A Torino oltre 300 telecamere sono in grado di monitorare in tempo reale i cittadini tracciando i loro spostamenti. L’Hermes Center ha chiesto al Garante per la protezione della privacy di intervenire.

La città di Torino ha stanziato 800.000€ per un ambizioso progetto di sorveglianza chiamato ARGO. Ai fondi del Comune si aggiungono altri 700.000€ del Governo, per un totale di 1.500.000€. Da Agosto il Comune di Torino ha triplicato le telecamere ‘smart’, in grado di identificare ogni persona in tempo reale. L’obiettivo è di arrivare a 360 occhi sempre accesi distribuiti per le strade del capoluogo.

Delle telecamere, un 20% è costituito da dispositivi mobili che possono essere installati dalle autorità in caso di esigenze specifiche. «Questo progetto  —aveva spiegato il comandante dei vigili urbani, Emiliano Bezzon— eccelle dal punto di vista qualitativo. Ci permetterà di ragionare in termini di capacità preventiva di intervento. Con la nuova tecnologia potremo identificare soggetti sospetti e situazioni anomale o difficili».

 

L’Hermes Center punta il dito contro i rischi per la privacy

La soluzione adottata dal Comune di Torino differisce significativamente da altre iniziative per la sorveglianza già attive in altre città italiane. A preoccupare è la capacità del sistema Argo di estrarre informazioni dalle immagini in tempo reale.

A fine gennaio, l’Hermes Center ha richiesto al Garante per la protezione dei dati personali di intervenire e porre il progetto del Comune di Torino sotto attento scrutinio.

Con la richiesta al Garante privacy vogliamo impedire che le pubbliche amministrazioni locali adottino questo approccio stile Silicon Valley: move fast and break things.

si legge nel comunicato dell’organizzazione.

Nel documento del progetto definitivo si legge che il sistema sarà in grado di estrarre metadati in tempo reale dai video. Se la parola metadati può non dire molto, gli esempi indicati dalla polizia locale e dalla società 5T, incaricata di svolgere i lavori, sono invece molto chiari: “distinzione tra uomo/donna; colore di abbigliamento e scarpe; presenza di oggetti come borse, zaini, cappelli. (…) Siamo potenzialmente di fronte a un sistema di sorveglianza biometrica di massa. Con questo tipo di informazioni sarebbe possibile identificare e pedinare le persone riprese in tempo reale: un cappello, una borsa rossa o una semplice maglietta con un logo, combinati con le informazioni sul genere della persona, permettono di seguire i suoi spostamenti.

Torino non è l’unica città ad aver aperto le porte a nuove tecniche di sorveglianza, a Como il Comune ha tentato di attivare un sistema di riconoscimento facciale (il primo di questo tipo in Italia) sollevando altrettanto dubbi, come evidenziava un’inchiesta di Wired.

A Venezia — una delle città italiane con il maggior numero di telecamere operative— è attiva dall’anno scorso una Control Room che, tra le altre cose, monitora gli spostamenti dei turisti in tempo reale — sebbene non si tratti di un vero e proprio sistema di sorveglianza né si parli in alcun modo di dati biometrici.

Le autorità locali (e non solo) hanno accesso a strumenti sempre più sofisticati, per le associazioni per i diritti civili monitorare con attenzione le nuove iniziative di sorveglianza è imperativo.

Nel frattempo, negli USA sempre più città hanno bandito il riconoscimento facciale, mentre Amnesty International ha avviato una campagna di lobby per interromperne l’utilizzo a New York:

 

(in copertina un banner di ‘Reclaim your face’, campagna contro l’adozione del riconoscimento facciale in Europa)