Nel 2020 la pandemia ha fatto sì che molti, moltissimi, si riversassero sugli acquisti online, tuttavia la branca europea di Amazon risulta magicamente in perdita e si salva dalle tasse sulle imprese. Anzi, il Paese che ospita i suoi uffici amministrativi, il Lussemburgo, le offre anche un credito d’imposta da 56 milioni di euro, in modo che possa scalarle dalle imposte di eventuali profitti futuri.

Amazon è sul lastrico? No, non proprio, anche se ha dichiarato 1,2 miliardi di perdite. In effetti la strategia applicata dalla gigante dell’e-commerce è sempre stata la stessa per anni: investire un sacco di soldi in infrastrutture e progetti, così da aumentare la propria influenza e la propria appetibilità di mercato pur risultando sempre in “rosso”.

La corporate tax si basa d’altronde sui profitti, non sui ricavi, quindi fintanto che la Big Tech dimostra di non aver guadagnato, può assicurarsi dei regimi estremamente agevolati che diventano ulteriormente interessanti grazie al trattamento di favore che Amazon riceve dal Lussemburgo.

Non solo il minuscolo Paese garantisce una fiscalità molto vantaggiosa, ma il suo Governo si dimostra anche ben felice di assecondare le necessità dell’azienda, anche quando l’Europa stessa si oppone apertamente. Un esempio concreto lo si è visto nel 2017, quando la Commissione Europea aveva stabilito che la Big Tech dovesse pagare alla nazione 250 milioni di tasse, con l’establishment locale che ha reagito alla notizia facendo ricorso.

Ribadiamo: la legge ha stabilito che un’azienda privata dovesse pagare milioni di tasse a una nazione e la nazione si è ribellata al punto di scomodare i tribunali internazionali.

La situazione di Amazon con le tasse non è quindi illegale, ma fa ampiamente leva su un dedalo fiscale che, in tempo di pandemia, sembra quanto mai evidente e smaccato. Un dedalo che a intervalli regolari porta tutti i Paesi Membri a considerare l’introduzione di una “web tax” che vada a frenare il dumping fiscale.

 

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