La recensione di Bliss, il nuovo film di Owen Wilson e Salma Hayek su Amazon Prime Video, che cerca di mischiare dramma e sci-fi, ma che non convince.
C’è qualcosa di particolare da far notare aprendo questa recensione di Bliss, film disponibile dal 5 febbraio su Amazon Prime Video: Salma Hayek e Owen Wilson insieme, visti sotto una certa prospettiva, sembrano muoversi sulla scia di personaggi romantici e drammatici come Charlot e la fioraia in Luci della Città, o come Gelsomina e Zampanò in La Strada.
Perché l’idea è che il regista Mike Cahill abbia ripreso la base del soggetto di Matrix, per metterci dentro un po’ d’influenze varie: c’è tanto Black Mirror, ma c’è qualcosa nella drammaticità dei personaggi protagonisti che richiama un certo cinema classico.
Elementi intriganti, forse difficili da far convivere, ed in effetti è un film non ben riuscito. Ma andiamo nel dettaglio di questa recensione di Bliss.
Bliss: elementi intriganti per un cocktail poco riuscito
La storia di Bliss vede protagonista Greg Little, il personaggio interpretato da Owen Wilson, che vive in un mondo difficile, in cui è reduce da un divorzio, ha un rapporto complicato con i figli, e ad un certo punto arriva anche il suo licenziamento. Greg reagisce a tutto ciò provocando involontariamente la morte del suo capo, e, trovando rifugio in un bar dove incontrerà Isabel, una donna che gli dirà che tutto ciò che ha intorno non è reale.
Questo è l’inizio di una storia che parte da uno spunto in stile Un giorno di Ordinaria Follia, si allarga verso Matrix, e continua facendo vivere una storia di sentimento divisa tra strada e vagabondaggio, e poi si espande verso una sorta di San Junipero ribaltato.
Insomma, c’è un po’ di tutto in Bliss, ma questo cocktail non è il massimo della realizzazione, nonostante gli ingredienti siano piuttosto succosi. Perché il difetto di Bliss è che propone un po’ di tutto, ma non mette mai veramente a fuoco il cuore di ciò verso cui il film vorrebbe concentrarsi.
Intriga il rapporto che c’è tra Greg e Isabel: come già segnalato in apertura di questa recensione di Bliss, i due personaggi sembrano rievocare dei perdenti che si trovano, e vivono rafforzandosi in una realtà distopica, fatta di drammi dai quali possono uscirne solo insieme.
E Isabel ha la ricetta per portare Greg fuori dalla drammaticità della sua vita, ovvero convincerlo che ciò che sta vivendo è una realtà fasulla. Il perché Greg sia risucchiato all’interno di questo mondo viene spiegato e mostrato durante il corso del film, e nasconde anche un messaggio nei confronti della nostra società piuttosto importante.
Ma il tutto viene diluito un po’ male. Poteva funzionare meglio il gioco tra reale e non reale, ed anche la figura di Isabel come punto di fuga per Greg non convince in pieno. Ed in tutto ciò c’è anche la contrapposizione con un’altra figura femminile cardine: quella della figlia di Greg.
I richiami romantici e umani in Bliss potevano essere un punto di forza che, forse anche inconsapevolmente, richiama dei topos classici letterari e cinematografici (dalla donna angelo alle figura femminili che dal basso riescono a ribaltare le prospettive di vita dei personaggi maschili).
Due protagonisti d’eccezione non eccezionali
Purtroppo tutto questo non viene sviluppato con la giusta attenzione, e risulta essere un po’ confusionaria la commistione di elementi narrativi. Anche i due protagonisti non sembrano essere ben amalgamati.
Owen Wilson sembra funzionare inizialmente nella parte dell’uomo che vive il suo giorno di ordinaria follia, e che sta come un pesce fuor d’acqua in una realtà ribaltata, anche se, a volte, sarebbe utile vedere nel suo personaggio un po’ di dramma in più per coinvolgere maggiormente il pubblico.
Mentre Salma Hayek nella figura di Isabel incarna ciò che non funziona in Bliss: la popolare attrice si frappone a metà tra una sorta di donna angelo “disperata”, e di figura chiave del mondo alternativo, ma il suo ruolo non riesce ad essere ben messo a fuoco.
Salma Hayek con la sua Isabel funzionerebbe bene come personaggio in chiave drammatica, ma a volte sembra essere un po’ sopra le righe, ed in altre situazioni si ritrova un copione scritto in maniera non esaltante, che la porta a non gestire bene l’alternanza tra figura drammatica che vive anche una sua disperazione personale, e deus ex machina, che però non riesce veramente a risolvere le cose.
Bliss: quando la regia prova ad andare oltre, ma non fa il necessario
C’è da dire che, nonostante i diversi difetti, Mike Cahill ha provato a metterci un po’ di elementi capaci di dare qualità a Bliss. La fotografia riesce ad esaltare la differenza netta tra i due mondi che vengono mostrati nel film: molta cupezza nella prima parte, e luminosità intensa nella seconda.
Il ritmo della storia è sostenuto, non ci sono dei veri e propri punti morti con rallentamenti inutili, e Cahill si fa accompagnare da una colonna sonora che supporta bene i vari cambi di umore nella successione delle scene, dettando a volte i tempi stessi del film.
Ma ciò che manca in questo caso al regista è un qualcosa che vada al di là del mestiere: si nota la voglia di accompagnare lo spettatore attraverso momenti action intensi, ed altre scene di riflessione in cui c’è solo un personaggio al centro della scena, un piano sequenza, e l’ambiente circostante a dettare l’umore da trasmettere allo spettatore.
Un cinema in grado di mischiare al massimo azione e dramma, intimità ed intrattenimento di genere, è ciò che vorrebbe ogni amante del cinema, una capacità che però appartiene solo ai grandi registi (uno su tutti: Ridley Scott), e che è giusto che le nuove leve provino a cercare.
Ma l’amarezza di un tentativo del genere andato un po’ a vuoto può essere la stessa, per certi versi, di una squadra di calcio pronta a offrire un gioco spettacolare, e che invece si riduce a giocare partite compassate e poco brillanti.
In conclusione di questa recensione, possiamo dire che Bliss dovrebbe rispettare il suo titolo, essere una benedizione per tutti gli amanti di storie di genere, ma, invece, risulta essere un cocktail duro da digerire.
Un’esperienza un po’ amara di un qualcosa che poteva essere tanto, e che purtroppo si riduce a ricalcare diverse cose già viste, e che messe insieme in questo modo non avremmo voluto veramente guardare.