Più va avanti la pandemia, più sembra che molte comunità sviluppino una percezione attenuata dei rischi, il tutto in barba a dei dati statistici che ci dovrebbero ancora spingere a tenere la guardia alzata. Uno studio statunitense ha cercato di fare chiarezza su questo controsenso potenzialmente pericoloso e la spiegazione è immediata: la percezione di rischio non è necessariamente legata ai numeri effettivi del Covid-19, bensì viene formata da un’insieme di fattori percettivi e di valutazioni, più o meno consapevoli, sul rapporto costi-benefici.

Il rischio percepito è schizzato alle stelle ad aprile, quando molti Stati sono entrati in lockdown, gli ospedali si stavano riempiendo e le persone stavano capendo che “oh, le cose stanno diventando parecchio serie”.

Poi, con il passare del tempo, il rischio percepito è lentamente calato, penso perché parzialmente le persone si siano abituate alla presenza del coronavirus e in parte perché le persone hanno notato che, sebbene alcune persone finiscano a morire per la malattia, la maggior parte riesca a sopravvivere,

ha sostenuto Wändi Bruine de Bruin, professoressa di psicologia e scienza del comportamento presso la University of Southern California.

Lo studio suggerisce che ormai le persone si orientino in base all’esperienza personale. Se ci sono poche persone che si ammalano e muoiono attorno a noi, allora crediamo che i rischi siano relativamente contenuti.

A complicare le cose c’è anche il fatto che, per quanto riguarda i dati, questi funzionino solamente qualora il pubblico abbia fiducia nelle autorità che le forniscono, fiducia che ultimamente sembra scarseggiare in molti Paesi del mondo, occidentali e non.

L’affaticamento psicologico dovuto al Covid-19 ci sta facendo sballare ulteriormente la percezione del rischio. Siamo stanchi e notiamo con massima attenzione quelle persone che, in maniera alle volte azzardata, riescono a godersi la compagnia altrui o iniziano nuovamente a lavorare. Non assistendo ai loro eventuali contraccolpi negativi, si calcifica l’immagine che nello sgarrare vi siano solamente benefici.

La ricerca sottolinea però un elemento che va controcorrente con quanto osservato: le persone sono disposte a correre rischi personali, ma non comunitari. Magari non siamo pronti a prenderci cura di noi stessi, ma se qualcuno vicino a noi è un soggetto a rischio, allora tendiamo a porre maggiore attenzione sulle nostre scelte.

 

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