La scorsa settimana ci ha lasciato Jay Leiderman, “l’avvocato degli hacker“, come era noto per la sua pluriennale attività di difesa legale a sostegno di diversi hacktivist che avevano sfidato il Governo degli USA. Leiderman è morto di arresto cardiaco a 50 anni.

L’attività di Jay Leiderman era diventata nota al pubblico a partire dal 2021, dopo che il The Atlantic gli aveva dedicato un interessante ritratto. A suo volta, Leiderman era un attivista per i diritti civili e un sostenitore degli attacchi informatici come strumento per sensibilizzare il pubblico e protestare contro le autorità. La maggior parte dei suoi lavori erano pro bono: rappresentava i suoi clienti gratuitamente.

Durante la sua carriera ha rappresentato più volte hacker membri dei diversi collettivi della galassia di Anonymous. Spesso Leiderman non aveva grossa fortuna in aula, dove i suoi clienti in più occasioni hanno ottenuto sentenze esemplari. Se la sua tesi che vedeva l’hacking come una forma di protesta legittima spesso non ha persuaso i suoi giudici, la carriera di Leiderman è comunque stata costellata anche di importanti successi che hanno almeno in un paio di occasioni cambiato la giurisprudenza americana.

Fu uno dei primi avvocati a sostenere che le forze dell’ordine non avevano il diritto di perquisire gli smartphone dei sospettati senza un mandato. Sebbene nel 2012 in aula la sua tesi non ebbe la meglio, solamente due anni dopo la Corte Suprema gli diede ragione, cambiando le regole a cui devono attenersi le forze dell’ordine con una sentenza che ha fatto la storia.

Con la sua morte, il mondo degli hacktivisti americani ha perso un’importante figura di riferimento.