Tra scienza e fantascienza uno studio dichiara che per colonizzare Marte occorrerebbero un minimo di 110 persone. Saresti pronto a partire?

Ci vorrà ancora molto tempo e chissà se sarà davvero possibile colonizzare Marte, ma si sa, la mente umana viaggia molto più velocemente delle reali conquiste tecnologiche ed è anche grazie a questa proattività e capacità di immaginazione che gli uomini riescono in imprese scientifiche che, anni o secoli prima, potevano essere considerate solo fantascientifiche.

Ecco che Jean-Marc Salotti, professore al Politecnico nazionale di Bordeaux si è chiesto quale sia il numero minimo di coloni per sopravvivere su un altro pianeta ammettendo che il pianeta in esame, come Marte, sia così lontano da non poter contare su aiuti terrestri per risolvere problemi.

Servono 110 abitanti per colonizzare un pianeta lontano.

Jean-Marc ha anche dato una risposta molto specifica a questa domanda, ha detto che devono essere 110 e i risultati dei suoi calcoli sono stati pubblicati su Scientific Report.

Le domande a cui rispondere in maniera quantitativa sono molte:

  • come si organizzeranno le persone?
  • quale attrezzatura possono portare con loro?
  • come estrarranno le risorse in situ?
  • che tipo di competenze sono necessarie?

per citarne solo alcune.

Salotti afferma che, nel lavoro pubblicato:

sono state proposte l’uso di risorse in situ e diverse organizzazioni sociali, ma c’è ancora una scarsa comprensione delle variabili del problema.

Salotti in particolare afferma di essersi concentrato a valutare realisticamente, grazie a un modello matematico, quale sia il numero minimo di persone necessarie per la colonizzazione di un pianeta lontano e ha preso Marte come esempio.

Lui stesso dice:

mostro con questo lavoro che può essere usato un modello matematico per determinare il numero minimo di coloni e il modo di sopravvivere su un altro pianeta.

Negli ultimi tempi, con SpaceX e gli imminenti prossimi lanci di rover cinesi e americani su Marte, forse si è pensato più del solito a una sua possibile colonizzazione.

SpaceX dichiara che il loro veicolo spaziale interplanetario potrebbe trasportare 100 persone su Marte.

Elon Musk ha parlato addirittura della costruzione di una flotta, in modo che ci sia un flusso costante di risorse su Marte.

Ma è realistico?

 

 

colonia su Marte

Una possibile colonia su Marte secondo SpaceX (©SpaceX)

 

 

Secondo Salotti, quella di Elon Musk è

una stima ottimistica.

 

Infatti se davvero il veicolo possa essere riutilizzabile rimane incerto sia per l’atterraggio su Marte (o meglio, l’ammartaggio), sia – e non è da sottovalutare – per il rilancio da Marte che potrebbe essere molto difficile e richiedere diversi decenni.

E le altre parti della missione non sono certo meno complesse.

Molti ricercatori hanno pensato a come usare le risorse in situ: si potrebbero estrarre i gas dall’atmosfera e i minerali dal suolo ottenendo composti organici, ferro e addirittura vetro.

Ma il problema è estremamente complesso e Salotti ha pensato a un modello matematico che possa servire come un buon punto di partenza per pensare a una colonia autosufficiente.

 

Illustrazione di una colonia su Marte. Credito: NASA

 

Salotti ha lavorato su un modello matematico che pensa possa servire come un buon punto di partenza per pensare a una colonia autosufficiente.

Fondamentale  la sua idea è quello che definisce il fattore di condivisione

che consente una certa riduzione del tempo necessario per individuo se, ad esempio, l’attività riguarda la costruzione di un oggetto che può essere condiviso da più persone.

Certo che la domanda principale da cui partire per pensare a un insediamento duraturo è: quali risorse saranno disponibili? Se si ipotizza che, all’inizio ci siano una grande quantità di risorse e strumenti tecnologici, ciò ovviamente influirà sul resto della proiezione.

 

 

 

colonizzare marte

Ma il punto di partenza potrebbe non essere così critico, per due fattori.

La complessità, le spese e la fattibilità del viaggio interplanetario sono una cosa sola. E la durata dell’attrezzatura con cui iniziano i coloni è un’altra. Ogni attrezzatura ha una vita.

Salotti scrive che, per semplicità

si presume che la quantità iniziale di risorse e strumenti inviati dalla Terra sarà piuttosto limitata e di conseguenza non avrà un grande impatto sulla sopravvivenza.

La costruzione di un modello che si basa su un facile rifornimento dalla Terra non sarebbe utile perché l’obiettivo è trovare la situazione in cui la comunità sia autosufficiente senza dipendere in maniera critica da approvvigionamenti terrestri.

Quindi, garantendo che lo stato iniziale della colonia sia praticabile, Salotti passa a due variabili che avranno un enorme effetto sulla sopravvivenza:

  1. la disponibilità di risorse locali
  2. la capacità produttiva.

Ci sono molte cose da fare e sarebbe impossibile per uno solo o pochi individui fare tutto, ma d’altra parte più il numero di individui cresce e più aumentano anche i consumi e le necessità per questo le due cose vanno bilanciate con il fattore condivisione, parametro che abbiamo già citato e che va ottimizzato in modo da distribuire l’onere in maniera sostenibile e contemporaneamente avere risorse per tutti.

 

 

 

 

Inoltre con l’aumentare del numero di persone, c’è spazio anche per una maggiore specializzazione. Immagina una colonia di sole 10 persone. Quanti di loro dovrebbero essere in grado di riparare e mantenere il sistema di acqua potabile? O il sistema di ossigeno?

Non è possibile far fallire tali sistemi, quindi ci sarebbe una pressione affinché una grande percentuale di quelle persone sia in grado di operare e comprendere tali sistemi.

Un numero maggiore di individui rende possibile essere più efficienti attraverso la specializzazione e implementare altri settori consentendo l’uso di strumenti più efficienti.

Salotti sostiene che il fattore di condivisione può essere calcolato e stimato con diverse funzioni matematiche riportate nel lavoro e che non approfondiremo qui.

Ci limitiamo a riportarvi la figura sottostante ecco la stima delle ore di lavoro annuale necessarie per mantenere la colonia in vita in funzione del numero iniziale di persone da cui viene estratto il numero che immagino possa apparire un po’ “magico” di 110:

 

Determinazione del numero minimo di individui per la sopravvivenza su Marte. La capacità di orario di lavoro annuale è maggiore del fabbisogno di tempo di lavoro annuale se il numero iniziale di persone è superiore a 110.

 

Un altro risultato interessante è la distribuzione del fabbisogno di orario di lavoro per un individuo rispetto al fabbisogno di tempo individuale per 110 individui. Per una sola persona, il problema è implementare tutte le attività industriali, mentre per 110 persone, metà del fabbisogno di orario di lavoro è nel settore delle attività sociali, tra cui la crescita dei bambini, l’assistenza sanitaria e gli eventi culturali come mostrato nella figura sottostante.

 

 

Ci sono alcuni vincoli e punti di partenza per il fattore di condivisione, ovviamente.

Il fattore di condivisione dipende dalle esigenze, dai processi, dalle risorse e dalle condizioni ambientali, che possono variare a seconda del pianeta

scrive Salotti.

E questo ci riporta alla descrizione di Salotti di quelli da lui definiti i “domini di sopravvivenza”. Il ricercatore ne individua cinque da considerare in tutti i calcoli:

  1. gestione dell’ecosistema
  2. produzione di energia
  3. industria
  4. edifici
  5. fattori umani / attività sociali

Si tratta di domini per lo più autoesplicativi, a parte “fattori umani” dentro a cui confluiscono cose come l’educazione di grandi e piccini, alcune attività culturali, sport e, perché no, anche la musica.

 

 

Se pensiamo a colonizzare Marte non dobbiamo partire proprio da zero perché molte persone hanno già fatto ipotesi e calcoli su come costruire una presenza umana su questo pianeta, Salotti spiega che

l’utilizzo specifico delle risorse marziane per il supporto vitale, l’agricoltura e la produzione industriale è stato studiato in diversi seminari e pubblicato in relazioni e libri.

Comunque questa è la prima volta che “semplici” speculazioni si trasformano in qualcosa di quantitativo generando una stima, basata su vincoli ingegneristici, del numero minimo di individui necessari per la colonizzazione.

Il metodo apre la possibilità di confronto ed è proprio quello che desidera anche Salotti che conclude che desidera che si

apra il dibattito sulla migliore strategia di sopravvivenza.

 

 

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