La vita del pescatore è una vita durissima, passata tra le onde del mare assaporando la terra in rarissime occasioni, soprattutto per coloro che lavorano sulle lunghe tratte. Insieme a Bruno Di Meglio, pescatore dell’Argentario, andiamo a scoprire i segreti di un peschereccio a strascico e come è cambiato negli anni questo antico e nobile mestiere.
Quando tornerai a terra potrai raccontare la vita di noi pescatori, tutti i giorni dell’anno con o senza pioggia, con il freddo e con il caldo. I miei problemi li lascio al porto e li ritrovo a terra, quando navigo siamo io il mare e basta: perché dovrei allontanarmi da questo paradiso?
Bruno Di Meglio, fa di professione il pescatore dalla veneranda età di sei anni, quando per la prima volta il padre lo fece salire su un peschereccio. Ora gli anni sono più di settanta e dopo una vita passata ad attraccare e salpare da porto Santo Stefano, e non solo, l’idea di smettere ancora non si fa sentire.
In Italia la professione del pescatore è a rischio per diversi motivi: per l’impegno sociale e soprattutto quello fisico. Non è una gran vita diciamocela tutta, lo stare in mare rappresenta più del 70% delle giornate dell’anno, il tutto per cercare di portare cibo di qualità (dopo capiremo che c’è modo e modo di pescare) a coloro che lo richiedono.
Bruno Di Meglio con il suo peschereccio Nettuno Secondo, è uno degli ultimi pescatori dell’Argentario che realizza le tratte “lunghe”, quelle tratte di cinque o sei giorni per cercare il pesce migliore o quello più pregiato.
Ormai i pescatori escono per tornare la sera presto, si fanno poche miglia e di conseguenza la qualità del pescato ne risente. Capisco che stare molte notti fuori – racconta Bruno Di Meglio – è un sacrificio, ma è così che s’impara il linguaggio del mare, è ricercando e appuntandosi le tratte non ordinarie che si torna a casa con il miglior pesce della zona, purtroppo questo sacrificio lo vedo sempre di meno nelle nuove leve.
La vita di un pescatore che si dedica alla pesca d’altura è scandita dalle calate delle reti; le classiche parti della giornata come il dormire e il mangiare sono completamente ribaltate, il più delle volte si dorme tra una calata e un’altra.
La vita di un pescatore che si dedica alla pesca d’altura è scandita dalle calate delle reti.
I componenti della navi pranzano e cenano semplicemente quando arriva lo stimolo della fame e proprio per questo motivo all’interno del peschereccio si crea una sorta di micro vita sociale con regole nuove dettate dalle esigenze del mare.
Bruno Di Meglio ha un taccuino dove sono appuntati più di cinquant’anni di navigazione, le tratte dove trovare più o meno pesce, le correnti e le zone più difficili da navigare. Quando il capitano sceglie la zona si buttano le reti a mare e si rallenta la navigazione, a seconda della profondità restano calate le reti da un minimo di mezz’ora fino ad un massimo di due ore, dopodiché si tirano le reti a bordo e si inizia la divisione del pesce e la conseguente pulizia che deve essere fatta in modo molto rapido per non far rovinare il prodotto pescato.
La vita vissuta all’interno di Nettuno Secondo è una vita diversa da quella che si vive nella terraferma perché tutto è racchiuso in una ventina di metri, le azioni da fare sono poche e tante allo stesso modo: ci sono le rotte da segnare nel diario (i pescatori le rotte se le creano mano a mano), il suono della sirena di notte, i pasti in cabina mangiando ciò che si è appena tirato su dalle profondità marine e poi l’orizzonte, il sole che muore in quello spicchio di mare, rattoppare le reti e questo per cinque, sei giorni di seguito, poi si rientra al porto, un giorno di pausa e si riprende la navigazione.
Come si realizza la rete fa capire molto sul modo di pescare di quella determinata persona, le reti fatte dalla nave di Bruno (come sicuramente altre navi) sono a maglia larga, una tecnica che fa fuoriuscire molto pesce nel momento dello strascico e che non lo uccide all’istante, cosicché quello che viene ributtato a mare rimane sempre vivo.
Purtroppo in questi ultimi anni abbiamo potuto constatare l’aumento dell’inquinamento marino e anche nei mari locali ci sono sempre meno specie e purtroppo anche in zone come l’Argentario si trovano dei fondali devastati da rifiuti di tutti i tipi.
Capita spessissimo di tirare in barca oltre al consueto pesce anche elettrodomestici vari e tanto altro e questo non fa di certo bene alla qualità del pescato. Le microplastiche vengono ingerite dai pesci oppure si sedimentano sui fondali ed è inevitabile, nonostante la pulizia più scrupolosa possibile, che il pescato sia in qualche modo contaminato.
Ecco perché ci sono ancora i pescatori di “lunghe tratte” come Bruno, tantissimi giorni in mare, ma con la consapevolezza che meno ci si trova vicino alle coste e più c’è possibilità di trovare del pesce più “pulito”.
Una volta una pescheria mi chiamò per una richiesta un po’ bizzarra, un personaggio importante doveva fare una cena di gala e voleva assolutamente gamberi freschi e aragoste.
Condizioni meteo le peggiori, mare forza sette nel mese di dicembre, ma chi mi chiamò già sapeva che sarei salpato e difatti dopo tre ore tornai con diverse casse del pesce richiesto.
Le fasi all’interno della Nettuno Secondo, come abbiamo detto prima, sono scandite dalle famose calate delle reti e dal loro ritorno in barca. Ci sono calate che possono durare ore intere, altre che durano di meno, dipende dai fondali e dalle zone che si è andato a perlustrare. Seguendo gli appunti, scritti in anni e anni di uscite, si manovra la barca cercando di non far incagliare le reti in scogli o in fondali particolarmente sconnessi. Non c’è pausa: si calano le reti continuamente, giorno e notte a tutte le ore, il tempo che si sta in mare si sfrutta tutto.
Appena si decide di tirare in barca la rete c’è la pulizia e lo sporzionamento del pesce, si divide il pesce adatto alla vendita da quello non funzionale, quello che non rimane in barca ritorna immediatamente in mare e le reti a maglia larga, oltre a far fuoriuscire molto pesce nella risalita, fanno sì che il pesce al suo interno non sia più di tanto compresso con una buona percentuale totale di pesce vivo da ributtare in mare. Il pesce dopodiché va lavato (solitamente con l’acqua di mare) e preparato per essere posizionato nella cella frigorifera, anche il sale con il quale va organizzato deve essere di qualità in quanto influisce sulla qualità finale del cibo.
Durante le calate si deve stare sempre attenti a far rimanere la barca con un’andatura lineare, proprio per non far impigliare la rete o farla annodare su se stessa, ed è proprio nel momento che la rete sta in mare che i pescatori possono (a turno) “vivere” la barca in maniera più libera.
Ci si può riposare o nel piccolo dormitorio con letti a castello oppure direttamente in cabina, con l’avviso della sirena che ricorda a tutto l’equipaggio che è ora di tirare su il pesce dal mare. Si può mangiare sia nella sala dedicata alla cucina sia nella cabina di pilotaggio in cui ogni cosa deve essere perfettamente ancorata: un peschereccio solca i mari più tempestosi in ogni stagione, ecco perché a bordo ci sono pochi oggetti e quei pochi sono per lo più appoggiati in supporti di legno per far sì che non cadano con il rollio della barca.
I pranzi, o cene, all’interno del peschereccio hanno il vantaggio di poter, il più delle volte, godere di pesce freschissimo e di gran qualità, gli orari sia dei pranzi che delle cene sono totalmente sballati, in quanto si mangia esclusivamente con lo stimolo della fame e non con i classici orari ed è per questo che dopo il primo giorno di navigazione anche il ritmo circadiano viene stravolto.
Si dorme quando è giorno, si mangia magari alle 3.00 di notte tra una calata lunga di varie ore e poi ci riposa un’altra volta verso le 10:00 del mattino, insomma una vita regolata dalle reti e dal ritmo che danno alla nave.
I rumori sono molto forti all’interno del peschereccio, un motore che tiene alto sempre i giri per poter navigare sempre alla stessa velocità, una barca nonostante la piccola stazza con un grandissimo peso, dato dall’attrezzatura e a fine viaggio anche dal pescato.
Non nego che pescare sottocosta a livello di salute e anche di tempo sarebbe molto più conveniente, ma la ricerca di alcune categorie di pesce, la possibilità di cercarlo anche più pulito e perchè no cercare anche di “ripulire” la zona che battiamo tirando su nelle nostre reti tutti gli scarti e immondizia che c’è purtroppo nel nostro mare per noi ormai è diventata per noi quasi una sorta di missione.
L’ultima fase della vita di un equipaggio di un peschereccio è quella del ritorno al porto di partenza. Si riprendono tutte le casse di pesce pescato nella settimana dalla cella frigorifera, si ripuliscono di nuovo e le si portano al mercato della compravendita del pesce, un altro micromondo nel quale tutti cercano di fare il proprio prezzo e vendere al miglior offerente il lavoro della settimana.
Bruno nella settimana di viaggio che mi ha ospitato nella Nettuno Secondo mi ha raccontato le sue più grandi avventure: una vita piena di sacrifici, ma che comunque lo rende felice ed orgoglioso. Mi ha raccontato di quante volte ha rischiato la vita (ci sono cicatrici nel suo corpo che lo testimoniano), dei delfini che appena passato le Bocche di Bonifacio si avvicinano alla sua barca nuotandogli vicino per giorni e giorni, delle tempeste incredibili che ha dovuto affrontare e di quel taccuino che lo rende così orgoglioso perché è frutto di sessant’anni di navigazione e che vorrà donare al più meritevole. Bruno è sposato e ha delle bellissime figlie che gestiscono (guarda caso) una pescheria.
Bruno Di Meglio, insieme agli altri pescatori con più esperienza di porto Santo Stefano, sta cercando di avvicinare i giovani a questa nobile professione che reputa un’attività molto importante per l’economia del paese che è giusto sia tramandata nel migliore dei modi.
Anche perché come scrisse Jacques-Yves Cousteau:
Dopo l’istante magico in cui i miei occhi si sono aperti nel mare, non mi è stato più possibile vedere, pensare, vivere come prima.