La recensione di Waiting for the Barbarians: arriva nelle sale italiane il primo film in lingua inglese di Ciro Guerra, tratto dal romanzo Aspettando i barbari del premio Nobe J. M. Coetzeel. Produzione italiana e un cast stellare: il premio Oscar Mark Rylance, Johnny Depp e Robert Pattinson.
Un impero e un tempo imprecisati. Un magistrato (Mark Rylance) quasi alla pensione, curioso e avido di conoscenza, che sfrutta il suo tempo in terra straniera per entrare in contatto con una cultura diversa, di cui approfondisce usi e costumi, avvicinandosi alla gente del luogo. Peccato che la sua sia una zona di frontiera in cui convergono diversi interessi politici ed economici e un individuo che si fa troppe domande è sempre scomodo per chi è al potere. Nello scrivere la recensione di Waiting for the Barbarians, non possiamo non pensare alla sua magnifica confezione.
Waiting for the Barbarians è un progetto multiculturale: produzione italiana, regista colombiano, romanzo sudafricano e cast anglosassone
Primo film in lingua inglese del regista colombiano Ciro Guerra, Waiting for the Barbarians è un progetto multiculturale: a produrre è l’Italiana Iervolino Entertainment, mentre il romanzo alla base del film, Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980, è opera dello scrittore sudafricano, J. M. Coetzee, premio Nobel. Il cast invece unisce alcuni dei migliori interpreti del cinema inglese e americano.
A fare da contraltare agli occhi luminosi e al sorriso gentile del premio Oscar Mark Rylance (che ormai si contende con Tom Hanks il titolo di faccia più buona di Hollywood) è il colonnello Joll interpretato da Johnny Depp: l’attore americano gioca ancora una volta con il suo aspetto, trovando in un paio di occhiali da sole particolari (l’ennesimo paio nella sua lunga carriera di trasformista) l’alleato migliore su cui cominciare a costruire un personaggio indecifrabile, granitico nelle sue convinzioni: far rispettare gli ordini.
La legge morale in opposizione con quella del potere
Mandato sul posto a controllare la situazione, non rimane per nulla soddisfatto dal comportamento del magistrato: non si può fare amicizia con un potenziale nemico dell’Impero. Anzi: bisogna incutergli timore, incatenarlo, torturarlo per estorcergli informazioni. Se non si è con noi si è contro di noi. E per sicurezza meglio abbondare con frustate e umiliazioni. L’animo aperto e accogliente del magistrato non può che essere dilaniato da questo conflitto interiore difficilmente risolvibile se non con grandi sacrifici: gli ordini vanno seguiti sempre, oppure la legge morale è la più forte?
Waiting for the Barbarians e la legge morale dentro di noi
Presentato in concorso alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Waiting for the Barbarians arriva finalmente nelle sale italiane il 24 settembre, dopo un rilascio in digitale in Gran Bretagna di grande successo (è il film più visto tra le nuove uscite su APPLE TV Uk).
Inseguito per vent’anni dal produttore Michael Fitzgerald, l’adattamento del romanzo di Coetzee alla fine è riuscito ad Andre Iervolino e a Ciro Guerra, al suo primo film in lingua inglese. Dopo El abrazo de la serpiente (2015), Oro verde (2018) e la miniserie Frontiera verde (2019) è chiaro che al regista interessi molto il rapporto tra uomo e natura: non soltanto quella del paesaggio e del territorio, ma anche quella dei nostri istinti più profondi.
Stavolta al verde lussureggiante della foresta Amazzonica si sostituisce l’oro del deserto unito all’azzurro del cielo: infuocato di giorno e freddo di notte, l’ambiente sottolinea i contrasti dei personaggi, combattuti tra due estremi. Impossibile non pensare a Lawrence D’Arabia (1962) di David Lean e a Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini: come nei film di fantascienza, in cui lo spazio profondo e buio è specchio della natura umana più inaccessibile, così il deserto, con i suoi paesaggi immensi e l’orizzonte che sembra non finire mai, ha una valenza narrativa e simbolica fortissima.
Il Magistrato rappresenta il lato più compassionevole dell’essere umano: nonostante sia un uomo di legge, perfettamente consapevole del suo ruolo e compito, preferisce mantenere un rapporto pacifico con la popolazione che il suo paese ha invaso. Il Colonnello invece è di vedute completamente opposte: meglio la paura per tenere a bada i conquistati.
Nello scontro tra legge morale e legge sociale c’è il soldato Mendel interpretato da un bravissimo Robert Pattinson
Nello scontro tra legge morale e legge sociale c’è il soldato Mendel interpretato da un bravissimo Robert Pattinson: ha un ruolo secondario, ma si fa ricordare. L’attore inglese, fino a ora, non è mai stato così spregevole sul grande schermo: il suo personaggio è l’uomo comune, che segue ciecamente gli ordini che vengono dall’alto, senza farsi domande. Anzi: nell’applicare la violenza prova un gusto quasi sadico. Tra morale e convenienza forse a sconvolgere di più è proprio la banalità del male, che non può non far domandare allo spettatole chi siano i veri barbari. La totale mancanza di empatia per il prossimo è forse il più grande problema della società civile.
Un cast eccezionale
C’è una grande cura per ogni dettaglio in Waiting for the Barbarians: il panneggio degli abiti scomposti dal vento, che si mescolano alla sabbia, ogni calamaio, ogni candela sono inquadrati con la cura di un entomologo. La bellezza delle immagini è indiscutibile, così come la fotografia del due volte premio Oscar Chris Menges (di cui uno per il film Mission). È il cast però a reggere davvero sulle proprie spalle un film che si prende i suoi tempi, dilatandoli e mettendo alla prova l’attenzione e la pazienza dello spettatore. Se un pubblico più moderno, abituato alla visione casalinga in streaming, forse potrebbe trovarsi in difficoltà di fronte a un film come questo, gli amanti del grande cinema classico invece potranno gioire di una pellicola che indulge in campi lunghi e inquadrature interminabili delle dune desertiche.
Le grandi interpretazioni dei protagonisti diventano quindi, per i meno disposti a godere delle singole immagini, l’ancora a cui aggrapparsi per procedere nella visione di Waiting for The Barbarians: come già detto, Robert Pattinson conferma il suo talento in ascesa costante in un ruolo piccolo ma non per questo meno importante, e Johnny Depp torna finalmente a un’interpretazione senza sbavature, sobria e potente. Il suo Colonnello è la rappresentazione perfetta dell’immobilità del potere: non c’è nessuna umanità nel desiderio di sottomettere e conquistare gli altri. E l’attore rende perfettamente questa idea, in ogni gesto misurato, in ogni sguardo fisso. Anche se non li vediamo, sappiamo benissimo che sotto quegli occhiali da sole ci sono gli occhi di uno squalo: vuoti, malvagi, attenti e pronti a sferrare il colpo quando farà più male.
Pattinson e Depp sono bravissimi, ma a brillare più di tutti è proprio il protagonista Mark Rylance
La sua è un’interpretazione straordinaria, traboccante umanità ed empatia. Ogni singolo gesto delle dita, ogni piega delle labbra, ogni smorfia di dolore ci convince di trovarci al cospetto dell’essenza stessa di tutto il meglio degli esseri umani. Quando il Magistrato è curioso siamo curiosi come lui, quando soffre sentiamo ogni colpo sulla nostra pelle, quando si rassegna all’impossibilità di cambiare realmente le cose, siamo sgomenti come lui. Una prova fondamentale per lo scopo ultimo del film, ovvero quello di far porre una domanda (e forse più di una) al pubblico. La risposta però, probabilmente troppo sgradevole e dura da accettare, si farà aspettare a lungo. Proprio come quei Barbari tanto discussi, temuti e cercati.