Una testata malese è stata considerata responsabile per i commenti pubblicati sul proprio sito da alcuni lettori, subendo una multa salata.

Il giornale indipendente, Malaysiakini, è noto localmente per la sua posizione critica nei confronti dell’establishment e tutti, escluso il governo della Malesia, concordano nel sostenere che si tratti di una manovra politica atta a mettere a tacere le voci dissonanti.

A riprova di una simile ipotesi giunge la portata della gravissima punizione finanziaria, soprattutto per i canoni dell’economia del posto: 124.000 dollari, con l’accusa che ne aveva chiesti “solamente” 50.000.

La testata, la quale ha rimosso i commenti non appena ha ricevuto la segnalazione dal Governo, ha cercato di difendersi sottolineando come non possa considerarsi colpevole per le opinioni altrui, ma il giudice ha decretato che la redazione avrebbe dovuto filtrare i commenti a monte, attraverso una moderazione stringente.

[La decisione della corte] avrà un importante impatto raggelante sulle discussioni relative ai problemi di pubblico interesse, considerando che questa pesante penale da l’impressione di voler mandare Malaysiakini in bancarotta,

ha detto fuori dal tribunale Steven Gan, fondatore e direttore del giornale.

Alcuni dei politici a capo del Governo malese sono sotto indagine per corruzioni milionarie e non è difficile credere che l’opinione di Gan abbia fondamenta più che verosimili, tuttavia il caso solleva nuovamente l’attenzione sul genere di insidie normative che colpiscono social e webjournalism.

È giusto che il gli editori violino le leggi quando queste limitano la libertà di parola? I siti devono essere considerati responsabili dei contenuti caricati dagli utenti? Se sì, fino a che punto?

 

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