Nell’epoca pre-pandemica sembrava che l’intero Occidente dovesse difendere a ogni costo il diritto di Hong Kong di preservare correnti le sue politiche democratiche. Da allora sembrano passati secoli, semplicemente non se ne parla più, ma il processo di assimilazione prosegue e ora tocca il mondo del cinema.

Un emendamento alle norme censorie di Hong Kong impone ora ai cinema dell’isola di tenersi lontani da tutte quelle pellicole che mettono a repentaglio la “sicurezza nazionale”. Non solo, i burocrati dovranno assicurarsi di bloccare la pubblicazione di quei prodotti filmici che sono in grado di ledere “la responsabilità comune delle genti di Hong Kong di salvaguardare la sovranità, l’unificazione e l’integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese”.

Per quanto l’impianto normativo non sia ufficialmente un riflesso di quello della Cina continentale, è legittimo pensare che il Governo attingerà alla questione della “sicurezza nazionale” per far combaciare la programmazione di Hong Kong con quella approvata dal Partito Comunista.

Tali sospetti sono cementati dal fatto che il mondo della produzione cinematografica locale non abbia avuto alcuna voce in merito alla questione, nessuno è stato interpellato, non sono state chieste opinioni. Semplicemente è stato deciso dall’amministrazione, la quale, va ricordato, si è spurgata da ogni presenza favorevole alle politiche democratiche.

L’unica “consolazione” è che, perlomeno, la censura sia stata finalmente introdotta in via formale: già da tempo il Governo centrale stava mettendo naso su quali film potessero o meno uscire nei cinema di Hong Kong, quindi la libertà delle sale di proiezione esisteva solamente su carta. Ora neppure su quella.

 

Potrebbe anche interessarti: