Facebook rischia ancora guai per Cambridge Analytica

Facebook è stata querelata da un gruppo di consumatori britannici. Sul social pesano ancora gli strascichi dello scandalo Cambridge Analytica.

Di Cambridge Analytica e del suo ruolo nelle elezioni statunitensi del 2016 si è già detto tutto, o quasi. La vicenda è stata anche al centro del riuscito e popolare documentario Netflix “The Great Hack”. Eppure per Facebook, che fallì nel tutelare l’integrità dei dati dei suoi utenti, i guai non sono ancora finiti, come testimonia una nuova class action presentata dal gruppo di consumatori Facebook You Owe Us.

Facciamo un secondo un passo indietro. Oggi sappiamo che l’uso intelligente e spregiudicato delle inserzioni di Facebook ha avuto un ruolo determinante nell’elezione alla Casa Bianca di Donald J. Trump. Nulla di illegale o scabroso, non fosse che quell’uso luciferino delle inserzioni è stato reso possibile anche grazie ad una massiccia campagna di saccheggio dei dati personali degli utenti ad opera dell’azienda Cambridge Analytica.

Attraverso un test della personalità diffuso su Facebook, Cambridge Analytica nel 2014 raccoglie i dati di oltre 50 milioni di utenti. Peccato che a scaricare quel test, thisisyourdigitallife, furono in soli 300mila. Il mistero di un gap così importante si risolve guardando alle policy di Facebook dell’epoca, che di fatto permettevano alle aziende di accedere anche ai dati della lista amici di chi aveva prestato il consenso, senza che questi ne venissero a conoscenza.

Secondo i promotori della class action, Facebook avrebbe violato le leggi sulla privacy del Regno Unito. Il riferimento normativo, per ovvi motivi, non va trovato nelle norme sulla privacy più recenti, spesso nate proprio in reazione allo scandalo CA, ma al più datato Data Protection Act del 1998.

Quando usiamo Facebook, ci aspettiamo che i nostri dati personali siano usati in modo responsabile, trasparente e legale. Fallendo nel difendere le nostre informazioni personali dal loro uso abusivo, crediamo che Facebook abbia violato la legge. Una sanzione pari allo 0.01% dei suoi ricavi annui —spiccioli per Facebook— non è proporzionata alla gravità del crimine. Chiedere scusa per aver violato la legge, parimenti, non è sufficiente. Combatteremo per inchiodare Facebook alle sue responsabilità.

Facebook You Owe Us è rappresentato dallo studio legale Millberg London e segue la scia di un’altra azione legale analoga, Google You Owe Us, capeggiata dall’ex direttore di Which? Richard Lloyd.

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