La recensione di Scheletri di Zerocalcare, il nuovo libro dell’autore romano, che racconta ancora una volta i cambiamenti della vita, ma stavolta con un atmosfere più thriller e presenze decisamente più oscure e difficili da cancellare.
È passato un po’ di tempo in effetti dall’ultimo libro di Zero (ovvero Macerie Prime Sei Mesi Dopo, al quale sono seguite le raccolte Scavare Fossi, Nutrire Coccodrilli, La Scuola di Pizza In Faccia del Professor Calcare e la riedizione di Kobane Calling, sempre edite da Bao Publishing), ma è finalmente giunto il momento per pubblicare la recensione di Scheletri di Zerocalcare, la nuova opera completa dell’autore che ha cambiato radicalmente la percezione del fumetto in Italia.
Zerocalcare è un autore a dir poco affermato, è persino banale scriverlo. In questo momento Scheletri è ben ancorato alle prime posizioni di qualsiasi classifica di vendita di libri del nostro paese.
Ogni sua uscita è un evento e ogni volta ci si domanda cosa avrà in serbo per i lettori il fumettista di Rebibbia che abbiamo un po’ tutti imparato a considerare come un nostro amico, non solo per i tanti libri di cui è protagonista, ma anche per le attività social e una presenza televisiva che in questo 2020 è cresciuta ancora di più.
Perché Zerocalcare, pur con le sue ansie, la sua scarsa propensione al contatto umano, le lamentele, le paure degli accolli e tutto il resto che si porta dietro e che ci mostra sempre nelle sue tavole, si è sempre posto nei nostri confronti con un atteggiamento amichevole, di quelli che si mettono a nudo e ti descrivono tutto, abbattendo i muri del distacco e facendolo sembrare uno di famiglia.
Come un amico, dicevamo. Perché Zerocalcare, pur con le sue ansie, la sua scarsa propensione al contatto umano, le lamentele, le paure degli accolli e tutto il resto che si porta dietro e che ci mostra sempre nelle sue tavole, si è sempre posto nei nostri confronti con un atteggiamento amichevole, di quelli che si mettono a nudo e ti descrivono tutto, abbattendo i muri del distacco e facendolo sembrare uno di famiglia.
Anche se non siamo cresciuti a Rebibbia e se non condividiamo il suo vissuto.
Sarà la sua maniera di raccontarci gli anni passati, di legarsi a dei ricordi che per noi, figli degli anni ottanta e novanta, sono tuttora importanti e fondamento della cultura pop, sarà la sua incredibile genuinità e onestà narrativa.
Michele Rech è l’autore con lo sguardo costantemente rivolto al passato, e non lo dico certo in senso negativo, anzi. Ogni sua storia parte da indietro e così anche Scheletri di Zerocalcare.
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In questo caso andiamo indietro di venti anni, quando Calcà portava una vistosa cresta rossa sulla testa, era ancora molto confuso sul suo futuro (non che adesso sia molto diverso, stando a quanto scrive) e la sua comitiva di amici cercava una direzione da prendere.
Tutto comincia con un giallo, anzi un thriller: il ritrovamento di un dito mozzato davanti all’ingresso di casa Calcare. Un mistero o un avvertimento? Per venirne a capo torneremo ancora più indietro.
Nel 2002 Zerocalcare era iscritto alla facoltà di lingue, ma di fatto non ha mai frequentato una lezione, in una sorta di blocco psicologico nell’affrontare una cosa che evidente non gli andava e che forse serviva più per far sentire tranquilla la madre.
Durante le lunghe mattine seduto in metro a far passare il tempo avviene l’incontro importante che cambierà quel particolare momento storico e non solo: il sedicenne Arloc, un giovanissimo writer con già un vissuto intenso e importante alle spalle, che ribalterà le vite dell’intera combriccola composta da Sarah, Cinghiale e soprattutto Lena e Osso.
La pragmaticità di Arloc irromperà come un fulmine nella vita decisamente sconclusionata di Zerocalcare e porterà il nostro fumettista a confrontarsi non solo coi suoi demoni interiori, che lo soffocano e lo avvinghiano dall’interno, ma anche con quelli più subdoli e violenti dello stesso Arloc.
Perché comunque la vita a Rebibbia non era tutto rose e fiori: c’era criminalità, droga, spaccio, vite al limite (come quella rappresentata da Paturnia e le stesse attività illecite di Arloc) e tante condizioni umane davvero estreme (in particolare la triste esistenza di Osso, ex – forse – tossico), tutte cose che non si possono sempre cancellare con una partita a Street Fighter 2 o Metal Slug in sala giochi.
La città viene mostrata come un ambiente davvero pericoloso e ostile, dove mettere sempre in preventivo che qualcosa non vada per il verso giusto, addirittura paragonata non alla giungla, dove gli animali crescono e si sviluppano ma agli zoo, in cui gli animali in cattività risultano imprevedibili, pericolosi e influenzati dalle bassezze umane oltre che dalla prigionia. Quasi a dire “da Rebibbia non si scappa”.
Arloc e Zerocalcare diventeranno inseparabili ma il giovane, dopo aver preso una cotta per Lena, mostrerà anche un lato oscuro decisamente incontenibile e pericoloso, quasi fosse una versione zerocalcariana di Anakyn Skywalker, combattuto tra quello che vorrebbe essere e i propri istinti. E questi istinti sono davvero oscuri, tanto da generare dei demoni mostruosamente pericolosi.
In Scheletri di Zerocalcare la narrazione si concentra quasi del tutto in quel fatidico anno, che porterà poi lo stesso autore ad accettare il lavoro all’aeroporto (già raccontato mille volte) e decidere cosa fare nella vita.
Scheletri di Zerocalcare affronta in chiave thriller nuovamente il tema della crescita e del cambiamento e della sensazione di inadeguatezza che si prova nel vedere tante cose cambiare (e maturare) attorno a noi, mentre eravamo impegnati semplicemente a fare altro (e nel caso di Zerocalcare non è certo poco).
Quando la narrazione si sposterà nel periodo successivo al lockdown della scorsa primavera, vedremo che tutta la ex combriccola di ragazzi è ormai cresciuta; spuntano i capelli bianchi ma anche i figli…
Quando la narrazione si sposterà nel periodo successivo al lockdown della scorsa primavera, saltando di venti anni, vedremo che tutta la ex combriccola di ragazzi è ormai cresciuta; spuntano i capelli bianchi ma anche i figli (quelli di Cinghiale già li abbiamo visti ma non saranno i soli) e persino chi pensavamo sarebbe rimasto immutabile risulterà cambiato.
Ancora una volta c’è la paura del cambiamento, la paura di crescere e Scheletri di Zerocalcare segna un punto di maturazione non indifferente per l’autore romano che riesce a coniugare la sua tematica più cara, fatta di nostalgie, ansie e ricordi con un racconto thriller, quasi “noir di quartiere”, ben ritmato e costruito.
Non vi sarete mica dimenticati del dito mozzato trovato di fronte al cancello di casa, vero?
Per quanto il suo stile ci permetta sempre di farci delle sincere e gustose risate tra una battuta e l’altra, Scheletri di Zerocalcare è intenso, crudo, più violento e cupo rispetto i lavori precedenti.
Per quanto il suo stile ci permetta sempre di farci delle sincere e gustose risate tra una battuta e l’altra, Scheletri di Zerocalcare è intenso, crudo, più violento e cupo rispetto i lavori precedenti.
Il cinismo e la disillusione di Macerie Prime (entrambi i libri, ovviamente) in Scheletri diventa paura, senso del pericolo circostante. Avete presente quando si parla scherzosamente di “università della strada?”. Beh non ci siamo per nulla distanti.
Siamo lontani dalle atmosfere più smussate e fantastiche de La Profezia dell’Armadillo o di Dimentica Il Mio Nome; Scheletri è più pragmatico, affonda le sue radici nel vissuto reale di una città mai stata così cupa e opprimente (altro che “Rebibbia Regna”).
E ci sono i mostri: demoni minacciosi che si ergono alle spalle dei protagonisti, si nutrono delle loro ombre e che sono perno centrale della narrazione, vista dalle due lontane prospettivi di Zerocalcare e Arloc.
A noi piace Zerocalcare anche per una sua certa immutabilità. C’è sempre il suo fedele Armadillo, continua ad amare i plumcake e ad infilarsi in un accollo dietro l’altro, è sempre simpaticamente sociopatico, parla sempre dei cartoni animati di una volta ecc. Lo vediamo anche dai suoi disegni, mai veramente cambiati da anni a questa parte. Questi suoi punti fermi ci danno in qualche modo sicurezza in un mondo che corre incredibilmente veloce.
Ebbene Scheletri di Zerocalcare ci racconta invece di quanto questa condizione sia uno dei punti deboli dell’autore e del suo “crescere”. E questa volta non c’è un vero lieto fine. Forse non c’è nemmeno una fine vera e propria.
I misteri saranno risolti, certo, la verità verrà a galla e certe cose si risolveranno per il meglio, ma non tutte. Forse non la questione principale.
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È un bel libro. Superiore al precedente per tematica, ritmo, costruzione della narrazione, utilizzo dei personaggi. C’è sempre la componente autobiografica (che non ci è dato sapere a quanto ammonti percentualmente) che rende il tutto ancora più affascinante, verosimile.
E c’è la componente thriller, vera novità nelle opere di Zerocalcare ed elemento che sembra saper dosare in maniera decisamente buona e convincente.
In conclusione della recensione di Scheletri, capiamo che anche Zerocalcare sta “cambiando infine”; proprio lui che scrive di temere così tanto l’evolversi delle cose fuori dalla propria comfort zone.
È sempre ben ancorato al suo passato, ai suoi schemi e alla sua tradizione, ma con una propensione verso il futuro decisamente interessante.
Bentornato, Zerocalcare!
- Zerocalcare riesce ad esplorare nuove atmosfere thriller e più crude, trovando immediatamente il risultato
- ...il tutto pur non cambiando il suo stile, le sue battute e le caratteristiche che lo hanno reso quello che è.
- Una storia che parla di maturazione e apre importanti interrogativi generazionali
- Più cruda, più matura, più oscura. Funziona tutto molto bene.
- Ma di cosa volete che parliamo? Dei disegni che restano immutati?! E vi sembra un difetto?!