Il Pakistan valuta se rinunciare o meno al controllo governativo di internet

Il controllo del Governo del Pakistan su internet é soffocante, ma alcune associazioni per i diritti umani stanno cercando di fare qualcosa.

Il Removal and Blocking of Unlawful Online Content (RBUOC) ha infatti grandemente limitato la libertà di espressione, introducendo tutta una serie di leggi che può limitare, se non annichilire, la portata dei social media.

Il RBUOC permette infatti ai politici pachistani di cancellare e censurare virtualmente qualsiasi post, con le aziende che sono forzate a soddisfare la richiesta amministrativa di rimozione dei contenuti entro 24 ore. In alcuni casi, entro 6.

La nuova normativa si somma alla precedente, il Pakistan Electronic Crimes Act (PECA), una legge che permette all’Autorità delle Telecomunicazioni di censurare qualsiasi contenuto che violi la “gloria dell’Islam”, che possa turbare l’ordine pubblico o che leda i principi di “decenza e moralità”. Riferimenti amministrativi tanto vaghi da poter essere abusati in qualsiasi modo.

Ogni volta che la società civile, le piattaforme social e le aziende internet hanno spinto contro le regole e le regolamentazioni sui social media, il Governo ha promesso processi di consultazione più trasparenti e aperti, tuttavia é sempre tornata a integrare le regole che avevano ricevuto obiezioni.

Non abbiamo altra scelta che muoverci attraverso la Corte. Il fatto che il Procuratore Generale ci abbia promesso di rivalutare le leggi é motivo di speranza, particolarmente con la Corte che fa da garante,

ha detto Amber Rahim Shamsi, giornalista e uno di coloro che ha firmato la petizione poi proposta all’Alta Corte di Islamabad.

La Asia Internet Coalition (AIC), rappresentatrice asiatica delle Big Tech più importanti del mondo (Google, Facebook, Twitter in primis), ha lamentato che il Pakistan non sia stato “né credibile, né trasparente” nel gestire le riunioni consultative per determinare le normative di internet.

Complice questo atteggiamento torbido, molti non ripongono alcuna fiducia nel processo di rivalutazione e lo considerano un mero atto scenico con cui tenere a bada le attenzioni internazionali.

 

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