Una delle parole chiave che ha contribuito al successo del Marvel Cinematic Universe è “linea editoriale” (due parole, scusate), la cui efficacia ha col tempo reso l’universo di casa Disney un punto di riferimento per tutti i suoi simili, talmente attraente da aver cambiato per sempre l’immaginario del pubblico dei cinecomic. Un’istituzione, un parente ingombrante da cui emanciparsi. Alcuni hanno provato a farlo, minando la sicurezza della loro stessa esistenza, come i cugini della DC, che solo con l’ultimo Suicide Squad di James Gunn stanno recuperando terreno, dopo un processo di rassegnazione che li ha portati a strizzare più di un occhio ai toni feigiani (anche se vogliamo qui ribadire la bontà di Man of Steel), altri, semplicemente, sono andati in confusione, come nel caso del Venom di Ruben Fleischer, sempre Marvel, ma di parte Sony. Il film del 2018 non aveva convinto soprattutto per il tono che voleva dare al personaggio, vittima di un equivoco, di un’estraniante stare nel mezzo, peccato originale di una pellicola totalmente squilibrata fin dal suo concepimento. L’obbligo per gli autori era dunque ripartire e indovinate invece di cosa si sono preoccupati?
Nella recensione di Venom 2 – La furia di Carnage ci troviamo di fronte ad una pellicola nata forse più che altro per le cifre impressionanti registrate al botteghino (poco più di 800 milioni di dollari), magari merito della scena post-credits che anticipava l’introduzione del Cletus Kasady di Woody Harrelson. Se pensate che la nostra sia una cattiveria vi invito a ricordarvi che la Sony stessa ha tenuto a precisare la esigua durata del film. Comunque la vediate, tutti indizi che hanno fatto squillare un campanello nella testa dei produttori, i quali hanno pensato di cambiare… il giusto. Alla fine il film ha incassato bene.
Via Ruben Fleischer (che in verità è rimasto produttore) e dentro Andy Serkis, ancora più coinvolto Tom Hardy, che ha messo mano anche alla storia, e dentro altri due personaggi, interpretati da Naomie Harris e Stephen Graham. Per gradire anche doppio cambio di pettinatura per Harrelson e Michelle Wiliams. Nuovo scopo? Trovare una dimensione per Venom nella sua versione da Protettore Letale e garantirgli un futuro. Poi che il risultato ottenuto sia migliore di quello precedente è tutto da dimostrare, come anche la voglia di ottenerlo.
L’unica cosa da non cambiare assolutamente era l’incisività delle scene post-credit, vuoi vedere che salvano anche questo film?
Il gioco delle coppie
Si riprende grossomodo da dove ci eravamo lasciati, con il nostro Eddie Brock che ha appena fatto la conoscenza del serial killer dai capelli rossi, il quale ha deciso (per qualche motivo) di aprirsi con lui prima di percorrere il suo personalissimo miglio verde, magari sfruttandolo per fare arrivare un messaggio alla sua bella dalla voce stridula. Cletus è però noto per essere stato sempre sfortunato con i legami affettivi e, anche questa volta, si sceglie un amico che “tradisce” puntualmente la sua fiducia, nel caso specifico rivelando alla polizia il luogo di sepoltura delle sue ultime vittime, con aiutino del vostro amichevole simbionte di quartiere. La loro locazione era l’unica cosa che separava Kasady dalla sua fine annunciata. Occhio per occhio.
Brock è di nuovo sulla cresta dell’onda, ma ha più di un problema a gestire la convivenza con il suo alter ego alieno, soprattutto per una questione di alimentazione, piuttosto irrisolvibile, anche con tutta la buona volontà. Il culmine del litigio tra i due ci regala probabilmente la scena più divertente insieme ad un momento molto Gollum/Smeagol (e come poteva mancare?) in un film che vuole prendersi poco sul serio sempre, comunque e ingiustificatamente.
Ma Eddie è uno sfigato, si sa (Venom lo chiama anche “parassita”, appellativo che invece Brock riservava a lui nel primo film, magari suggerimento di un ribaltamento dei ruoli?) e destino vuole che l’allontanarsi di Anne (Williams) coincida con un riavvicinarsi di Cletus, che in modo rocambolesco acquisisce parte del simbionte presente in lui.
Da una luna di miele all’altra, la fine di un rapporto sancisce l’inizio di un altro e improvvisamente è Kasady quello che si ritrova ad avere un motivo per gioire del calore che provi solo quando trovi qualcuno con cui poter realmente condividere l’esistenza, specie se lo hai aspettato per tutta la vita e si palesa proprio quando la fine sembra essere ormai sopraggiunta.
Poi chi sia questo qualcuno è tutto da vedere. L’unica cosa certa è che i triangolo amorosi possono spaventare persino i simbionti.
Damigella in pericolo
Il titolo di Serkis sceglie di fare le cose quanto meno in maniera ordinata, il minimo indispensabile per evitare la grande confusione che ha segnato il primo titolo sin dai primi minuti, salvo poi perdersi comunque andando avanti. Dunque imbastisce una struttura da subito riconoscibile, ma non per questo efficace, squilibrata nei tempi (si parte velocissimi, poi si rallenta e poi si accelera di nuovo nel finale) e molto datata.
Tutta la parte centrale del film è fondamentalmente un buddy movie tra Eddie e Venom, nel quale ci si concentra sulla definizione del loro rapporto, cercata attraverso continui battibecchi basati su un’ironia forzata e che lascia più di un dubbio riguardo al pubblico per cui è stata pensata. Un tira e molla da terapia di coppia con in mezzo anche un discorso sulla necessità di accettare se stessi. Lo sviluppo della trama è invece una continua danza di motivazioni e legami che riguardano i sei personaggi (tutti attori importanti, tutti diretti non proprio bene) di ben poco mordente, tanto da segnare un solco profondo tra la credibilità dell’avversione di Kasady per Brock e quella che riguarda il conflitto tra i due simbionti, riassumibile in un superficiale odio paterno.
La deriva che prende la pellicola non permette comunque uno sviluppo degli antagonisti, anzi, tra i due ne esce meglio Carnage, la cui presenza è veloce e indolore, al contrario di quella di Cletus, a cui si è voluto anche regalare un background banale e monco. Per non parlare degli altri, che ne escono benino solamente perché il minutaggio a loro dedicato è piuttosto esiguo.
L’alieno rosso regala l’unico momento horror veramente convincente della pellicola, che coincide anche con la sequenza in cui la CGI è realmente sufficiente, dato che anche lo scontro con Venom non è così impressionante, ma lì è anche la regia a non dare una mano.
Una serie di ingredienti, combinazioni possibili, discorsi accennati (c’è qualcosa sull’importanza di assumersi le responsabilità ad un certo punto) e di personaggi che vengono fagocitati dalla fretta di essere ai propri posti quando si leverà il grido di “damigella in pericolo”, anticamera del finale, come accadeva nei cinecomic di fine anni ’90 ed inizio millennio. Fuori tempo e progettato in un modo talmente sciatto da non suscitare neanche nostalgia. Dall’attesa del cambiamento alla rassegnazione al cambiamento funzionale, così concludiamo la recensione di Venom 2 – La furia di Carnage, un titolo nato per dare un futuro solamente commerciale al simbionte sul grande schermo, insistendo in maniera neanche troppo convinta verso un taglio che, magari, si possa integrare con una linea editoriale già avviata.
Venom 2 – La furia di Carnage è al cinema dal 14 ottobre.
Venom 2 - La furia di Carnage diretto da Andy Serkis è il sequel dedicato al simbionte più famoso di casa Marvel interpretato da Tom Hardy, che per l'occasione divide la scena con Woody Harrelson, Michelle Williams, Naomie Harris e Stephen Graham. Tanti nomi importanti per una pellicola squilibrata e con più o meno gli stessi limiti della prima, improntata su un modello di cinecomic datato e mal reso e forse, oggi, irricevibile, ma che ha il merito di definire un tono per il personaggio, che per quanto discutibile, può garantirgli un futuro.
- C'è un futuro per Venom al cinema.
- La struttura del cinecomic adottata è passata e forse, oggi, irricevibile.
- Andy Serkis non convince dietro la macchina da presa.
- L'ironia è insistita e monocorde.
- La scrittura dei personaggi è superficiale e la sceneggiatura è confusionaria.
- Le prove attoriali sono mortificate dai limiti della pellicola.