. Nel film ci sono tante immagini cariche di questi momenti e penso che la sua atemporalità sia dovuta proprio alla sua collocazione nel momento che abbiamo attraversato.
Petite Maman arriva al cinema il 21 ottobre.