Colonial Pipeline: l’FBI ha già sequestrato 2,3 milioni di dollari in Bitcoin, tra quelli pagati per il riscatto

Nella giornata di oggi l’FBI ha annunciato di aver già rintracciato e recuperato parte del riscatto in criptovalute pagato dalla Colonial Pipeline, l’importante oleodotto oggetto di un violento attacco ransomware a fine maggio. I federali hanno recuperato circa 2,3 milioni di dollari in criptovalute, si tratta di una vittoria fondamentale, nonché di una delle prime operazioni in assoluto, della nuova Ransomware Task Force.

Sfruttando la trasparenza della Blockchain, l’FBI ha rintracciato e sequestrato 63,5 Bitcoin usati per pagare il riscatto ai criminali portando ad una prima vittoria formidabile della nuova Ransomware Task Force.

La Colonial Pipeline, le cui operazioni erano state interrotte dall’attacco degli hacker, aveva deciso di pagare un riscatto da 4,3 milioni di dollari, temendo che una strada diversa avrebbe portato a disservizi prolungati e insostenibili per l’economia americana. L’azienda rifornisce il 43% del carburante usato nell’East Coast degli USA.

L’FBI, apprendiamo da una nota diramata nella sera di ieri, è riuscita a rintracciare e recuperare 63,7 bitcoin, che grossomodo equivalgono a 2,3 milioni di dollari. Le forze dell’ordine hanno sfruttato la trasparenza della Blockchain usata dal sistema dei Bitcoin – dove tutte le informazioni sulle transazioni sono pubbliche – per seguire i movimenti della criptovaluta, riuscendo ad intervenire laddove le criptovalute erano finite su wallet virtuali e aggredibili. I federali non entrano nel dettaglio, ma il comunicato spiega che l’agenzia è riuscita a recuperare alcune delle private key dei criminali, consentendo il sequestro dei Bitcoin.

Gli attacchi ransomware sono diventati una delle principali (e più redditizie) minacce informatiche a livello mondiale. Il successo della nuova Ransomware Task Force, ad ogni modo, rivela con estrema prepotenza come nulla sia irreversibile, nemmeno quando i criminali utilizzano metodi di pagamento alternativi e, sulla carta, a prova di censura.

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