SanPa, parlano gli autori: “La nostra storia non si chiude con la morte di Muccioli ma sopravvive e vive.”

intervista autori SanPa

Intervista agli autori di SanPa – Luci e Tenebre di San Patrignano, Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli che hanno sceneggiato la docu-serie ideata e scritta da Gianluca Neri per Netflix e diretta da Cosima Spender. Siamo partiti dalla mole di lavoro che richiede un’opera di questo genere a quanto ancora rappresenti e come, a seconda del vissuto di questa casa, il messaggio possa essere votato a differenti chiavi di lettura.

Qualche settimana fa ho avuto la grande occasione di realizzare un’intervista a due degli autori di SanPa – Luci e Tenebre di San Patrignano, ovvero Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli che hanno, appunto, scritto la docuserie Netflix ideata da Gianluca Neri e diretta da Cosima Spender.

Un viaggio incredibile, esattamente come lo è lo stesso prodotto in questione. SanPa è, infatti, un prodotto audiovisivo figlio dei nostri tempi e che usa il linguaggio della serialità per sdoganare non solo il documentario – spesso genere a cui erroneamente viene attribuita noia e pesantezza – ma anche per far conoscere una storia, una parte della nostra storia italiana, controversa e importante.

Vincenzo Muccioli e la sua San Patrignano hanno diviso l’Italia e gli italiani e lo hanno fatto anche adesso, in queste settimane, negli scorsi giorni, invadendo le discussioni, le chiacchiere tra amici e parenti, i video, gli articoli, le live di testate, giornalisti, blogger e streamer.

La potenza di questa storia risiede proprio nella sua stessa essenza, dissidente e controversa. Una storia a cui molti di noi si approcciano con gli occhi di chi è cresciuto in un mondo dove potrebbe essere impensabile immaginare affrontare “a cuor leggero”  determinate tematiche o argomenti o discorsi usciti dalle labbra di volti noti, e che quindi osservano il tutto con uno stupore misto ad orrore; ma al tempo stesso è una storia incastonata nel suo tempo (anni ’70 e anni ’80) e quindi nella memoria di chi, abbandonato dallo Stato, non aveva altra scelta se non affidarsi o affidare qualcuno a San Pratignano.

 

SanPa-recensione-Netflix

 

Nel suo percorso storico particolare, guidato dalla figura di Vincenzo Muccioli fino alla sua dipartita, San Patrignano è stata una delle prime e poche realtà che ha preso il problema dell’eroina e della dipendenza in Italia di petto. È stato un luogo dove molti hanno trovato una seconda possibilità; dove lo Stato ha trovato uno scudo ad un’emergenza ingestibile; ma anche un luogo fin troppo avvolto dal mistero, da comportamenti non propriamente definibili etici e dove, purtroppo, si sono consumate anche tragedie che hanno macchiato, profondamente, tanto la comunità quanto il suo stesso fondatore.

Ancora oggi, la storia delle luci e delle ombre di San Patrigano è così affascinante

Ecco perché, ancora oggi, la storia delle luci e delle ombre di San Patrigano è così affascinante. Ecco perché è ancora difficile vederci chiaro e gli interrogativi che una serie come quella di Neri porta a porsi, sono tantissimi e non tutti con una vera e propria risposta.

 

intervista autori SanPa

 

Fin dove si è disposti ad arrivare per fare del bene? Fino a che punto il male può essere assecondato se per un “bene più grande”? A distanza di anni, come dovremmo reagire e porci nei confronti delle vicende che hanno portato San Patrignano e Muccioli sulla bocca di tutti?

Assieme a Carlo e Paolo, in una lunga e piacevole conversazione consumata tra battute e serietà, ho cercato di districarmi in quella che è stata la grande mole di lavoro che ha caratterizzato i tre anni di preparazione di SanPa, cercando di avere anche un loro punto di vista sulle questioni più spinose legate alla serie e alla vicenda in sé per sé.

 

 

 

Intervista agli autori di SanPa – Luci e Tenebre di San Patrignano

 

Come si scrive un documentario come SanPa? Intendo un documentario con una vicenda ancora così vivida da spaccare, come stiamo vedendo in questi giorni, così tanto l’opinione pubblica?

C.G.: A volte questa domanda viene posta con curiosità tipo: cosa vuol dire scrivere un documentario? Altre volte, invece, tipo: ma va cosa hai mai scritto, la storia tanto è quella. Invece, mi sembra chiaro che il documentario è strascritto, scritto, rivisto, riscritto tantissime volte, poi si inizia a studiare tutto il materiale e va riscritto ancora, poi si stilano le domande a cui seguono delle risposte che suscitano ulteriori domande, talvolta già ideate come successive alla prima domanda preparata, in caso il testimone scelga di rispondere in quella maniera, quindi a questo punto subentra una sorta di etica sul come porre le domande, ma qui esuliamo dalla scrittura. Tornando a questa, in sé per sé, alla fine di questo lavoro di raccolta ed esame del materiale si riscrive tutto da capo.

Per semplificare, a volte, si iniziano ad identificare dei nuclei, perciò iniziamo a circoscrivere un nucleo di repertorio, di materiale che già abbiamo e che tutti e tre ci dividiamo anche sulla base dell’approfondimento da fare.

Facciamo sbobinare tutto, ovviamente anche le parti che poi non serviranno a nulla, e così sostanzialmente si monta la storia su carta.  Dopodiché il tutto viene riscritto in montaggio e diventa un dialogo tra chi porta cosa raccontare e chi aggiunge tantissimo nel come raccontarla. Questa è forse la parte più demandata alle immagini, ma non solo legata a quelle, bensì fondata sulla giusta apposizione delle stesse. Qui vi è un continuo andirivieni della storia tra montatore e autore.

Ad esempio nella storia di Muccioli che non sapeva di Maranzano ma poi ritratta, c’è stata la scelta condivisa di volerla raccontare in quel determinato modo allo spettatore, proprio con quel ritmo per farne oscillare l’opinione dal ‘‘cavolo, ha ragione lui’’ al ‘‘ma no dai, è proprio una porcata’’.

Se, invece, avessimo optato per un tipo di narrazione del documentario più sensazionalistica – che non ci interessa – avremmo mandato il discorso di Muccioli con scritto: falso, sta mentendo!

Quindi, noi ed i montatori abbiamo parlato, prima di iniziare a lavorare, per accordarci, da subito, sul come si doveva raccontare in pratica la storia.

 

P. B.: Sfrutto la tua domanda anche per rispondere ai molti che hanno scritto: “bello, mi è piaciuto, però avrei voluto che approfondissero di più determinati aspetti o argomenti.

Secondo me, la cosa non chiarissima del lavoro che abbiamo fatto noi che lo abbiamo scritto e chi lo ha diretto e montato è il fatto che avevamo tutti una stessa idea, cioè stavamo usando il documentario per realizzare qualcosa di più simile ad una serie tv che ad un documentario.

Noi non volevamo fare i maestri seduti dietro la scrivania che raccontano cosa è l’eroina e come si è diffusa in Italia. Noi siamo partiti da un presupposto contrario: spogliamo il documentario dal ruolo che, a volte erroneamente, gli viene affibbiato in qualità di momento didattico e didascalico.

Noi usiamo il linguaggio del documentario ma per raccontare la storia dei personaggi. Perciò noi abbiamo costruito gli archi narrativi di tutti i personaggi e sapevamo da dove partire tramite delle domande: come fa la gente ad empatizzare con questo personaggio? Successivamente: come facciamo evolvere questo personaggio? Quale sarà il suo climax? Per fare questo lavoro, noi autori dovevamo amare tutti i personaggi, perché non puoi fare questo tipo di lavoro se odi un personaggio perché altrimenti lo costruisci male e racconti solo cose negative.

La prima volta che ho visto l’ultima puntata, montata in stato avanzato, mi sono commosso durante la scena di Red Ronnie con Muccioli malato. Ed è lì che ho capito che stava funzionando. Noi volevamo raccontare le storie dei personaggi, il contesto ed il resto serviva da contorno e strumento per quell’unico scopo.

 

 

intervista autori SanPa

 

Alla fine della docu-serie c’è una lista di nomi, di persone, che alla fine non hanno voluto rilasciarvi interviste. C’è qualcuno in modo particolare che vi dispiace non abbia accettato il vostro invito? Qualcuno che magari avrebbe dato uno sguardo maggiormente diverso a tutta la storia dietro Muccioli e San Patrignano?

C.G.: Ovviamente è sempre questione di scelte e sintesi. Fino ad ora, questa storia ha scoraggiato i più perché è immensa e complessa. Abbiamo passato 150 mila ore su di una mole di atti processuali, scritti, video etc., quindi, sì, ovvio che dipende dai testimoni ma anche dal materiale che hai, tutti elementi che si parlano tra loro.

 

P.B.: Noi sicuramente eravamo curiosissimi di sapere, da quelle persone che abbiamo cercato, cosa ci avrebbero potuto raccontare e voluto raccontare, stravolgendo magari le nostre stesse aspettative.

Ecco perché non possiamo dire se le storie di chi si è astenuto dal partecipare sarebbero state decisive o rilevanti. Poi, noi ci siamo sempre chiesti perché tutti coloro che hanno scelto di raccontare e collaborare con noi, lo stessero effettivamente facendo e cosa avessero scelto di dirci.

Ognuno ha le sue motivazioni, quindi, bisogna stare attenti alla veridicità delle storie raccontateci che, spesso, dopo vari check, non avendo altri riscontri sull’attendibilità, abbiamo eliminato proprio perché era complicato e problematico inserirle.

 

intervista autori SanPa

 

Una delle scene che più ha colpito, per non dire mi ha fatto male, è quella dell’anello. Inutile dire che oggi un’immagine del genere non verrebbe mai tollerata, per quanto rivedo in quell’immagini frasi come il “se l’è cercata” spesso detto da uomini, ma altrettanto detto da donne. C’è una cosa che, però, mi ha fatto pensare a quell’anello, a quella scena: il fatto che ci potesse essere di più sull’argomento. Ma immagino che ci sia un motivo, probabilmente legato alle testimonianze, se non avete potuto approfondire più di tanto la questione “violenze”. 

C.G.: Per quanto riguarda la scena dell’anello o altre storie lasciate un po’ in sospeso a parere dello spettatore, penso che sia perché, secondo me, ogni documentario è un seme di un altro documentario e quindi la riflessione e curiosità lasciata potrebbero spingere qualcun altro ad approfondire altre storie nate da quella da noi raccontata.

Quella scena dell’anello, a mio parere, dice cose tremende su Muccioli ma anche e soprattutto sull’Italia stessa.

Ecco perché credo che ben venga la riflessione su quanto poi il nostro Paese sia effettivamente cambiato o si sia evoluto e quanto in realtà non lo abbia fatto.

Quella scena dell’anello è ben peggio della frase ‘‘se l’è cercata’’ , è quasi l’elaborazione di un’aberrante teoria con cui dimostrare che lo stupro non esiste, ogni stupro è una donna che ci sta. Quindi, dai forse le cose oggi spero e credo che siano cambiate, in televisione se qualcuno dicesse una roba simile le reazioni sarebbero ben diverse.

 

SanPa-recensione-Netflix

 

È cambiata la vostra idea, opinione o percezione sulla figura di Muccioli e San Patrignano dopo aver scritto e realizzato la serie?

C.G.: L’idea è stata in continua evoluzione, un saliscendi di emozioni da noi vissute e poi trasmesse allo spettatore e, quindi, una sorta di ‘‘montagne russe’’ su cui viaggiava l’idea. Se posso dire, avevo all’inizio un’idea più precisa ed intransigente su certe cose, ora per me è impossibile, ad esempio, definire Muccioli con un’unica parola o un solo aggettivo.

 

P.B.: Quando Gianluca Neri mi propose questo progetto, ne sapevo pochissimo, avevo solo idee pop cioè musica, dirette di Linea Verde da San Patrignano o mia madre che mi diceva: se tieni i capelli lunghi finirai a San Patrignano!

C.G.: Per noi è stato importante il fatto che Paolo fosse giovane e fosse in dubbio. Mai come in un documentario e in questo momento storico, ci deve essere, alla base, un lavoro di squadra che includa tutte le voci.

 

P.B.: Quindi, per natura, parto sempre da posizioni agnostiche, tenendo da parte i miei valori perché non voglio che la mia lente distorca l’immagine. Ma da questa storia, ho capito che per quanto tu possa razionalizzarla o discuterne intellettualisticamente, c’è una parte che non potrai mai e poi mai comprendere e cioè quella parte emotiva di chi la storia l’ha vissuta. Da ciò discende anche il rispetto con cui noi abbiamo trattato questa emozione.

 

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Per noi Fabio Cantelli era esattamente questo: una persona può ragionarci e farci filosofia su questa storia e realtà ma lui è ancora lì emotivamente

Per noi Fabio Cantelli era esattamente questo: una persona può ragionarci e farci filosofia su questa storia e realtà ma lui è ancora lì emotivamente e non puoi toccargli Vincenzo – che ha fatto anche grandi casini – ma non toccatelo! Questa storia rimarrà sempre incomprensibile fino in fondo e perciò si potrebbe anche dar ragione alla comunità…

 

C.G.: Io non sono d’accordo. Al di là del solito ‘‘un conto è raccontarlo un altro è viverlo’’, io penso che lì ci sia stata una gigantesca produzione di pensiero negli anni sin dalla fondazione con Muccioli.

E non credo che non passi questo, quindi, io non penso che questa storia non si potrà capire mai, alla luce poi del documentario, io credo che più la si studia più la si comprende a pieno.

P.B.: Come vedi io e Carlo siamo sempre d’accordo ma, d’altronde, questa è la vera e propria matrice del documentario e di come ne è risultato, noi abbiamo visioni molto diverse così come le posizioni che emergono dal documentario.

 

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In realtà è interessante quanto dite in contrapposizione. Io ho amato moltissimo e credo anche mi abbia reso più consapevole nei confronti di diverse situazioni che ho ignorato o che semplicemente guardavo con occhi diversi. Al tempo stesso, per mia percezione, ho notato che più che le luci, sono le tenebre ad aver preso il sopravvento. Se in un primo momento ho pensato che forse era una scelta stilistica, subito dopo ho pensato che, invece, il mio vissuto, la mia età mi hanno fatto leggere alcune situazioni in un modo, esasperando più gli aspetti negativi di quelli positivi. Al tempo stesso, chi invece ci è passato, non può fare a meno di pensare a quanto bene abbia fatto San Patrignano. 

C.G.: Penso che sia tutto giusto quello che dici, però c’è un passaggio in più, cioè il fatto che questa sia anche una storia tipica, c’è tutto al suo interno: il padre, il coro delle madri, il traditore, il tossico, la violenza, quindi, è una tragedia ma con nulla di inventato!

È stata solo questione di narrare la storia mettendo i riflettori sui punti giusti. Resta comunque mera narrazione, perché a me questa interessa sotto tutti i suoi punti di vista.

In più c’è un altro salto, forse per la potenza mediatica di Netflix, una storia così locale di un paesino minuscolo vicino Rimini diviene di portata globale e generalissima. Una storia in cui ognuno riesce a riconoscersi: nel desiderio di evadere o di restare, in chi agisce o in chi non lo fa, in quelli per cui la legge è di più o i principi sono di più. Una storia in cui tutto vale: la droga il tossico e la dipendenza.

 

P.B.: Ho riconosciuto nei 5 episodi di SanPa una narrazione con una struttura quasi Shakespeariana in 5 atti. Quest’uomo, Muccioli, che parte e crea il suo regno e poi decade. Esattamente come faceva Shakespeare e tramite cui è divenuto un grandissimo poeta, ci siamo concentrati sull’enigma, sull’essere o non essere.

Io e Carlo veniamo dal teatro, infatti l’essere o non essere è il monologo più famoso della storia proprio perché nessuno ha idea di cosa voglia dire con certezza. L’opera è interessante proprio perché non da’ spiegazioni, così che ognuno copra i vuoti e i dubbi con i propri pensieri, emozioni e vissuti.

Questo è il tentativo di creare un’opera adulta che comunichi e dialoghi con lo spettatore e che non gli insegni nulla.

 

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La sensazione che ho avuto ad un certo punto che, per forza di cose, ciò che nasce a fin di bene da un uomo che ha avuto il coraggio di prendersi la responsabilità di una situazione di cui lo Stato se n’è bellamente lavato le mani, diventa non più l’azione, il luogo, ma semplicemente l’uomo, perché quello che è molto chiaro è il delirio di onnipotenza, questo potere da cui viene investito Muccioli che successivamente lo consuma lentamente. Ed improvvisamente non è più San Patrignano al centro della narrazione ma, quasi unicamente, Vincenzo Muccioli. 

P.B.: Noi abbiamo usato Fabio Cantelli come voce per poi rispecchiare anche quello: la comunità che, all’inizio, è ad immagine e somiglianza di Muccioli ma da cui, ad un certo punto, si allontana, così come si capisce bene da Maranzano in poi. Quindi, sì senz’altro la narrazione ruota intorno alla figura di Muccioli.

 

C.G.: Lo Stato è stato colpevolmente assente ma Muccioli non era l’unico, la maggior parte – se non proprio tutte – delle comunità per tossicodipendenti erano religiose, quindi, forse, San Patrignano era l’unica comunità laica.

È importante ricordare che non era l’unica, così come invece voleva comunicare la retorica di San Patrignano

Però è importante ricordare che non era l’unica, così come invece voleva comunicare la retorica di San Patrignano, perché fosse stata l’unica, allora, non ne staremmo neanche a parlare, cioè lo faccia e basta, invece non era l’unica che si interessava al problema, esisteva la psicologia e la psichiatria, quindi, esistevano le alternative.

Inoltre, io non credo che Muccioli mettesse in ombra San Patrignano. Non credo che la nostra storia diventi la storia di Muccioli e che si occupi fondamentalmente di lui, anzi, per niente, io credo che la comunità e Muccioli siano davvero inscindibili e siano la stessa cosa e la gigantesca cosa che fanno, alla fine, è un miracolo, cioè quando Muccioli riesce a staccarsi ma a far si che la comunità resti in vita.

Si badi che non è mai stato così per tutte le storie similari con maghi e guru, con un centro così fortemente personalizzato. Il miracolo sta nel riuscire, per oltre 25 anni, quindi più senza che con Muccioli, a far durare la comunità ed è incredibile!

Il nostro racconto è il racconto di tutti i personaggi, quindi, la nostra storia non si chiude con la morte di Muccioli ma sopravvive e vive per quanto sia innegabile il distacco – che c’è stato e si è sentito – come quando devi dividere chirurgicamente due organi. Però, in ogni caso, non credo che Muccioli adombri la comunità alla fine.

 

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