LinkedIn è accusato di aver sistematicamente sovrafatturato gli importi addebitati agli inserzionisti pubblicitari. Lo avrebbe fatto – soprattutto – sovrastimando il numero di visualizzazioni delle inserzioni, in modo da poter addebitare al cliente un importo non coerente con i risultati effettivamente ottenuti dal servizio.

Un giudice statunitense ha accolto le accuse di sovrafatturazione della parte attrice – un gruppo di inserzionisti, guidati dall’azienda TopDevz Inc -, mentre ha respinto altre ipotesi di illecito per frode e concorrenza sleale.

La tesi è che una serie di fattori – dai bot, ai click fraudolenti, passando per i cosiddetti click accidentali  – inquinino i risultati delle metriche fornite da LinkedIn agli inserzionisti. Certo, su questi presupposti, vale la pena di chiedersi se ci troviamo davanti a problemi specifici di LinkedIn, o se al contrario si possa parlare di una situazione comune a qualsiasi piattaforma online.

LinkedIn un grave problema effettivamente lo aveva, per stessa ammissione del social di Microsoft, che a novembre aveva detto di aver risolto alcuni glitch che avrebbero portato ad oltre 400.000 casi di sovrafatturazione.

Gli avvocati della parte attrice sostengono che LinkedIn conti le inserzioni come ‘visualizzate’ anche quando l’utente si limita a scorrerci distrattamente sopra per una frazione di secondi. Conterebbe anche le cosiddette riproduzioni ‘offscreen’, quando il video pubblicitario viene riprodotto dopo che l’utente ha già scrollato in basso.

LinkedIn nella giornata di ieri ha commentato pubblicamente la causa, spiegando di aver sempre “garantito la trasparenza e l’integrità dei suoi servizi pubblicitari“.

LinkedIn inoltre sostiene che degli oltre 400mila casi di sovrafatturazione avvenuti nel 2020, oltre il 90% non abbia superato i 25 dollari. Il caso verrà discusso davanti ad un giudice del Northern District of California.