Mars Helicopter Scout, per gli amici Ingenuity è un elicottero-drone che opera sul pianeta Marte congiuntamente alla missione della NASA Mars 2020. Il velivolo è stato trasportato all’interno del rover Perseverance ed è atterrato su Marte il 18 febbraio 2021. Cerchiamo di comprendere la sua importanza sia tecnologica che storica perché si tratta di un tassello fondamentale da inserire nella storia dell’umanità.
Fu un volo di 12 secondi, incerto, ondeggiante e traballante… ma fu finalmente un vero volo e non una semplice planata.
I fratelli Wright durante il primo volo del 17 dicembre del 1903 esclamarono questa frase che rappresenta probabilmente l’inizio di una nuova era, quella della conquista del cielo, delle nuvole e infine dello spazio.
Probabilmente in quel primo volo c’era la speranza da parte degli stessi Wright di provare a realizzare un mondo più interconnesso, ma non avrebbero mai pensato che poco più di cento anni dopo si sarebbe discusso del primo volo marziano.
L’evento di Ingenuity è straordinario, paragonabile ad Armstrong e al suo primo passo sulla Luna: cerchiamo di capire perché è stato così epocale.
Non è un caso che la traduzione di Ingenuity sia ingegnosità: nel suo primo volo come elicottero in un altro pianeta la Nasa, JPL, e Ingenuity scrivono la storia strizzando l’occhio proprio ai fratelli Wright. Ma prima di addentrarci nella straordinaria tecnologia di questo piccolo elicottero facciamo un piccolo passo indietro per comprendere al meglio questo successo così straordinario.
Il primo volo dei fratelli Wright
Nel 1903, su una spiaggia desolata del Nord America, due fratelli in assoluto silenzio (mediatico) fecero quello che Ingenuity sta facendo oggi sul suolo marziano: il primo volo meccanico di uno strumento artificiale realizzato dall’uomo. Pochi secondi in aria per poter scrivere ufficialmente la storia, proprio come Ingenuity.
A differenza di Ingenuity il Wright Flyer, il primo aeroplano a staccarsi da terra, non fu documentato ne da giornalisti ne da fotografi, ma chiaramente sappiamo che quel primo esperimento fu un successo in quanto subito dopo ce ne furono tanti altri. Dopo numerosi esperimenti con alianti e mezzi analoghi, Wilbur e Orville Wright si dedicarono all’installazione di un motore, con trasmissione a cinghia, su una cellula sostanzialmente identica a quella del loro ultimo aliante.
Il progetto del loro Flyer (“aviatore”, così battezzarono il loro primo velivolo motorizzato) era molto simile a quello del loro aliante del 1902, il quale a sua volta aveva conservato l’architettura complessiva dei suoi predecessori in un processo di evoluzione molto graduale.
Scartata l’idea dell’aliante i fratelli iniziarono a pensare a delle idee per il Flyer: novità che avrebbero permesso ad un oggetto di quelle dimensione di volare. Tra queste innovazioni citiamo gli impennaggi raddoppiati, sia anteriormente che posteriormente, e ovviamente l’introduzione di un sistema di motopropulsore. La configurazione era sempre quella del biplano canard, con una struttura in abete rosso e copertura in mussola, il pilota invece assumeva sempre una posizione prona; solamente, questa volta era collocato poco lontano dall’asse di simmetria dell’aereo, per compensare l’opposta eccentricità del motore. Uno dei fratelli, in una posizione supina all’interno del velivolo per dodici secondi è riuscito a staccare il velivolo da terra, consegnando quell’esperimento come il primo volo della storia.
Già il primo Wright Flyer aveva tutti gli elementi di base di quello che poi sarebbe stato un aereo moderno: le ali portanti, le eliche di spinta (anche se poste nel retro), la coda controllabile e uno stabilizzatore di punta.
Gli esperimenti dei Fratelli Wright dopo quel volo di dodici secondi continuano senza tregua e già nel 1909 iniziano a documentare voli controllati con passeggeri (addirittura anche il presidente degli Stati Uniti d’America William Howard Taft prova uno dei velivoli dei Fratelli).
I primi voli erano comunque di breve distanza, si sorvolava semplicemente il campo dove si effettuavano gli esperimenti cercando di girare intorno ad un ostacolo posizionato al centro. La tecnologia di questi velivoli si è poi sviluppata rapidamente, se solo pensiamo alla due Guerra Mondiali con gli aerei assoluti protagonisti dei conflitti. Senza dubbio il Wright Flyer del 1903 è considerato il primo aeroplano (macchina volante motorizzata più pesante dell’aria) ad aver eseguito un volo controllato, sostenuto e prolungato con un pilota a bordo ed è stato la scintilla che ci ha portato fino ad Ingenuity.
I fratelli Wright avevano ideato il loro aereo praticamente da zero, investendo tempo e denaro portando avanti ricerche che oggi definiremmo all’avanguardia. Oltre all’importanza del motore lo studio delle ali fu d’importanza vitale. L’innovazione dell’epoca fu l’uso dell’alluminio nella costruzione dei basamenti dei motori, un metallo che forniva leggerezza mantenendo grande resistenza: sarebbe diventato d’uso comune nel mondo aeronautico.
Ma è con le ali che i Fratelli Wright fanno il vero salto di qualità.
I due fratelli infatti cercarono di comprendere a fondo i principi basilari dell’aerodinamica osservando il volo degli uccelli, proprio come fece Leonardo Da Vinci. Dalle prime prove fatte con gli alianti, infatti, avevano capito l’importanza del controllo delle superfici alari, in particolare di quello che sarebbe diventato il controllo dello svergolamento alare. Nonostante i vari studi, ancora non si era riusciti a capire l’importanza del profilo alare nella costruzione dell’aeromobile e difatti i primi aerei avevano spessori molto sottili, dettati unicamente da condizioni di rigidezza strutturale.
Per un volo più lungo con una struttura alare molto più radicata e vicina a quella dell’era moderna dobbiamo aspettare l’avvento della Prima Guerra Mondiale con il lavoro del laboratorio di Aerodinamica dell’Università di Göttingen. La Germania detenne per molti anni una superiorità militare, in quanto molti designer adottarono il thick airfoil, conosciuto anche come Göttingen 298; tra i più famosi ad utilizzare questo profilo Anthony Fokker che, con il suo triplano Fokker Dr.I, divenne noto a tutti come il “Barone Rosso” von Richthofen.
La nascita del sogno “dell’uomo con le ali” deriva dal contributo di tanti scienziati, come i fratelli Wright, di Nazioni e visionari accomunati dallo stesso sogno: volare.
Un tributo ai Fratelli Wright su Marte
Grazie al piccolo elicottero Ingenuity la NASA e il JPL hanno avuto il loro momento “Fratelli Wright” su Marte vista la grandissima importanza dell’evento e a giudicare dalla soddisfazione della stanza di controllo al Jet Propulsion Laboratory, sono stati 40 secondi di assoluto successo ed emozione.
I Fratelli Wright effettivamente hanno in qualche modo passato il testimone ad Ingenuity in quanto un frammento del rivestimento delle ali del Wright Flyer è stato inserito a bordo del piccolo elicottero drone della NASA.
Il frammento proviene dal Carillon Historical Park (Ohio), dove si trova il museo nazionale dedicato ai due grandi fratelli aviatori. Il museo fu contattato direttamente dalla NASA proprio in previsione della missione di Perseverance e del piccolo elicottero Ingenuity. Ovviamente gli eredi dei Fratelli Wright, Amanda e Stephen Wright, hanno acconsentito con estremo entusiasmo.
Wilbur e Orville Wright sarebbero felici di sapere che un frammento del loro Wright Flyer I, la macchina che ha lanciato l’Età dello Spazio volando appena per un quarto di miglio, sta per fare la storia di nuovo su Marte
Non è la prima volta in realtà che in queste missioni c’è un piccolo ricordo di magari missione passate che hanno avuto successo. Un altro frammento del Wright Flyer fu portato sulla Luna da Neil Armstrong, nel 1969, nel corso della missione Apollo 11. Oppure sempre un altro piccolo pezzo di quelle ali era tra gli effetti personali dell’astronauta John Glenn, durante un viaggio dello Space Shuttle, ventiquattro anni fa.
Ingenuity come Ingegnosità
È proprio quello che ha permesso di realizzare questo piccolo drone: ingegnosità.
Proprio perché sembrava un’idea folle l’ingegno le conoscenza e il coraggio hanno permesso di concretizzarla e realizzare il piccolo drone che sta segnando la storia. Si tratta infatti di un mezzo che vola su un altro pianeta, nello specifico si tratta di una dimostrazione tecnologica per testare per la prima volta il volo controllato e motorizzato su un altro pianeta. Ora siamo abituati a vedere dei velivoli sopra le nostre terre. Se pensiamo ai droni ormai non ci stupiscono più ora possono trasportare anche pacchi a destinazione.
Ma cosa succede se si pensa di far volare un drone su un altro pianeta? L’idea magari sembra di semplice realizzazione, ma non è proprio così. Siamo su un altro pianeta e le condizioni non sono identiche a quelle della Terra. Per mettere in pratica quanto idealizzato è stato necessario rivedere le tecniche di costruzione per far volare un mezzo meccanico su Marte, obiettivo della missione. Pur essendo tra i pianeti del sistema solare quello più simile alla Terra, la sua conformazione attuale presenta caratteristiche che bisogna prendere in considerazione.
Analizzando la superficie marziana ricca di formazioni vulcaniche e geologiche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi si pensa che in un lontano passato possa esserci stata dell’acqua in superficie e nella sua atmosfera. Marte ha temperature medie superficiali piuttosto basse tra −120 e −14 °C, e un’atmosfera molto rarefatta con una pressione atmosferica che è meno dell’1% rispetto a quella della Terra.
Si ipotizza che la sua atmosfera sia scomparsa da circa quattro miliardi di anni, i venti solari colpiscono quindi direttamente la ionosfera mantenendola così piuttosto sottile per via della continua asportazione di atomi dalla parte più esterna della stessa.
La gravità su Marte è circa 0,376 volte quella terrestre e la sua massa è l’11% rispetto a quella del nostro pianeta.
Tenendo presente queste differenze gli ingeneri e i tecnici hanno dovuto progettare un drone capace di volare in condizioni estreme e che fosse autonomo. L’idea di portare un piccolo drone su Marte è venuta proprio a giovani ingegneri del laboratorio JPL, Jet Propulsion Laboratory. Questo laboratorio e centro di ricerca e sviluppo è di proprietà della NASA ed è gestito gestito dal California Institute of Technology: qui si realizzano le sonde spaziali senza equipaggio della NASA.
È un micro sistema che si nutre del lavoro generato dalla passione e dalla volontà di esplorare oltre le proprie conoscenze di giovani tecnici e ingegneri. Qui c’è stata l’idea un po’ folle di costruire un drone che potesse volare in autonomia su un altro pianeta e grazie alla visione e lungimiranza dei dirigenti questo è stato realizzabile.
“Girl Power” in quel di Marte con Ingenuity
Per molti anni nelle stanze di controllo della NASA non si sono viste donne. Ad oggi finalmente ci sono moltissime donne che collaborano all’interno di molti progetti oltre a diverse capo reparto di missione come quella di Persevarance.
L’ultima delle bellissime storie che ruotano attorno a questo mondo è proprio riferito a Perserverance e la sua missione. Se avete seguito le fasi dell’ammartaggio vi siete sicuramente accorti che la voce narrante di quei concitati momenti era quella di una donna. Si trattava di Swati Mohan, il capo del gruppo che controlla la traiettoria e le operazioni della missione Mars 2020 della quale fa parte il rover Perseverance.
Mohan è nata in India ed è immigrata negli Stati Uniti d’America con la sua famiglia quando aveva solamente un anno. Si è appassionata allo spazio grazie alla serie Star Trek (Sheldon Cooper sarebbe orgoglioso) e, quando aveva 16 anni, ha deciso che lo spazio doveva rappresentare il suo futuro e lavoro. Laureata in ingegneria aerospaziale all’Università di Cornell, ha poi conseguito il dottorato al MIT. È stato proprio questo ultimo dottorato a portarla al JPL dove ha fatto parte del team della missione Cassini, prima di iniziare con la missione “Mars 2020” nell’ormai lontano 2013.
Insieme alla voce narrante e capo traiettoria di Perseverance (e ovviamente di Ingenuity) c’è anche un’altra donna che ha contribuito al successo di questa straordinaria missione: Diana Trujillo. Partita dalla Colombia da sola a 17 anni e arrivando negli Stati Uniti d’America con 300 dollari in tasca e senza sapere l’inglese, inizialmente la giovane Trujillo doveva mantenersi senza alcun supporto della famiglia, pagandosi gli studi facendo la donna di servizio.
Ha iniziato a studiare ingegneria aerospaziale all’Università della Florida, ma la vera svolta della sua carriera è venuta quando è stata scelta comeprima ragazza ispanica ammessa alla NASA Academy, ricevendo successivamente subito un’offerta di lavoro dall’agenzia.
Ha conseguito la laurea in ingegneria all’Università del Maryland specializzandosi negli strumenti per l’esplorazione robotica del sistema solare. Nel 2009 è diventata ingegnere delle telecomunicazioni del Rover Curiosity (ammartato nel 2012), poi, nel 2014 è stata nominata capo missione. Dopo numerose missioni e studi, nonché anche donna immagine NASA per moltissime situazioni, Diana adesso fa parte del gruppo dei Flight Director di Perseverance: una macchina complessa e delicata, capace di muoversi in relativa autonomia, ma che deve essere controllata continuamente da vari team che si alternano al JPL, pronti ad intervenire immediatamente in caso di qualsiasi imprevisto.
Oltre a controllare che i movimenti non trovino ostacoli il suo compito è anche quello di far fare a Perseverance varie azioni come analizzare i campioni di suolo che i geologi pensano essere interessanti da studiare e raccogliere quelli da sigillare in contenitori stagni in attesa della missione di ritorno a Terra. Per quanto riguarda il drone Ingenuity si è trovata più volte a controllare che le operazioni di volo fossero andate a buon fine, all’interno del team dedicato alle missione del piccolo elicottero.
Gli obiettivi di Ingenuity
Ingenuity è una dimostrazione tecnologica per testare per la prima volta il volo controllato e motorizzato su un altro mondo. Sembra tutto un po’ banale, ma l’obiettivo è talmente sfidante che già le singole milestone sono dei veri e propri test di sopravvivenza.
Essendo la prima volta che viene costruita una cosa del genere, si è dovuto pensare intanto a costruirla in modo che potesse resistere al lancio. Già, perché le sue dimensioni non gli avrebbero permesso di sfidare da solo il lungo viaggio e pur essendo custodito all’interno di Perseverance non si era sicuri che la sua sistemazione potesse resistere al 100%. E una volta passato indenne il lancio il viaggio era ancora lungo.
Appurato che il viaggio fosse andato bene, i tecnici hanno poi testato la salute del drone prima dell’atterraggio e infine l’ultima fase delicata è stata la fase di sgancio. Il rover era praticamente ripiegato su se stesso per riuscire a stare dentro alla “pancia” di Perseverance. E, come un uomo che si sveglia da un lungo sonno, Ingenuity ha iniziato prima a sgranchirsi le gambe e poi a stirarsi per bene.
Dopo essere arrivato sulla superficie marziana, c’era ancora molto da fare prima di lanciarsi nel suo primo volo: controllare le comunicazioni con il rover e con gli operatori di volo sulla Terra, controllare la propria temperatura cercando di restare al caldo autonomamente durante la freddissima notte marziana che può arrivare fino a meno 90 gradi Celsius, ricaricarsi autonomamente utilizzando il pannello solare integrato, monitorare il consumo energetico giornaliero.
Una volta testati tutti i parametri vitali è stato necessario testare le parti meccaniche. Quindi sbloccare le pale del rotore per la prima volta su Marte prima a bassa velocità e poi alla velocità di volo pianificata mentre era ancora appoggiato sulla superficie.
Tutto questo lo ha fatto da solo, autonomamente. Non è possibile infatti pilotare qualcosa così lontano perché il segnale di telecontrollo per giungere sulla Terra impiega circa 22 minuti.
Ingenuity è riuscito a farlo grazie alla capacità di uomini e donne di studiare, progettare e realizzare ogni singolo step. E dopo tutta questa fatica, era finalmente libero di librarsi in volo su Marte. Il lavoro del pioniere comunque non termina qui, e sempre da solo deve decollare e alzarsi in volo nella sottile atmosfera marziana e poi infine atterrare con successo.
Anatomia di un piccolo elicottero marziano
Sappiamo ora che il piccolo elicottero è riuscito nella sua più grande impresa. E ancora non ha finito di stupirci. Mentre guardiamo attoniti i suoi progressi, vediamo come è fatto e come è riuscito a fare ciò che ha fatto. Le dimensioni contano. Tutto ciò che vola nello spazio deve avere dimensioni ridotte e deve essere leggero per risparmiare in carburante: Ingenuity pesa infatti solo 1,8 Kg.
Leggero però non significa fragile, infatti nonostante le sue sembianze lo facciano apparire gracile in realtà ha una struttura molto robusta. Il drone-elicottero è dotato di quattro pale in fibra di carbonio appositamente realizzate, disposte su due rotori che ruotano in direzioni opposte a circa 2.400 giri al minuto, una velocità che è otto volte più veloce di un elicottero che trasporta passeggeri sulla Terra. Un’anima forte per sopravvivere non solo al viaggio, ma anche al duro ambiente marziano dopo essere arrivato in superficie.
Leggero, robusto, ma anche potente.
La potenza è necessaria per decollare nella sottile atmosfera di Marte. L’atmosfera di Marte è meno dell’1% della densità di quella terrestre, questo significa che il drone deve avere una certa portanza per sostenere il volo. La portanza è la forza esercitata sulle ali, è quella forza che permette ad un mezzo di sostenersi in volo. Questa forza dipende da diversi fattori ed è proporzionale alla densità dell’aria, al quadrato della velocità della corrente d’aria e alla superficie investita dalla corrente stessa, con un coefficiente di proporzionalità che dipende dalla forma dell’ala e dall’angolo di incidenza della corrente d’aria su di essa.
Va da sé che la la portanza è lineare con la densità del fluido in cui è immerso e quindi minore è la densità e più alta sarà la velocità con cui dovranno girare le pale. Su Ingenuity il rotore contro rotante coassiale è necessario per per poterlo stabilizzare sul suo asse verticale passante e ha un diametro di 1,2 metri con una rotazione pari a 2400 rpm. Un pannello solare aiuta a mantenere la batterie al litio cariche, batterie che sviluppano una potenza massima di 350 Watt: il pannello solare carica le batterie agli ioni di litio, fornendo energia sufficiente per un volo di 90 secondi durante il giorno marziano, a distanze di quasi 300 metri alla volta e a circa 10-15 piedi da terra.
Insomma, volare su Marte non è un’impresa da poco rispetto al primo volo di dodici secondi dell’aereo dei fratelli Wright sulla Terra.
L’elicottero vola da solo, senza controllo umano. Deve decollare, volare e atterrare, con comandi minimi dalla Terra inviati in anticipo. L’energia è necessaria non solo per il volo, ma anche agli altri elementi che consumano energia a bordo di Ingenuity: i sistemi di controllo di assetto, i sistemi di comunicazione, fotocamera e sensori. Il corpo è dotato di isolamento e riscaldatori per mantenere calda l’elettronica sensibile e sopravvivere alle fredde notti marziane.
Il sistema di controllo non è molto diverso da quello del tipico drone a cui siamo abituati: monta un processore da cellulare, uno Snapdragon 801 con sistema operativo Linux e con una potenza di calcolo di un paio di ordini di grandezza maggiore di quella usata per il rover Perseverance. La sua avionica, o meglio tutto l’equipaggiamento elettronico necessario per il pilotaggio di cui è dotato un aeromobile, include i sistemi di navigazione e di comunicazione, autopiloti e sistemi di condotta di volo.
Le antenne radio comunicano con la Terra tramite il rover Perseverance e gli orbiter di Marte.
I sensori raccolgono dati sulla velocità di spostamento dell’elicottero e in quale direzione. Le telecamere aiutano l’elicottero a vedere. Ogni struttura di Ingenuity è stata pensata affinché il piccolo velivolo possa essere autonomo. Basta osservare le gambe di appoggio: a prima vista somigliano alle zampe di un insetto viste al microscopio. La loro forma è stata studiata affinché il drone possa rimanere stabile senza la possibilità di rovesciarsi atterrando sulla superficie irregolare del pianeta rosso.
Ingenuity poi deve sapersi orientare: dato che non può utilizzare un sistema come il GPS terrestre, ma deve farlo in autonomia, utilizzando giroscopi, altimetri e inclinometri. Non essendoci un campo magnetico apprezzabile, la tradizionale bussola elettronica, che serve per rilevare l’orientamento, è stata sostituita da un solar tracker. In più è presente una telecamera a colori per le riprese aeree e c’è anche un sistema VPS, ovvero telecamere orientate verso il basso che visualizzano il terreno per la navigazione e il mantenimento della posizione.
Ingenuity nasce con lo scopo di testare e dimostrare quali sono le tecnologie necessarie per volare nell’atmosfera marziana. Ovviamente i successi raggiunti permettono di poter applicare queste tecnologie ad altri veicoli volanti robotici avanzati che potrebbero essere inclusi in future missioni robotiche e umane su Marte.
Ci offre inoltre un punto di vista unico che non è fornito dagli attuali satelliti che orbitano intorno a Marte o dai rover e lander sul suolo marziano. Potrà in futuro fornire immagini ad alta definizione e ricognizioni per robot o umani avendo accesso a terreni difficili da raggiungere per i rover, perchè sappiamo benissimo che Marte dovrà essere sempre di più un luogo a noi “amico”.
Ricordando le parole di Buzz Aldrin “Marte è lì, in attesa di essere raggiunto“, ora il pianeta rosso sembra effettivamente ancora più vicino.
Articolo scritto a quattro mani con Margherita Farella.