La storia insegna che proprio lì dove si è fatta oppressione spesso e volentieri si formi il terreno fertile per la nascita di una forma di resistenza e, con il favore della sorte, di una rivoluzione. Le oppressioni possono essere di diversa natura, noi concentriamoci su quella psicologica. Ciò che accomuna tutte le sue forme è il terrorismo, nel nostro caso la paura della fine: l’idea ossessiva di essere ormai di fronte ad un baratro senza nessuna possibilità di procedere senza sprofondare al suo interno. Tornare indietro? Rimanere fermi? Le soluzioni più “logiche”. Ma, se vale la regola di cui sopra, non sorprende che l’unica risposta è quella di trovare un modo per andare avanti. Resistenza. E quindi eccoci di nuovo a parlare di futuro. Futuro nel cinema, ovviamente. Futuro impossibile per tanti, che si fermano ad immaginare la fine del presente. Ma se si volesse andare oltre? Da dove cominciare? Magari dagli uomini del futuro, magari imparare ad aiutarli, guidarli e da loro farci guidare. Dopotutto non possono essere in grado di attraversare il baratro da soli. Fortuna che qualcuno ancora ci prova a prenderli per mano. Rivoluzione.
Nella recensione di C’mon C’mon vi parliamo del nuovo lungometraggio di Mike Mills, presentato in anteprima mondiale all’ultima edizione del Telluride Film Festival e parte della Selezione Ufficiale della XVI edizione della Festa del Cinema di Roma. Quarto film di uno dei maggiori esponenti del cinema indie statunitense, che per l’occasione ha reclutato uno degli attori più importanti del panorama moderno (anche se a dir la verità Mills non è per nulla un neofita in quanto a collaborazioni eccellenti).
Accanto a Joaquin Phoenix, lo zio, recitano i bravissimi(ssimi) Woody Norman e Gaby Hoffmann, figlio e madre, ma anche nipote e sorella. Sono loro i componenti del triangolo familiare intorno al quale ruota tutto l’impianto del film, animato da una miriade di sfumature che compongono le logiche relazionali che li legano tra loro e con agli altri componenti del microcosmo che li circonda.
Loro sono la navicella per il viaggio nel futuro su cui ci fa imbarcare Mills, per un viaggio attraverso le mille voci dei ragazzi protagonisti delle interviste. Rotte in grado di modificare l’assetto del mezzo di trasporto, dai cui finestrini ci affacciamo noi spettatori, nella speranza di riuscire a far tesoro delle testimonianze e portarle alla meta.
Un’idea affascinante, per quanto molto complessa, che richiederebbe uno sguardo scientifico, forse troppo.
Il film ci prova fino alla fine, cercando un equilibrio tra sentimento e testa. Ma siamo uomini anche noi, una alla fine prevale sempre sull’altra, per fortuna.
Johnny e Woody, Woody e Johnny
Johnny (Phoenix) è un giornalista radiofonico intento a realizzare un servizio di grande portata, che lo porta in giro per gli Stati Uniti armato di microfono per intervistare i giovani riguardo la loro visione del futuro. Tra una camera di albergo e l’altra, la sua mente però non può fare altro che viaggiare indietro nel tempo, alla morte della madre e allo screzio che ha avuto con sua sorella Viv (Hoffman), dopo il quale non ha più avuto modo di incontrare suo nipote Jesse (Norman) di 9 anni.
È sull’onda di una di queste serate che l’uomo si ritrova con il cellulare in mano a programmare di passare a trovarli a Los Angeles, dove avrà modo di occuparsi del bambino intanto che la donna è impegnata nell’ennesima missione di soccorso della sua vita. Stavolta nei riguardi del marito.
Così si incontrano di nuovo Johnny e Jesse, che, loro malgrado, si ritroveranno a trascorrere insieme più tempo del previsto, spostandosi tra LA, New York e New Orleans, e scoprendo un legame che li vuole molto più simili di quanto entrambi potessero mai immaginare. La madre sempre dall’altra parte del telefono, a monitorare da lontano i suoi due uomini, mentre il terzo appena può fugge dal suo raggio d’azione.
Johnny appunta, registra, cerca di analizzare il nipote e la crescita di questo nuovo e inaspettato rapporto che sta generando in lui delle nuove e inaspettate domande. Prova anche a convincere Jesse a farsi intervistare. Invito che il giovane declina riproponendo il gioco dell’orfano oppure minacciando di non addormentarsi se non dopo la lettura di un buon libro.
Tutti tentativi di mettere un filtro tra la lui e la sua vita.
Dopotutto è un giornalista, un osservatore, quindi un voyeurista per definizione (noi ne sappiamo qualcosa, diventa una tendenza quasi incontrollabile, c’è qualcuno di ben più importante di chi sta scrivendo questo articolo che fa spesso coming out), ma è impossibile farlo quando si tratta di occuparsi di qualcuno.
Viaggio in bianco e nero
Dopo un lungometraggio sul rapporto paterno e uno su quello materno, Mike Mills propone una storia in cui prova a descrivere le logiche di un ipotetico trio familiare, ma con lo scopo di comporlo davanti ai nostri occhi, farcelo conoscere e farlo conoscere anche a loro, in modo da catturarli (e catturarci) in una genuinità dalle forte tinte sentimentali.
Phoenix torna dopo Joker in un ruolo molto più canonico, lontano dal fascino del disturbo e del problematico e più vicino alla dolcezza solitaria che ne ha fatto le fortune in altre occasioni, pur proponendoci una visione di sé più vicina alla realtà. Realtà che con la scelta del bianco e nero il regista cerca di respingere, consegnando allo spettatore un lavoro che vuole rimanere nella sua dimensione di viaggio mentale, tornando al colore solo quando deve toccare terra (capita nei titoli di coda, per ricordare la memoria di uno dei ragazzi intervistati).
Ci sono diversi livelli nel film, perché nella costruzione del rapporto tra Johnny e Woody, pensato come una costante altalena in cui l’uno si occupa dell’altro e viceversa, si aggiunge l’enorme impianto emotivo di una madre che da avere un figlio solo se ne ritrova ben tre, con il rischio di esaltare al punto il potere femminile da condannarlo a dover mantenere un ruolo di responsabilità anche per degli uomini del futuro, che a quanto pare fanno fatica a crescere.
Il merito del regista è quello di ben integrare questa doppia storia di formazione dalla struttura molto classica (l’incontro, il viaggio, l’accettazione, la crisi e la risoluzione) in un contesto concettuale veramente molto ampio. Le interviste ai bambini sono delle voci molto eterogenee, che spaziano dal parlare del rapporto tra pari al futuro del pianeta, ma sono molto efficaci nel pretendere un ascolto comune, in un mondo che i giovani non li ascolta più.
Johnny e Jesse sono dunque costretti a crescere da soli, ascoltando e facendo loro queste mille voci che riecheggiano nelle cuffie del giornalista, lontano dalla figura femminile e dovendo rinunciare a formule prefabbricate su internet per il successo nelle relazioni.
Concludiamo la recensione di C’mon C’mon con una domanda: dopo tanto parlare (bla, bla,bla), leggere, ascoltare, viaggiare e domandare si arriva alla fine ad una conclusione efficace? Forse si, forse no. Sappiamo solo che il futuro è incerto e pieno di paure e che quindi ogni tanto va anche bene non sentirsi bene per forza. Non si può prevedere tutto, però si può fare il tifo per le cose a cui teniamo. Non mi pare poco.
C’mon C’mon arriva nelle sale italiane il 7 aprile 2022.
C'mon C'mon è il quarto lungometraggio di Mike Mills, in anteprima mondiale al Telluride Film Festival e nella Selezione Ufficiale della XVI Festa del Cinema di Roma, con protagonisti Joaquin Phoenix, Woody Norman e Gaby Hoffmann. Doppio racconto di formazione incastonato in un triangolo familiare dai contorni ben definiti, in cui viene affrontata la necessità di mettersi in discussione nel rapporto con i giovani, aperti alla possibilità di farci guidare da loro verso un futuro a cui tutti noi siamo impreparati. Ad arricchire il film la presenza delle tante interviste realizzate ai ragazzi, testimonianze preziose ed eterogenee riguardo le tante tematiche che stanno loro a cuore.
- Le prove recitative di tutti gli attori, anche molto ben integrati.
- Il messaggio del film è importante e ben costruito.
- I tanti spunti di riflessione potrebbero arricchire.
- L'eccessiva assunzione di responsabilità potrebbe essere per il femminile un'arma a doppio taglio.
- Le modalità e risvolti del viaggio di formazione potrebbero lasciare poco sorpresi.
- I tanti spunti di riflessione potrebbero confendere.