Isola di Pasqua: cos’è successo alla sua società?

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Rapa Nui, meglio conosciuta come Isola di Pasqua, con i suoi Maoi e alcuni misteri che non sono ancora stati risolti completamente è un’affascinante isola del Pacifico. Ecco una rassegna delle principali teorie scientifiche a riguardo.

Era il 5 aprile 1722, giorno di Pasqua di quell’anno, quando l’olandese Jacob Roggeveen, con una spedizione finanziata dai mercanti di spezie, metteva piede su un’isola del Pacifico sconosciuta agli europei.

L’esploratore, visto il particolare giorno in cui approdò in quell’isola, le assegnò, con non molta fantasia, il nome con cui è più nota ancora oggi.

Un’isola ricca di fascino e mistero: c’è ancora oggi dibattito riguardo la fine degli abitanti autoctoni.

Se ovviamente non c’è dubbio che le assurde teorie riguardo gli alieni, che divennero popolari grazie Erich von Däniken, scrittore che diede vita a molti miti pseudoarcheologici, siano infondate, non è altrettanto facile trovare un consenso scientifico su come siano davvero andate le cose.

 

 

La teoria dell’ecocidio non è più così probabile

Una storica teoria, portata avanti principalmente da Jared Diamond, divulgatore e geografo, è quella chiamata dell’ecocidio.

In breve: i primi esseri umani arrivarono sull’isola tra il 300 d.C. e il 1200. In pochi secoli svilupparono una società avanzata, capace di erigere i Moai, le incredibili statue che sono simbolo di quest’isola. Ma quest’ultima, grande solo 170 chilometri quadrati era un ecosistema fragile, che gli abitanti non sfruttarono in modo sostenibile. Per esempio, avrebbero tagliato tutti gli alberi proprio per spostare i giganteschi Moai, attirando su di loro la rovina. Lo stesso Jared Diamond nel suo best seller Collasso racconta che l’Isola di Pasqua

è l’esempio più chiaro di una società che ha distrutto sé stessa sfruttando troppo le proprie risorse.

Questa teoria negli ultimi anni è però stata smontata da nuove evidenze scientifiche.

In particolare tre anni fa, un gruppo internazionale di archeologi ha scoperto che i resti umani ritrovati mostrano che circa metà delle proteine presenti nelle diete delle antiche persone di Rapa Nui proveniva da fonti marine, mentre precedentemente si sosteneva che dal mare essi ottenessero pochissimo cibo.

Ma c’è qualcosa di ancor più interessante.

Sembra infatti, che il cibo terrestre che essi ingerivano provenisse da un terreno che sembrava essere arricchito artificialmente, in altre parole era probabilmente concimato con scarti organici di vario genere facendo questo pensare che la popolazione molto più edotta di agricoltura di quanto si potesse pensare.

Questa ricerca dipinge la storia di un popolo che fu in grado di adattarsi e sopravvivere in condizioni ambientali molto difficili e sembrerebbe quindi improbabile che ci fosse un ecocidio.

Spiega Carl Lipo del Binghamton di New York, uno degli autori dello studio:

Il popolo Rapa Nui era molto intelligente ed è quanto si evince guardando il modo con il quale utilizzarono le loro risorse. Tutto l’equivoco sulla distruzione ambientale del loro mondo si è creato dai nostri preconcetti, in particolare su quel che a noi sembra cibo di sopravvivenza, ma che per altri è sostentamento.

Le prove portate dagli archeologi sono incontrovertibili: la datazione al radiocarbonio dei resti vegetali e animali trovati sull’isola dicono che il terreno era ben coltivato fino all’arrivo degli europei nel XVIII secolo e che non è assolutamente vero che gli abitanti si diedero alla cattura dei ratti per farne cibo primario.

 

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La società di Rapa Nui convisse con gli europei per un po’

La società dell’isola di Pasqua non è crollata prima del contatto europeo e la sua gente ha continuato a costruire le sue iconiche statue Moai per molto più tempo di quanto si pensasse.

Questa la teoria di un team di ricercatori che appartengono a diverse università tra cui quella di Binghamton, e l’Università di Stato di New York.

 

L’isola di Rapa Nui è famosa per la sua elaborata architettura rituale, in particolare le sue numerose statue (Moai) e le piattaforme monumentali che le hanno sostenute (Ahu).

Una teoria ampiamente diffusa sostiene che la costruzione di questi monumenti sia cessata all’incirca intorno al 1600, a seguito di un grave crollo della società.

 

Ma Carl Lipo,uno degli antropologi che si è occupato della ricerca (tra l’altro lo stesso del lavoro sul cibo degli abitanti citato nel precedente paragrafo), afferma che:

La nostra ricerca supera questa teoria. Sappiamo, naturalmente, che se abbiamo ragione, dobbiamo davvero sfidare noi stessi (e la documentazione archeologica) per convalidare i nostri argomenti. In questo caso, abbiamo pensato di esaminare attentamente il ritmo degli eventi di costruzione associati alle grandi piattaforme.

I ricercatori hanno esaminato le date con la tecnica del radiocarbonio, la relativa stratigrafia architettonica e i conti etnostorici per quantificare l’inizio, la velocità e la fine della costruzione del monumento come mezzo per testare l’ipotesi del collasso.

I ricercatori hanno scoperto che la costruzione di queste statue iniziò subito dopo la colonizzazione e aumentò rapidamente, tra l’inizio del XIV e la metà del XV secolo, con un tasso costante di eventi di costruzione che continuarono oltre il contatto europeo nel 1722.

Quello che abbiamo scoperto è che la popolazione ha continuato le costruzioni fino a un periodo successivo a quello dell’arrivo degli europei. Quindi dovremmo rigettare l’ipotesi del “crollo pre-contatto” perchè avremmo dovuto vedere tutte le attività di costruzione fermarsi molto prima del 1722.

Una volta che gli europei arrivarono sull’isola, ci furono però molti eventi tragici e documentati: malattie, alcune terribili e nuove per gli autoctoni come il vaiolo, omicidi, raid di schiavi e altri conflitti. Questi eventi erano del tutto estranei agli isolani ed ebbero, senza dubbio, effetti devastanti.

Eppure, il popolo Rapa Nui – seguendo pratiche che hanno fornito loro grande stabilità e successo per centinaia di anni – ha continuato le sue tradizioni molto probabilmente.

Carl Lipo inoltre sottolinea che:

Il grado in cui il loro patrimonio culturale è stato tramandato – ed è ancora presente oggi attraverso la lingua, le arti e le pratiche culturali – è piuttosto notevole e impressionante. Penso che questa resilienza sia stata trascurata a causa della narrazione del “collasso” e meriti invece riconoscimento.

 

 

 

 

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