Biodegradare la plastica: batteri sensibili al calore ci daranno una mano

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Batteri sensibili al calore e capaci di biodegradare con alta efficienza il polietilentereftalato (PET), una fibra plastica: ci aiuteranno a biodegradarla.

È già parecchio tempo che si studia un modo per rendere particolarmente appetibile la plastica ai batteri e anche noi, non tanto tempo fa, ne avevamo parlato qui.

In effetti far abbuffare microorganismi della plastica in eccesso sarebbe una formidabile soluzione ai problemi del corretto smaltimento di questo rifiuto.

Il team di ricerca del Qingdao Institute of Bioenergy and Bioprocess Technology (QIBEBT) dell’Accademia cinese delle scienze, guidato dal professore associato Liu Yajun, Ph.D., è riuscito a creare un ceppo di batteri chiamato Clostridium thermocellum  per degradare il PET, una fibra di plastica comune utilizzata per fabbricare abbigliamento e prodotti di consumo usa e getta, in modo più efficiente rispetto agli attuali bio-metodi del settore.

Questo batterio in particolare è stato scelto per la sua caratteristica di riprodursi e vivere bene in ambienti caldi e privi di ossigeno.

I batteri ingegnerizzati possono anche scomporre le fibre di origine vegetale, ha scoperto il team di ricerca QIBEBT.

Poiché il C. thermocellum può degradare naturalmente la cellulosa in modo efficiente, la strategia a base di questo batterio dovrebbe dimostrare un grande potenziale per l’applicazione nel bio-riciclaggio di rifiuti tessili misti contenenti sia frazione di cellulosa che poliestere

ha affermato Liu.

Due piccioni con un battere insomma considerando che l’economia globale fa attualmente molto affidamento sul PET per una gamma di prodotti.
Circa il 70% delle fibre utilizzate nella produzione di indumenti contiene PET e la maggior parte dei prodotti per l’imballaggio di consumo e le bottiglie per bevande sono prodotte da questo tipo di plastica.

Ma veniamo all’esperimento

Nell’immagine sottostante potete osservare le immagini dell’esperimento.

 

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Un sottile campione di PET è stato immerso in una soluzione ricca di C. thermocellum. Le fiale di prova sono state mantenute a 60 °C per 14 giorni, a quel punto circa due terzi del PET si erano scomposti in quelle che gli ingegneri petrolchimici chiamano “materie prime” ossia i composti a base di idrocarburi usati per creare una miriade di plastica e altri prodotti .

Gli impianti di riciclaggio che biodegradano il PET in genere impiegano microbi che richiedono ossigeno e temperature più basse, rendendo i meccanismi del processo più dispendiosi in termini di energia e anche maggiormente costosi.

L’utilizzo di questi batteri rende più efficiente, veloce ed economico il processo di biocatalisi a cellule intere già esistenti per degradare il PET

I processi di biocatalisi a cellule intere esistenti per degradare il PET sono anche più lenti del processo esaminato nello studio, in cui circa due terzi del campione di PET testato sono stati degradati in due settimane. I processi attuali impiegano circa sei settimane per degradare completamente il PET. Inoltre è necessaria molta energia per agitare le navi di riciclaggio e iniettare bolle d’aria per mantenere i livelli di temperatura e ossigeno.

L’umanità ha prodotto oltre 8300 milioni di tonnellate di materie plastiche dal 1950. Secondo l’agenzia statunitense per la protezione ambientale, i programmi di riciclaggio hanno già allontanato centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti di consumo dalle discariche. Ma a partire dal 2017, la US Environmental Protection Agency ha riferito che solo circa il 30% dei rifiuti di plastica è stato riciclato, con grandi quantità che vanno ancora in discarica e sono scaricate in mare.

Se ulteriormente perfezionato e adottato a livello globale, questo nuovo processo ha il grande potenziale di far risparmiare tempo e denaro nel riciclaggio del PET, oltre a riuscire a deviare una maggiore percentuale di PET dalle discariche e dagli oceani

ha concluso LIU.

 

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