In recessione e in periodo di crisi non è insolito che aziende e grandi industriali decidano di premere l’acceleratore sull’automazione della sfera lavorativa per “robotizzare” alcune delle mansioni di più facile gestione. Un simile sviluppo tecnico può però privare del lavoro le fasce più vulnerabili di molti settori, con le donne che sono in prima linea nell’incassarne il contraccolpo.

Queste sono le conclusioni raggiunte da una ricerca promossa dall’International Economic Analysis Department della Bank of Canada, ricerca che ha preso a riferimento i dati statunitensi per poi paragonarli allo spaccato di 25 differenti nazioni, evincendo che l’ipotesi formulata possa essere estesa su scala globale.

Bisogna innanzitutto riconoscere che la creazione di nuovi impianti automatizzati possa dare vita a inediti ruoli manutentivi e operativi che prima non esistevano, tuttavia è anche vero che certe mansioni non specializzate rischiano di scomparire proprio a causa dell’avvento di intelligenze artificiali e affini. Queste mansioni non specializzate vedono le lavoratrici di sesso femminile in prima linea nel subire il contraccolpo derivante dall’innovazione dei mezzi.

La pandemia, a livello globale, ha già tendenzialmente danneggiato le donne più di chiunque altro, non fosse altro perché il divario salariale del mondo del lavoro favorisce ancora oggi i dipendenti e i liberi professionisti uomini, elemento a cui va aggiunta la tendenza al relegare la donna al ruolo di custode del focolare domestico e degli scalmanati fanciulli che a lungo non sono potuti andare a scuola.

Come al solito, insomma, la tecnologia riflette i limiti della società che viviamo. Considerando che probabilmente le automazioni ci accompagneranno per il resto dei nostri giorni, bisogna dunque iniziare a chiedersi come gestire la rimodulazione del mondo del lavoro, magari nell’ottica di riappianare certi deficit che ci accompagnano da troppo tempo.

 

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