Donald Trump: “Il suo social network? È destinato ad essere un fallimento”

Donald Trump

Nella giornata di ieri è emersa la notizia di un possibile ritorno di Donald Trump sulla scena pubblica, attraverso il lancio di un suo social network in concorrenza tanto con Facebook e Twitter, quanto con gli altri social già esistenti e dedicati ad un pubblico di destra, come Gab e Parler.

Per il momento dalla Trump Organization, l’azienda della famiglia dell’ex POTUS, tutto tace. Tutto quello che lo sappiamo lo dobbiamo ad un’intervista del portavoce della sua campagna elettorale del 2020 rilasciata a Fox News.

«Il brand di Trump si basa sulla lotta alla censura», scrive Tristan Greene su The Next Web. Questo però introduce delle sfide importanti. In assenza di chiare norme di moderazione – e questo lo abbiamo già visto sia con Parler che con Gab -, il bacino dei servizi di hosting sufficientemente solidi per ospitare una piattaforma social finanziariamente sostenibile si riducono significativamente. È verosimile che un social di Trump non potrà contare sui servizi di AWS, ad esempio, e questo per le stesse ragioni per cui Trump non è più una persona gradita su Twitter, Facebook, YouTube e Twitch.

L’alternativa paradossale sarebbe quella di avere un social network fondato da Trump ma con le stesse regole di netiquette imposte dalla sempre più rigida moderazione dei contenuti dei social mainstream. Avrebbe veramente senso?

L’altra grande questione è quella dei profitti. È molto difficile che un social di Trump possa sostenersi esclusivamente sulla base del tradizionale modello delle inserzioni pubblicitarie. Per due ragioni: da una parte un social brandizzato Trump – automaticamente – dimezza il possibile bacino d’utenti raggiungibili — se non contiamo i troll di sinistra che verosimilmente tenteranno di provocare i sostenitori di Trump in casa loro; dall’altra non esistono abbastanza inserzionisti convintamente di destra disposti a scommettere su un social che già dal principio si porrà come problematico.

Questo non significa che non esistano delle alternative percorribili. La più intuitiva è quella di introdurre un modello basato sugli abbonamenti. Non serve che questa sia l’unica forma d’accesso (anche perché sarebbe un suicidio), sarebbe sufficiente creare un servizio premium che sfrutti il carisma politico di Donald Trump per sedurre le stesse persone che, nel corso degli ultimi 5 anni, hanno donato milioni di dollari alle sue operazioni politiche. Basterà? Probabilmente no.

Sono ovviamente delle considerazioni estremamente ragionevoli, ma personalmente non mi sento di essere così netto.

La destra americana sta indubbiamente perdendo la battaglia per il controllo dei social network, ma in passato ha dato prova di un’estrema conoscenza e comprensione delle dinamiche di potere sulla rete.

Cambridge Analytica è la prova di come il mondo conservatore abbia visto un’opportunità nello sfruttamento dell’iper-profilazione degli utenti prima degli altri e ben prima che aziende come Facebook prendessero contromisure per evitare abusi. La destra americana non è mai stata così sprezzante e sfiduciata nei confronti della grande industria tech californiana. I grandi finanziatori interessati a far sì che si crei un polo alternativo a quello creato da imprenditori come Mark Zuckerberg e Jack Dorsey esistono e se riterranno che un social di Trump abbia le carte in regola per rompere gli equilibri attuali, non ci sono molti dubbi sul fatto che possano e vogliano bruciare fondi a sufficienza per trasformarlo in una realtà e renderlo sostenibile sul lungo periodo.

La carriera imprenditoriale di Donald Trump è segnata da decine di fallimenti, alcuni di magnitudo impressionante. Un suo social network potrebbe aggiungersi a questa sciagurata collezione, ma dare per scontato questo esito rischia di essere un errore frutto di profonda ingenuità.

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