Con la recensione di Zero, la serie tv supereroistica italiana di Netflix, disponibile sul servizio streaming dal 21 aprile 2021, scopriamo la storia di un ragazzo comune, il cui destino sembra essere già segnato. Ormar è inconsapevole del suo potere, quello dell’invisibilità, che rappresenta anche il suo modo di sentirsi: invisibile agli occhi della società.
Quest’ultimo vive con il padre e la sorella Awa (Virgina Diop) in un appartamento situato in una delle zone periferiche della città di Milano, la Barona. Consegna le pizze per lavoro e nel tempo libero, con la musica a palla nelle orecchie, come a voler lasciare tutti fuori dal suo mondo interiore, da ciò che lo fa sentire a suo agio, disegna manga giapponesi con protagonisti supereroi dalla pelle scura e il numero Zero sopra la maglietta dei personaggi, che ricorda quella lasciatagli dalla madre anni prima.
Si tratta di una canotta che nella vita di Zero è a dir poco significativa, quanto un braccialetto regalatogli dalla madre, venuta a mancare quando ancora era bambino. Omar custodisce entrambi gli oggetti come fossero reliquie, indossandoli tutte le volte che può, soprattutto quando il suo potere comincia a manifestarsi.
La maglietta con la scritta 0 diventa quindi il simbolo del supereroe, o meglio dell’eroe moderno.
Il protagonista, infatti, si considera un ragazzo come tanti quando decide di imbarcarsi in una lotta contro il magnate della società immobiliare La Sirenetta, il quale sembra voler cacciare le persone meno abbienti dal Barrio per creare un quartiere d’elité. In che modo agisce Omar? Usando il suo potere a fin di bene, senza mai fare del male fisico a qualcuno.
Per la prima volta nella sua vita Omar non è solo. In questa battaglia contro il male, per salvare le case del quartiere, è accompagnato da nuovi amici: Inno, Momo, Sara e Sharif. Quest’ultimo è il primo ad accorgersi del suo potere durante un inseguimento che vede coinvolti i due personaggi: l’evento segna l’inizio di una grande amicizia e permette a Zero di scoprire il suo potenziale, grazie appunto alla prima manifestazione del suo potere dell’invisibilità.
Nel corso della serie tv Omar e i suoi amici si scontreranno con Rico, un malvivente il cui scopo è quello di aumentare il degrado del Barrio (Barona), per volere del proprietario de La Sirenetta (o c’è qualcuno più in alto di lui a dettare legge?). Ci prova e ci riesce. Come? Appiccando incendi, dando vita ad atti di vandalismo nei confronti di cose e persone fisiche e mettendo in difficoltà l’intera città, anche provocando danni alla centrale elettrica, per esempio. Il motivo? “Un quartiere degradato fa abbassare i prezzi, così gli immobili si comprano a poco”.
Rico non è l’unico personaggio che metterà alla prova il protagonista e i cinque amici: La Vergine – una donna intrigante e misteriosa dall’inizio alla fine – ne è la prova, così come gli uomini che battono cassa per gli affitti, sempre più elevati. Non manca infine l’incontro con l’amore per Omar: una ragazza di nome Anna, a cui il ragazzo consegna la pizza nel primo episodio, e di cui man mano si innamora sempre più, tanto da mettere in discussione se stesso e il suo ruolo di eroe moderno della città.
La recensione di Zero: il potere dell’invisibilità
Della serie tv di Netflix colpisce l’importante ruolo che le emozioni giocano nella manifestazione del potere dell’invisibilità, aspetto che mette in evidenza non solo la complessità interiore del personaggio protagonista, ma anche il suo essere umano, un giovane pieno di sogni, di sentimenti, di speranze e di problemi, reali quanto quelli di tutte le altre persone.
Dalle sue emozioni, quelle vissute da Omar in un determinato momento – che siano di gioia o di dolore non ha importanza, il risultato è sempre lo stesso -, scaturisce anche la sua diversità, che lo rende speciale per due motivi: il primo è che il potere viene usato solo per scopi giusti e senza recare danni fisici agli antagonisti della storia; il secondo è che, nonostante la capacità di diventare invisibile, il giovane non si sente superiore a nessuno. Anzi, fosse per lui, se ne andrebbe dal quartiere, dove è rimasto per rispetto verso il padre e il suo lavoro, senza neanche approfondire la questione “superpoteri”.
Nella recensione di Zero abbiamo detto che il potere dell’invisibilità è guidato dalle emozioni.
Di conseguenza, come è facile intuire, ciò comporta dei problemi a livello di concentrazione e di resistenza. Il potere, infatti, può manifestarsi in situazioni che richiedono presenza fisica. Inoltre, un’emozione improvvisa può far sì che il protagonista non riesca a restare invisibile per il tempo necessario a compiere il suo dovere. Possiamo dire che questo è uno degli aspetti più interessanti del personaggio, per le conseguenze che poi ne derivano, ed è anche reso bene dalle scelte stilistiche.
Tra l’altro, in questo modo viene sottolineata anche l’universalità del personaggio, perché, mettendo il luce le sue emozioni e i limiti dettati da esse, le persone riescono a riconoscersi in lui, a instaurare un legame di empatia e quindi a sentirlo più vicino a loro.
Altro elemento che rende godibile la serie tv di Netflix, in uscita il 21 aprile sul servizio streaming, è la grafica adottata per sottolineare il confine e il contrasto tra realtà e invisibilità. Il giovane, quando è alle prese con il suo potere e secondo ciò che noi vediamo sullo schermo, vede quello che accade intorno a sé in bianco e nero: Omar, nella scena vista dallo spettatore, è l’unico visibile a colori, proprio a mettere in evidenza il suo status di eroe in azione e quindi, in quel dato momento, sottolinearne la diversità rispetto agli altri, il suo essere speciale. Uno status che il protagonista sta cercando di accettare.
La struttura degli episodi e la sceneggiatura
Zero è composta da 8 episodi in totale, della durata di circa venti minuti l’uno, caratterizzati da un andamento poco incalzante, ma in grado di mantenere l’attenzione del pubblico grazie ad alcuni colpi di scena ben assestati e al lavoro minuzioso sui dettagli.
Ogni episodio si conclude con una piccola svolta narrativa, non sempre così significativa ma comunque necessaria per spiegare alcune dinamiche a cui assisteremo in un prossimo futuro.
Una particolarità della struttura, che non è sempre presente, ma riguarda alcuni episodi, è quella di mostrare all’inizio della puntata una scena che verrà poi ripresa nel corso dell’episodio stesso, in modo da dire qualcosa in anticipo senza però rivelare troppo, lasciando così lo spettatore sulle spine. Inoltre, la storia vede il coinvolgimento di Giuseppe Dave Seke (interprete di Omar) anche come narratore della serie: la sua voce fuori campo viene usata in tutti gli episodi per raccontare il suo personaggio ed esprimere i suoi pensieri in modo indiretto.
La storia che stiamo presentando nella recensione di Zero è strutturata in maniera abbastanza lineare, ad eccezione di alcuni flashback, presenti per tutta la durata della serie tv. Questi rimandi al passato sono usati sapientemente, perché ci permettono di capire, per quanto possibile, cosa è accaduto anni addietro, prima che la madre di Omar morisse.
“Capire”, in effetti, è un parolone. Nel caso dei flashback c’è un po’ di confusione. La volontà sembra quella di svelare sempre più, ma in modo caotico, per lasciare lo spettatore con alcuni dubbi in merito al legame tra il padre e la madre di Zero, non particolarmente approfondito, e alla verità riguardante il passato del protagonista, anche in riferimento al suo potere. Una scelta – se di scelta si tratta – condivisibile e funzionale, soprattutto in vista di una possibile seconda stagione. Un po’ di ordine nel dire e non dire, però, avrebbe fatto la differenza.
Attraverso i flashback lo stesso Omar inizia a ricordare qualcosa del suo passato e delle sue origini: non ci viene mostrato ciò di cui il protagonista è già consapevole, ma quello che nemmeno lui ancora conosce, o meglio, ciò che riaffiora nella sua memoria man mano. La cosa più interessante, infatti, è che Omar ricorda di pari passo con gli spettatori – non c’è qualcuno che sa prima degli altri -, portandoli con sé nel suo viaggio verso la scoperta di se stesso.
Per quanto riguarda la sceneggiatura in sé, è comprensibile e molto significativa la volontà di utilizzare un gergo giovanile, che accomuna tutti i protagonisti e in linea con la modernità del tempo. La storia raccontata, infatti, vede coinvolti ragazzi italiani di colore, ma di nazionalità diverse, che trovano nella lingua italiana – tra di loro parlano con accento milanese, veneto – , un ulteriore punto di incontro. Questo è un buon modo per mettere in risalto l’unità di gruppo, anche se inizialmente Omar è restio a lasciarsi andare.
Stimolante è anche la scelta di utilizzare i social, che diventano il primo mezzo di comunicazione, al di là del dialogo diretto tra i protagonisti, nella lotta per salvare le loro case. L’uso dei social, o meglio il modo in cui essi vengono utilizzati, ci permette di empatizzare sempre più con i personaggi perché li sentiamo uguali a noi.
C’è un “ma”: era necessario ripetersi nella battute? Come chiamarsi sempre allo stesso modo – “Ehy Bro!” oppure “Zio!” -, e in maniera tanto ridondante da innervosire chi guarda? Non c’è un episodio in cui ciò non accada quando i protagonisti si confrontano. Sentiamo queste parole anche tre o quattro volte in una breve conversazione. È giusto dare rilievo a un linguaggio adatto alla circostanza, ma senza abusare dei termini. Della sceneggiatura c’è anche da dire che i dialoghi mancano di originalità, non c’è uno studio accurato dietro, ma nel complesso i messaggi che si vogliono trasmettere passano tutti senza problemi.
L’interpretazione degli attori
Ciò che convince solo in parte è la direzione dei giovani protagonisti, ma è bene ricordare che gli episodi sono diretti da quattro registi diversi – Ivan Silvestrini, Paola Randi, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin: gli attori, sebbene a livelli diversi, appaiono spesso innaturali nella loro interpretazione – in particolare quando si tratta di scene di gruppo -, come se stessero semplicemente facendo il loro compito: ripetere le battute del copione, uno dietro l’altro, talvolta anche in maniera poco metodica, senza trasmettere forti emozioni o dare un senso di autenticità, se non in certi casi. Insomma, mancano i giusti tempi di battuta, perché più volte si assiste a un susseguirsi di frasi veloci, a mo’ di botta e risposta, irritanti.
Nel complesso però gli attori – vi ricordiamo che perlopiù sono giovani emergenti nel settore -, se la sono cavata bene, nonostante le imprecisioni: a spiccare in tal senso sono Giuseppe Dave Seke (Omar), Daniela Scattolin (Sara) e Beatrice Grannò (Anna), insieme a Virginia Diop (Awa, la sorella di Omar), Roberta Mattei (La Vergine) e Giordano de Plano (il proprietario de La Sirenetta).
Le tematiche
Nella recensione di Zero, delle tematiche presenti nella serie tv, ideata da Menotti e scritta da Antonio Dikele Distefano, ispirandosi al suo romanzo Non ho mai avuto la mia età, ne abbiamo già parlato, ma è sempre meglio ribadire alcuni concetti. Al primo posto c’è sicuramente la ricerca dell’identità, proprio a partire dal suo passato, quello di Omar, il quale si sente invisibile quando usa il suo potere, ma anche quando si trova in mezzo alla gente. Il protagonista non sa cosa lo aspetta, non sa perché può diventare invisibile, ma è costretto ad accettare la sua diversità e quindi il suo superpotere, nella speranza di riuscire a scoprire qualcosa in più di sé, un giorno.
La serie, infatti, non si propone di dare spazio a un protagonista predestinato ad essere un supereroe, ma a un giovane che deve fare i conti con l’accettazione della sua diversità. Omar vorrebbe essere semplicemente un ragazzo normale, anche perché vivere qualcosa che non si conosce appieno mica è facile. Un concetto – quello di normalità – ben rappresentato nel progetto, grazie all’attenzione al dettaglio – di cui vi abbiamo già parlato nella recensione di Zero – che notiamo nel mostrare il quartiere e il modo di vivere dei protagonisti, alle prese con i problemi da affrontare e i sogni da realizzare, come tutti noi.
La prima stagione della serie italiana, la cui colonna sonora vede protagonisti Marracash e Mahmood, tra i tanti, e contribuisce a dare ritmo al progetto, si presenta come una sorta di noir. La differenza sostanziale con il genere giallo non sta nel fatto che il caso venga seguito da un eroe moderno, Omar, perché il suo potere talvolta diventa marginale, a dimostrazione che tutti possiamo riuscire negli obiettivi prefissati, anche senza essere dei supereroi.
La vera differenza risiede nei protagonisti: un gruppo di giovani eroi moderni, della Barona, che vogliono salvare il proprio quartiere. Non ci sono poliziotti, non c’è giustizia. Solo 5 ragazzi che vogliono cambiare lo stato delle cose. Quindi emerge anche il senso di appartenenza a una comunità, quella del Barrio, che unisce i personaggi: che sia questo il vero superpotere dei protagonisti di Zero? Essere un gruppo?
Di tematiche affrontate ce ne sono tante, anche se non tutte sono state approfondite come avrebbero meritato. Tutti i perché lasciati in sospeso (e sono tanti) ci portano a intuire che una seconda stagione della serie tv è nell’aria, e forse capiremo meglio alcune dinamiche tra i personaggi. Zero, seppure con qualche difetto stilistico, racconta una storia ricca di sorprese, visive ed emotive, senza mettere da parte drammi, misteri e qualche sorriso.
Zero è disponibile su Netflix dal 21 Aprile
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Possiamo dire che Zero è una serie tv diversa dal solito perché, pur essendo incentrata su un eroe, dà maggiore importanza agli aspetti sociali della storia e al senso di appartenenza ad un gruppo, tanto che l'unione tra i personaggi diventa il vero punto forza del progetto. Inoltre, il potere dell'invisibilità si manifesta in una maniera insolita, soprattutto per un supereroe maschile. La caratterizzazione di alcuni dei personaggi poi rende la serie ancora più intrigante.
- Il modo in cui si manifesta il potere dell'invisibilità
- L'attenzione al dettaglio
- Le tematiche
- L'idea di fondo del soggetto
- L'unione del gruppo
- Una sceneggiatura un po' banale
- La direzione degli attori quando sono in gruppo
- L'approfondimento parziale di alcuni temi