Nel 2012 Jason Rohrer, sviluppatore indipendente, commissionò delle opere digitali a diversi illustratori, con lo scopo di costruirci attorno un videogame d’aste e di furti noto come The Castle Doctrine. Quelle stesse artwork sono ora state tradotte in una vera e propria asta NFT dal titolo “The Crypto Doctrine”. Il problema? Gli autori originali non ne sapevano nulla.

Il caso solleva una miriade di ambiguità: una volta che commissioni un’opera internettiana, appartiene totalmente a te? La puoi adoperare anche per scopi diversi da quello prefissato? La puoi cedere senza l’autenticazione dell’autore?

Nel caso di opere fisiche, questi dilemmi verrebbero normati dalle leggi locali, ma in un ambiente decentralizzato basato su blockchain è impossibile definire linee guida universali, ancor più tenendo conto che Rohrer non aveva firmato nessun genere di contratto con i creativi in questione.

A suo dire erano tutti “amici e parenti”, quindi l’informalità del rapporto li aveva portati a non codificare la cessione d’uso tenendo conto dei tradizionali canoni contrattuali. Non tutte le parti coinvolte hanno però appoggiato il suo progetto, alcune di queste hanno addirittura dato a intendere che la parola “amici” fosse decisamente fuori luogo.

[La situazione è per me] solamente svantaggiosa, nel breve termine. O Jason finisce con il fare schifezze ancora più grandi sfruttando il mio lavoro, o decido di… parlare a Jason e investire degli attimi della mia vita nel farlo, altra cosa schifosa,

ha riportato Adam Saltsman.

Roher, a sua parziale discolpa, si è detto pronto a condividere con gli artisti parte del ricavato – senza definire i dettagli – e ha provveduto a rimuovere gli artwork di tutti quegli autori che, per un motivo o per l’altro, non vogliono saperne nulla della bolla speculativa degli NFT.

 

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