La Babysitter – Killer Queen, la recensione: buona la prima… ma non la seconda

The Babysitter - Killer Queen

La recensione di La Babysitter – Killer Queen, sequel dell’horror comedy Netflix diretta da McG. La storia vede ancora una volta Cole Johnson essere braccato da una setta satanica e costretto a lottare per la sua vita.

Era il 2017 quando su Netflix approdava la horror comedy La Babysitter (The Babysitter). Diretta da McG e con protagonisti Samara Weaving e Judah Lewis, il film narra la notte di disavventura vissuta dal giovane Cole Johnson. L’introverso dodicenne infatti, dopo aver passato una bella serata insieme alla sua babysitter Bee, per cui ha una cotta, invece di andare a dormire decide di rimanere sveglio e scopre che la ragazza fa parte di un culto satanista. Come se non bastasse Bee e i suoi amici hanno bisogno del sangue di Cole per il rito. Grazie ad una grande forza di volontà e al suo ingegno riuscirà a sopravvivere.

Visto il successo riscosso dal film, un sequel era inevitabile. Nella recensione di La Babysitter – Killer Queen (The Babysitter: Killer Queen), seguiremo la nuova notte di terrore che Cole, ormai studente liceale, sarà costretto a vivere. Un incubo che ritorna e che lo vedrà lottare nuovamente per la sua vita.

 

 

 

Una lunga notte

Sono ormai passati due anni da quando Cole è scampato alla sua babysitter Bee

Sono ormai passati due anni da quando Cole è scampato alla sua babysitter Bee e ai suoi amici, che volevano ucciderlo per portare a termine un rito satanico. Ora il ragazzo, a cui nessuno crede se non la sua amica Melanie, è uno studente del liceo. Ma le cose non vanno proprio per il meglio. Non solo non ha praticamente amici, ma i suoi genitori lo credono pazzo, tanto che vogliono iscriverlo ad una scuola psichiatrica.

La sua vita scolastica trascorre tra noiose lezioni in classe, sedute sul lettino del consulente scolastico – che sembra più un rapper che svolge qualsiasi attività perché si annoia – e chiacchiere con la bella amica Melanie, per cui ha ovviamente una cotta ma che è fidanzata con il bellimbusto della scuola.

 

 

Fuggito al lago insieme a Melanie, al suo ragazzo Jimmy e ad i loro amici Boom-Boom e Diego per partecipare ad una festa sul lago, Cole vivrà un’altra tremenda notte. Infatti mentre si sta divertendo con Melanie e gli altri, questa uccide a sangue freddo Boom-Boom, rivelandogli che anche lei fa parte della stessa setta a cui apparteneva la sua babysitter. Il motivo è semplice, vuole diventare una influencer.

L’incubo sta per ripetersi.

Cole sarà così costretto a fuggire da quella che credeva essere la sua migliore amica, da Jimmy, da Diego e dal ritorno dei cultisti originali, ovvero Sonya, Allison, Max e John. Per il ragazzo inizia così una nuova lunga notte in cui dovrà lottare per la sua sopravvivenza, ma questa volta non sarà solo! Insieme a lui ci sarà Phoebe, sua compagna di classe rimasta coinvolta nella follia dei cultisti.

 

 

Di nuovo all’inferno

Un noto detto afferma che “squadra che vince non si cambia“, ed è proprio quello che ha fatto McG con La Babysitter – Killer Queen. Il regista ha riproposto lo stesso schema del primo film, ma ampliando sia il terreno di gioco che sangue e risate, ed ovviamente l’inferno personale del protagonista. Perché lo sappiamo tutti, il liceo è un vero calvario, soprattutto se hai rischiato di morire ma nessuno ti crede. Il problema però è che nonostante le buone intenzioni il film non centra il bersaglio.

La storia fa troppo affidamento su uno schema ben noto

La verità è che il precedente capitolo funzionava perché capace di non prendersi sul serio e di dare vita ad un horror movie home invasion divertente e trash al punto giusto, qui invece la voglia di strafare prende il sopravvento e spesso si va troppo oltre. Come se non bastasse la storia fa troppo affidamento su uno schema ben noto. Ricalcando quanto già visto nel primo capitolo, assistiamo praticamente allo stesso svolgimento.

La Babysitter – Killer Queen è un insieme di siparietti horror comici che riescono a strappare qualche sorriso, ma nulla di più.

Un film pigro che si affida ai cliché e alle citazioni, non sforzandosi minimamente di essere originale. Inutile prendersi in giro, era ovvio che anche in questo secondo capitolo Cole avrebbe dovuto lottare per la sua vita, ma un minimo di inventiva non sarebbe guastata.

Ben venga l’accostamento liceo/inferno, ben venga il rapporto travagliato con i genitori – Ken Marino è sempre perfetto nei panni del padre svampito – e ben venga l’arrivo della nuova studentessa che stravolge la monotona vita del protagonista, ma serve una storia che riesca a tenere alta l’attenzione dello spettatore. Non basta dare al pubblico un film semplicemente più grande e più sanguinoso del precedente, devi essere più originale, diversificare gli omicidi, intrattenere e divertire. Creare un qualcosa che si, segui il vecchio schema, ma che al tempo stesso offra la sensazione di innovazione e unicità.

 

 

Sicuramente, come il film precedente, ha il pregio di non prendersi sul serio.

Un prodotto quello di Netflix che abbandona gli stretti spazi casalinghi per andare all’esterno e giocare con il genere slasher e con cult come Venerdì 13, riuscendosi però solo in parte.

Non mancano ovviamente grandi uccisioni e spargimenti di sangue, così come scritte sovraimpresse fumettose o combattimenti dal richiamo videoludico, ma nulla di tutto questo è eclatante né tanto meno memorabile.

Unica nota positiva sono il protagonista Judah Lewis, che riesce a restituire un Cole tanto solitario ed impacciato quanto determinato, la new entry Jenna Ortega e il trio composto da Bella Thorne, Robbie Amell e King Bach, che ritornano nei loro ruoli e lo fanno con il solito over acting più che riuscito. Personaggi sopra le righe pronti a tutto pur di portare a termine il rituale – anche a perdere la testa – e che alla fine saranno sconfitti da un ragazzo finalmente capace di emanciparsi e per questo degno di rispetto.

Poche note positive a fronte di una storia più che prevedibile, dove il trash la fa da padrone – in un paio di occasioni si esagera anche troppo – e che riesce a malapena ad incuriosire. La sceneggiatura di Dan Lagana da vita ad un film senz’anima, fiacco e svogliato. Un po’ come i suoi villain. Pochi interessanti spunti per un horror comedy che perde inesorabilmente il confronto con il riuscitissimo primo capitolo.

Nonostante tutto riesce ad intrattenere

In conclusione della recensione di La Babysitter – Killer Queen, il film nonostante si basi pigramente e furbescamente su uno schema ben collaudato, senza provare nemmeno ad inserire un pizzico di originalità, e la trama sia alquanto scontata, riesce in qualche modo ad intrattenere tra un bagno di sangue e qualche battuta più riuscita e divertente delle altre.

 

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