Facebook sta ancora monetizzando le fake news sulla pandemia

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Il Bureau of Investigative Journalism ha scoperto che Facebook sta ancora garantendo introiti a chi diffonde fake news sul Covid.

A essere coinvolte nell’indagine giornalistica sono 430 pagine, seguite complessivamente da 45 milioni di persone. Tutte quante promuovono diverse sfumature di disinformazione sulla pandemia e sui vaccini, ma in alcuni casi la situazione è talmente eclatante che lo stesso social si era premurato di segnalare i post più controversi.

Il bureau ha indagato i contenuti pubblicati in sette lingue diverse, tra cui il tedesco, l’ebraico, il polacco e lo spagnolo. Nonostante questo, è facile che il gruppo non abbia che toccato la punta di un iceberg ben più esteso.

260 pagine sarebbero colpevoli di aver esplicitamente generato disinformazione a proposito dei vaccini, le altre si limitano perlopiù a promuovere informazioni false o incomplete sulla pandemia e sui medicinali necessari a combatterla. 20 delle pagine identificate nell’indagine possono vantare il marchio di autenticità a firma di Facebook.

Come spesso capita in queste situazioni, un numero significativo di profili finisce con il posizionarsi in una zona grigia in cui è difficile discernere cosa sia o non sia disinformazione, si veda la medicina alternativa o la promozione di integratori alimentari.

La nostra investigazione iniziale ha notato che un grande numero delle pagine segnalateci non contenga violazioni della nostra policy contro la disinformazione dannosa e, pertanto, mettiamo in dubbio la puntualità generale dei dati che sono stati forniti [dal Bureau],

ha riferito un portavoce del social, pur ammettendo che l’azienda si sia trovata a dover rimuovere un “esiguo numero” di pagine menzionate dal report.

Come capita anche su altri social, i profili con un grande numero di followers possono incanalare il loro seguito in una direzione economicamente proficua, divenendo influencer.

Pagine tanto coinvolgenti permettono a Facebook non solo di garantirsi un forte engagement del pubblico, ma anche introiti che giungono sotto forma di inserzioni pubblicitarie e di investimenti nella “Star currency”, la moneta con cui i fan supportano i produttori di video-dirette.

 

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