Alcune delle più importanti multinazionali hanno decido di avviare una campagna di boicottaggio contro Facebook. Per un mese non spenderanno un centesimo in pubblicità, vale anche per Instagram. Probabilmente per Facebook non sarà un grosso problema.
La lista dei brand che hanno aderito alla campagna Stop Hate For Profits include alcune delle più importanti aziende americane, incluse Ford e Coca Cola. I brand che hanno aderito sono 240, e si sono impegnati tutti a non spendere un centesimo in inserzioni pubblicitarie su Facebook e Instagram per il mese di luglio.
Non è ovviamente una situazione idilliaca per Facebook, ma forse non è nemmeno quella tragedia che, ad una lettura superficiale, potrebbe sembrare. Lo sostiene un’analisi del Wall Street Journal.
I giornalisti del quotidiano economico hanno guardato lo storico degli investimenti pubblicitari delle aziende coinvolte, partendo da Microsoft, Starbucks, Unilever, Herschey, Diageo, Pfizer, Clorox e Target. Vale a dire, 8 delle 100 aziende che spendono di più in assoluto in pubblicità. Assieme a maggio hanno speso 57,4 milioni di dollari in inserzioni pubblicitarie.
Complessivamente a maggio i 100 più grandi inserzionisti di Facebook hanno speso 529,6 milioni di dollari. Non è una cifra particolarmente alta, giusto per darvi una fotografia più ampia: solamente in Canada e negli USA, Facebook ha ottenuto ricavi per 34,1 miliardi di dollari l’anno scorso. Se si prendono in considerazioni le operazioni globali di Facebook, i ricavi salgono a 69,7 miliardi.
Le 240 aziende che hanno aderito alla campagna di boicottaggio Stop Hate For Profits non sono tutte di grandi dimensioni, e a parte i nomi eccezionali ci sono anche tante realtà di dimensioni medie o piccole. A prescindere, se guardiano ancora una volta alle aziende che si posizionano nella Top 100 degli inserzionisti che hanno speso più soldi l’anno scorso, ci troviamo davanti ad una potenza di fuoco di circa 6,4 miliardi di dollari — tanto quanti ne hanno spesi nel 2019.
Il 76% dei ricavi pubblicitari arrivano grazie alle inserzioni delle piccole e medie aziende.
Il fatto che siano moltissime, frammentate e spesso lontane dai riflettori, rende lo scenario di un’adesione di massa alla campagna semplicemente impossibile.
L’altro dato da prendere in considerazione è che la stragrande maggioranza degli inserzionisti che hanno partecipato all’iniziativa di protesta hanno dato disponibilità esclusivamente per il mercato statunitense. I consumatori europei e asiatici continueranno a vedere normalmente le pubblicità delle aziende coinvolte.
WSJ traccia quindi uno scenario limite, quello che si avrebbe se tutti i 100 inserzionisti più grandi decidessero di protrarre la campagna di protesta per ben 12 mesi di fila. Facebook perderebbe appena il 9% del suo fatturato a livello globale.
Ma il boicottaggio di mesi ne durerà solamente uno. Insomma, poca cosa.
Questo però non significa che Facebook non decida di cedere alle pressioni degli attivisti —che trovate spiegate una volta per tutte in questa intervista di The Verge—, se non altro perché: a) nessuna azienda ha piacere di perdere soldi, anche se si tratta di una goccia all’interno di un fatturato immenso; b) entra in gioco anche una questione di prestigio e reputazione, e la fama di social che perdona tutto agli estremisti di destra (vera o falsa che sia) comincia a stare molto stretta all’azienda di Mark Zuckerberg.