Nelle persone che soffrono di malattie autoimmuni, il sistema immunitario percepisce le cellule e i tessuti del corpo come una minaccia e li attacca come se fossero batteri, virus o altri agenti patogeni dannosi.

Il sistema immunitario in condizione fisiologiche lavora per proteggerci da batteri, virus e altri agenti patogeni dannosi. Ma nel caso di persone che soffrano di malattie autoimmuni, i globuli bianchi del corpo percepiscono invece altre cellule e tessuti del corpo come una minaccia e li attaccano.

Alcuni di questi disturbi, come le allergie, possono essere curati, ma ce ne sono altre anche molto gravi come la sclerosi multipla (SM) che hanno questa base e rimangono incurabili.

Una ricerca di qualche anno fa ha dimostrato che è possibile fermare il sistema immunitario che attacca le cellule nervose, come accade nella SM. Si può fare dando al sistema immunitario dosi sempre crescenti della stessa molecola che il sistema immunitario stava attaccando.

Ora è stato compiuto un ulteriore passo avanti in questa ricerca e si è riusciti a comprendere come funzioni questo processo che coinvolge soprattutto i globuli bianchi che sono parte del sistema immunitario.

I teams guidati da Peter Cockerill, professore dell’Institute of Cancer and Genomic Sciences e David C. Wraith, professore di immunologia e direttore dell’Institute of Immunology and Immunotherapy entrambi dell’Università di Birmingham, hanno scoperto i complessi meccanismi che consentono di modificare le cellule T (un tipo di globuli bianchi chiamati anche linfociti T) in modo che smettano di attaccare le cellule dei pazienti con malattie autoimmuni e tornino a difendere l’organismo.

In altre parole, hanno trovato un modo di rendere tolleranti le cellule T reattive.

Le nostre cellule T si sono evolute in modo che ognuna riconosca diverse parti delle molecole prodotte da agenti patogeni (noti anche come antigeni). Quando le cellule T riconoscono gli antigeni, iniziano a moltiplicarsi per attaccare gli invasori.

Le cellule T passano da uno stato di riposo a uno stato altamente reattivo attivando i geni di risposta immunitaria che le aiutano ad attaccare i patogeni.

Quando un’infezione è finita, alcune di queste cellule T rimangono, dando l’immunità per tutta la vita come cellule T di memoria. Esse sono in grado di mantenere questa memoria per tutta la vita imprimendo nei nostri cromosomi una sorta di trigger che consente ai geni della risposta immunitaria di essere riattivati ​​molto più velocemente.

 

A destra un linfocita T (cellula T), a sinistra un globulo rosso. Credito: wikipedia

 

Nelle malattie autoimmuni come la SM, la malattia di Graves e il diabete di tipo 1, il sistema immunitario sbaglia. Nella SM, le cellule T iniziano a vedere la proteina basica della mielina, un componente del rivestimento isolante esterno che circonda le cellule nervose, come un antigene.
Attaccano il sistema nervoso e, di conseguenza, chi soffre di SM perde il controllo dei suoi muscoli.

L’obiettivo di questa ricerca è di correggere questo processo sbagliato.

 

 

Indebolimento delle cellule T

Per comprendere il processo, i ricercatori si sono specificatamente concentrati sulle cellule T che riconoscono la proteina basica della mielina come antigene e hanno scoperto che nel tempo le cellule T sono diventate meno reattive dopo essere state esposte a dosi gradualmente crescenti della proteina di base della mielina.

Questa esposizione progressiva le ha riprogrammate in modo che i segnali che le spingevano ad attaccare la proteina diventassero sempre più deboli convertendole da “attaccanti” a “difensori”.

Questo passaggio potrebbe essere spiegato dal fatto che il sistema immunitario è regolato da due tipi di geni: uno dice al sistema immunitario di attaccare, mentre l’altro mette a tacere il sistema immunitario per impedirgli di andare fuori controllo.

È stato dimostrato che quando le cellule T sono rese tolleranti, due dei geni più importanti che sopprimono il sistema immunitario vengono riprogrammati a livello dei cromosomi per mantenerli più attivi.

L’esposizione ripetitiva alla proteina basica della mielina ha impresso un ricordo all’interno di questi geni inibitori e ciò ha permesso alle cellule T di ricordare di inibire il recettore delle cellule T dall’invio di segnali di attacco quando hanno incontrato lo stesso frammento di proteina.
L’effetto finale dell'”accensione” dei geni inibitori era di indebolire i segnali all’interno delle cellule T che normalmente avrebbero attivato altri geni del sistema immunitario.

Le malattie autoimmuni sono attualmente trattate con farmaci immunosoppressori

Le malattie autoimmuni sono attualmente trattate con farmaci immunosoppressori. Il problema è che sopprimono l’intero sistema immunitario, rendendo il paziente incline a tumori e altre infezioni.

Sono in corso studi con terapia antigenica in pazienti con SM e morbo di Grave, ma i risultati di studi clinici preliminari a breve termine hanno già mostrato risultati confortanti dal momento che i pazienti sembrano migliorare.

La speranza è che l’immunoterapia a base di antigeni un giorno sia in grado di offrire importanti benefici per tutti i tipi di malattie autoimmuni. Comprendendo in dettaglio i complessi meccanismi che controllano il destino delle cellule T autoreattive, si potrà anche aprire una porta per terapie più specifiche per queste malattie.