Le autorità sanitarie australiane stanno portando avanti dei test incentrati su un virus virtuale che è in grado di replicare la trasmissibilità del Covid-19, nella speranza che sulle lunghe possa aiutare a trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere la salute dei cittadini e l’economia del Paese.

Lo stimolo alla base del progetto consiste infatti nella consapevolezza che, fino a oggi, le chiusure vengano stabilite tenendo conto di dati che richiedono diverso tempo per essere processati. Pur muovendosi celermente, insomma, si ha sempre almeno una settimana di ritardo rispetto al vero tasso di infezioni registrate.

Il “virus” in questione si trasmette attraverso Bluetooth, in maniera non dissimile dallo stile adottato da Immuni e app omologhe, tuttavia questo software dovrebbe funzionare in maniera diversa, con una tracciabilità più incentrata sui numeri che sulle singole identità.

Chiamato Safe Blue, il prodotto virtuale che simula Covid-19 è attualmente stato messo in circolo nei campus universitari, ma un’esposizione nazionale aiuterebbe ad accumulare una mole di dati vitale e che potrebbe fare la differenza, senza che ci sia la necessità di scomodare tracking e burocrazia.

L’esperimento è condiviso dall’University of Queensland, The University of Auckland, The University of Melbourne, Cornell University, Columbia University, Massachusetts Institute of Technology, Macquarie University, and Delft University of Technology e mira a riconoscere non solo il tasso di infettività, ma anche le percentuali di diffusione dei singoli ceppi di virus.

 

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