Activision Blizzard è una di quelle aziende videoludiche che ogni tanto cerca di testare i limiti di cosa gli sia concesso fare, tuttavia questa volta il suo intervento si è scontrato con un gruppo di hacker mosso dal desiderio di opporsi a quella che hanno considerato un’ennesima ingiustizia.

Facciamo un passo indietro: la ditta digitale ha appena ri-distribuito Crash Bandicoot 4: It’s About Time, gioco uscito originariamente nel 2020 che finalmente ha debuttato anche su PC. Tutto perfetto, se non fosse che per l’occasione si è deciso di implementare un DRM che forza i gamers a mantenersi sempre connessi alla Rete, se vogliono avere godere della licenza videoludica che hanno acquistato.

Per il servizio di distribuzione dell’azienda, Battle.net, non si tratta di una prima volta, tuttavia, questa in questa occasione l’azienda ha deciso di implementare lo strumento all’interno di un titolo di altissimo profilo e, soprattutto, le cui partite si diramano esclusivamente offline.

Si tratta di una pratica che certamente aiuta a contrastare la pirateria, ma anche palesemente contraria agli interessi dei consumatori e che danneggia soprattutto coloro che non vivono in zone coperte da servizi stabili, veloci ed economici.

Le barriere di Activision sono state forzate in meno di un giorno da un gruppo di hacker noto come Empress, il quale ha crackato il titolo consentendo agli utenti di bypassare il tentativo di connessione di Crash Bandicoot 4 al sistema di Battle.net.

Una simile azione di “guerriglia” digitale è stata accolta dal pubblico come un vero e proprio atto di ribellione nei confronti di una business practice decisamente antipatica e controversa, l’ultima di una lunga serie.

Activision Blizzard sta infatti sempre più finendo ai doveri della cronaca per le sue manovre, se non scorrette, decisamente poco inclini a promuovere gli interessi dei fan. Dall’introdurre a sorpresa di microtransazioni e battle pass, al distruggere i client delle vecchie licenze, le strategie del distributore si stanno facendo sempre più aggressive, con il risultato che molti hanno finito con il percepire i DRM e affini come un attacco diretto alla libertà del videogiocare.

 

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