Le difficoltà nelle trasposizioni delle opere teatrali su finalmente, anzi FINALMENTE (possiamo ora dirlo non solo metaforicamente) grande schermo sono innumerevoli e spesso e volentieri l’equazione pièce di successo: film di successo non risulta esatta. Ma d’altronde, linguaggi diversi, esigenze diverse.
Nella recensione di The Father (in Italia The Father – Nulla è come sembra, in pieno triste stile nostrano) vi parliamo di una pellicola che non solo riesce brillantemente ad uscire vincente da questo passaggio, ma si spinge oltre, restituendo al cinema un ruolo privilegiato tra i medium adibiti nel proporre un certo stile linguistico e affrontando la tematica della vecchiaia, una vecchiaia violenta per la precisione, molto spesso evitata (una paragonabile per potenza, a memoria, può essere Amour di Haneke) oppure edulcorata o usata come mezzo per parlare di altro (quest’anno su Prime Video è uscito I Care a Lot, per fare un esempio recente).
Come ce l’ha fatta? Forse perché il regista e sceneggiatore del film è Florian Zeller, lo stesso dell’opera teatrale (vincitrice di un Molière) da cui il film è tratto o per il lavoro di montaggio di Giōrgos Lamprinos o per la splendida scenografia, oppure, ancora, per le sontuose interpretazioni dei due protagonisti, Olivia Colman e Anthony Hopkins, vincitore del suo secondo Oscar come miglior attore. Uno dei due Oscar vinti dal film. L’altro è quello per la sceneggiatura non originale. Che sia lei invece la principale indiziata?
The Father – Leaving Anne
Anthony vive in un appartamento a Londra ormai da qualche tempo. E diciamo che ci è molto affezionato. Nato nel 1937 ed ex ingegnere di una certa bravura, viene accudito dalla figlia primogenita Anne, la quale quotidianamente passa a trovarlo per sincerarsi delle sue condizioni e, all’occasione, rimetterlo in riga. Come la mattina in cui inizia la storia, questa volta perché ha litigato la sua ultima badante, spingendola a licenziarsi. Ennesima della lista. La lavata di testa è però stavolta insolita, data la paura di dare una notizia importante all’uomo. Dalla quale, probabilmente, non tornerà più indietro.
La prima sequenza di The Father potrebbe essere, di fatto, un corto, in grado però di introdurre i punti focali della pellicola e gettare allo spettatore l’ultima estremità di un gomitolo di lana che per il restante minutaggio del film dovrà cercare di tenere salda nelle proprie mani nel tentativo di orientarsi. Lui, insieme al protagonista.
In un percorso organizzato secondo le fasi dell’accettazione dell’abbandono della figlia Anne (metafora della parte sana), Zeller scrive una storia che porta lo spettatore a compiere un viaggio nella testa di Anthony, afflitta da demenza, vissuto secondo un tempo appiattito, frammentato e spesso riavvolto. Un percorso costruito metodicamente in modo da esaltare la casa dove è ambientato, che prende sempre più la forma della mente dell’uomo, in continuo cambiamento, ma comunque uguale, abitata da fantasmi che parlano amorevolmente con figure di cui il protagonista confonde volti e identità. Un luogo di relazioni, impreziosite ancora di più da una cura linguistica esemplare.
Il tutto assume presto le sembianze di un lento cadere in un vortice oscuro, che però stavolta prende forma intorno anche a noi e ci porta a diventare vittime di quel sacro terrore che porta alla perdita dell’Io. Come un albero sconquassato dal vento e dalla pioggia.
Zeller and ‘ The Father ‘
I due punti focali su cui è imbastita la scrittura di Zeller sono la costruzione del rapporto tra padre e figlia e i vari tentativi della mente del protagonista di resistere a se stessa.
Il primo è esaltato dalla prove dei due tenori, meravigliosi tanto nelle loro scene insieme quanto nei loro momenti in solitudine. Alfieri del complesso rapporto tra le loro due figure. Costrette in un walzer vissuto tra odio e amore in cui domina il ricatto morale di un papà anziano, che, nelle sue mille difficoltà, torna ad assumere gli atteggiamenti di un bambino impaurito, costretto a mordere la mamma, fantasticante una sua indipendenza impossibile, manifestata violentemente con l’urlo minaccioso “I will overlive you“, per poi, in un momento di lucidità, ringraziarla nel più tenero dei modi. Dall’altra parte una figlia / mamma che vive l’intero rapporto in equilibrio precario tra questi due poli inconciliabili, cercando di ritardare il più possibile la scelta, approdo al suo status naturale, perché consapevole che alla fine dovrà decidere tra lei e lui e dunque divenire il solo tra i suoi due essere a condurla alla scelta salvifica.
Il secondo nasce dall’orologio, un orologio per il viaggio (uno dei due che Anthony ha sempre con sé: al polso e nella testa), che il protagonista continua a perdere in ogni occasione; prosegue con un quadro, eco di un passato sempre vicino; poi con una cena a base di pollo, fulcro del tempo distorto, e finisce con l’appartamento stesso, l’ultimo posto sulla Terra. Punti fermi, cavilli, foglie, che permettono alla mente di avere ancora l’illusione di orientarsi nel mezzo del confusionario decadimento che avviene intorno a lei e che scansionano la degenerazione della malattia e l’accettazione di un abbandono, sinonimo del compiersi di un destino. Crudo, spietato e naturale, come quello di tanti, come quello di tutti.
Il secondo Oscar di sir Anthony
Zeller ci mostra la demenza nella sua natura filosofica: un disturbo dissociativo del tempo e dello spazio. La sua penna ci permette di comprenderla e di osservarla, il montaggio ci permette di viverla, la scenografia ci chiude al suo interno.
Un film meraviglioso proprio perché un film, strabiliante nella sua capacità di piegare le regole del medium cinematografico alla sua forma, proponendoci un lavoro che più che prima di essere una trasposizione è pensato per essere un lavoro per lo schermo.
Ma dulcis in fundo della nostra recensione di The Father c’è Anthony Hopkins. Sopito spesso nelle sue interpretazioni, sornione e consapevole di essere uno dei più grandi attori viventi, abbandona il pilota automatico e regala una delle migliori (migliori) prove della carriera. Solo questo dovrebbe bastare a convincervi a vedere un film indimenticabile.
The Father – Nulla è come sembra è in sala dal 20 maggio in lingua originale e dal 27 doppiato in italiano.
The Father è lo straordinario adattamento cinematografico dell'omonima piéce teatrale, con la qualche condivide anche regista e sceneggiatore. Florian Zeller disegna un viaggio pressoché perfetto nella mente malata di un uomo anziano, pensando ad un film d'interni che ha nel montaggio e nella scenografia i suoi due punti di forza per coinvolgere lo spettatore. Olivia Colman è ancora una volta pazzesca, ma, non ce ne voglia, Anthony Hopkins, al suo secondo Oscar, regala un'interpretazione indimenticabile, in grado di ricordare a tutti che lui è, ancora, uno dei migliori, se non il migliore, attore vivente.