L’industria dei fumetti in Italia è in un momento difficile, con l’emergenza coronavirus che ha dato un duro colpo all’intero settore entertainment: lo stop della distribuzione, i negozi chiusi, le fiere cancellate. Quali sono i possibili scenari futuri in Italia e all’estero?
La situazione che riguarda l’industria dei fumetti in Italia non è per nulla rassicurante. Nel segmento dell’entertainment e della cultura, nei quali rientrano i fumetti, l’emergenza coronavirus ha prodotto dei danni sicuramente notevoli e non trascurabili.
La situazione purtroppo è nota a tutti: con giusto un paio di eccezioni, le nuove uscite sono state completamente bloccate da parte di quasi tutte le case editrici e posticipate a data da destinarsi, lasciando spazio solo ad alcune pubblicazioni da edicola.
La cancellazione dei grandi eventi di settore ha di fatto fermato il ticchettio di una sorta di orologio che normalmente scandiva il tempo editoriale durante l’anno
Ovviamente anche la cancellazione (o lo spostamento) dei grandi eventi di settore ha di fatto fermato il ticchettio di una sorta di orologio che normalmente scandiva il tempo editoriale durante tutto l’anno, aspetto questo ampiamente discusso e sempre oggetto di osservazioni, visto che basare i piani editoriali sugli eventi può anche produrre effetti negativi sul mercato (il tipico intasamento di uscite post Lucca Comics, per intenderci).
Se guardiamo agli Stati Uniti la situazione è la medesima. Se è vero che non tutti gli Stati sono in lockdown, è un dato di fatto che il fermo di Diamond Comic Distributors abbia stoppato l’uscita dei fumetti in uno dei mercati più importanti e consolidati del globo.
Mercoledì 1 aprile è stato il primo mercoledì senza fumetti da tanto, tantissimo tempo. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale si continuò a distribuire fumetti in USA
Auspicando che l’attuale trend in calo dei contagi e delle vittime possa davvero portare ad una riapertura, quasi del tutto a regime, nel mese di maggio, comunque la situazione risulta complessa anche perché questo periodo non è stato indolore per nessuno.
Se le case editrici non fanno uscire i titoli, significa che tutta la filiera ne risente, dai distributori alle tipografie, passando per i servizi commerciali e di marketing, alla logistica e quindi i trasporti. Insomma ci siamo capiti: è il classico Jenga, dove se elimini un pezzo del sistema non è detto che tutta la struttura dell’industria dei fumetti in Italia regga.
In una situazione del genere, stando a quanto si può appurare dai numeri alla mano e dai dati di vendita che vengono comunicati quasi ogni giorno dalle strutture competenti, sembra che la voglia di leggere manifestata sui social e il bisogno di avere i propri fumetti gridato a gran voce non siano del tutto commisurate agli effettivi risultati di vendita.
Ecco, i numeri. Vale la pena ricordare alcuni significativi numeri che ci possono orientare nell’analisi che proveremo a fare di seguito e che inquadrano quella che è di fatto l’industria dei fumetti in Italia, in tempi “normali”.
In un paese che conta 60 milioni di abitanti possiamo trovare:
- Oltre 50 editori di fumetti;
- 250 fumetterie (qualcuno afferma molte di più, addirittura 400, ma il dato reale da considerare è più basso, visto che nel conteggio più elevato sono compresi dei negozi che non assomigliano a quella che universalmente consideriamo una “fumetteria”); in questo momento pochissime fumetterie riescono ad effettuare un servizio di acquisto online e consegna, in tutto in Italia sono circa una dozzina, stante quanto comunicato dai distributori.
- Oltre 6.500 librerie di varia, con la precisazione che in questo numero sono compresi anche esercizi commerciali non facilmente assimilabili al concetto di libreria, quanto più a cartolerie, cartolibrerie e negozi di articoli regalo, oltre ad esserci le fumetterie. Per essere più precisi, le librerie di catena e franchising oggi sono circa 1200 (Feltrinelli, Mondadori, Ubik, Giunti ecc.), le librerie indipendenti sono circa 850/900 (ma che purtroppo incidono percentualmente molto meno a livello di fatturato globale); le librerie oggi sono tutte chiuse, forse qualche servizio online è rimasto operativo tra le indipendenti ma purtroppo non ho contezza di ciò al momento.
- Infine sono 23.000 le edicole sparse sul territorio nazionale di cui circa la metà è rappresentata dai classici chioschi; il resto è inserito nei corner della grande distribuzione (supermercati), bar, stazioni, aeroporti ecc. Oltre 3.400 punti vendita sono già chiusi e moltissime altri fanno un servizio di mezza giornata.
Ovviamente una parte importantissima è rappresentata dalle piattaforme di e-commerce, prima su tutte Amazon, che da sola detiene circa il 30% delle vendite totali di libri nel mercato cosiddetto della “varia”, poi seguita da IBS e le emanazioni online delle grandi catene.
Amazon ha sospeso volontariamente la vendita di libri per circa due settimane per dare priorità ai beni di primaria necessità, salvo riaprire gli acquisti negli ultimi 6-7 giorni.
Niente novità, certo, ma almeno si possono ordinare i libri già usciti, che di questi tempi non è poco.
Al netto delle chiusure dettate dal periodo, i numeri italiani sono interessanti e danno l’idea di un mercato assolutamente capillare e florido, visti anche i bilanci di molte fiere comics e in generale la grande attenzione che negli ultimi anni ha caratterizzato il mondo della cultura pop.
Tuttavia i numeri che valgono davvero e che raccontano meglio la reale forma dell’industria dei fumetti in Italia, quelli delle vendite, suggeriscono una storia un po’ diversa. Non esistono solo gli Zerocalcare e i Gipi, non ci sono solo gli shonen manga super popolari che seguono il successo delle serie anime. Moltissimi fumetti per la verità non arrivano alla soglia delle mille copie vendute.
Se ne è discusso tanto nel corso del tempo e per quanto la “biodiversità” imprenditoriale sia utile, anzi per certi aspetti necessaria, la verità è che in Italia si stampa tanto, troppo, rispetto alle reali esigenze di mercato.
È triste affermare ciò ma sono davvero troppi i libri che raggiungono risultati di vendita modesti (anche a fronte di grande qualità dei contenuti).
Anche se ogni negozio ha una storia a sé dovuta in gran parte anche alle attitudini della proprietà e della gestione, in una fumetteria “normale” si arrivano a vendere anche 200 copie di One Piece a fronte di 20-25 copie di Batman spillato.
Anche se ogni negozio ha una storia a sé dovuta in gran parte anche alle attitudini della proprietà e della gestione, in una fumetteria “normale” si arrivano a vendere anche 200 copie di One Piece a fronte di 20-25 copie di Batman spillato.
Questo, unitamente al continuo calo delle edicole in Italia (si ipotizzava di arrivare a 15.000 punti vendita entro qualche anno, vedremo quali effetti sortirà l’emergenza coronavirus), ad esempio ha spostato notevolmente le pubblicazioni periodiche delle testate Marvel verso il mercato della fumetteria.
Questo non vuol dire che non si vendano fumetti in edicola. Basti pensare ai fumetti Bonelli (con un Tex ancora saldamente sopra le 100.000 copie), a Dylan Dog e a Topolino (oltre 30.000 copie per il periodico Disney), ma semplicemente si deve fare i conti con un dato di fatto:
In Italia si legge sempre di meno, in edicola, in libreria e persino nelle fumetterie.
Quando Dragon Ball fu pubblicato per la prima volta in Italia (era il 1995) e si sperimentò la “lettura alla giapponese” (a dir poco un azzardo per l’epoca) il titolo di Akira Toriyama arrivava a vendere 150.000 copie ad uscita. Il numero dovrebbe sorprendervi perché al tempo leggere manga non era popolare e neanche socialmente diffuso. Questo fotografa l’industria del fumetto in Italia nello scorso millennio. Un fumetto d’importazione, quando di particolare successo, normalmente vendeva sulle 30.000 copie (lo dicevano i Kappaboys in un post di un anno fa circa.
https://www.facebook.com/kappalabedizioni/photos/2264370863626765
Questo è importante per sottolineare il fatto che non ci sono più i numeri di una volta e se da una parte la cosa è da attribuire a molti fattori culturali e sociali (da cui la sensazione di svogliatezza riguardo la lettura che si percepisce), di certo, in parte, la questione è anche imputabile ad una sovrabbondanza di offerta che va a decrementare le vendite del singolo, modificando sensibilmente la percezione che si ha dell’industria dei fumetti.
Ecco perché il mercato del fumetto sta passando decisamente un brutto quarto d’ora.
Un mercato come italiano che già vede delle sparse e conclamate criticità oggi si trova nel mezzo di una crisi senza precedenti, con un occhio al calendario e uno al conto in banca. E questa cosa coinvolge tutti: editori, distributori, commercianti e ogni altra azienda connessa della filiera.
Ad oggi non c’è una data di riapertura dei negozi, quindi anche le case editrici faticano a capire come si evolverà la situazione, sospendendo i lanci delle novità (ripeto, ad esclusione di realtà come Bonelli che per i propri periodici hanno come riferimento l’universo edicola, l’unico esercizio commerciale ora aperto) e trovando come possono soluzioni alternative, a volte improvvisate (e non si può certo farne una colpa).
Non pensiamo però che una volta cessata la quarantena la ripartenza sarà facile.
C’è già un disallineamento di alcuni titoli che non sono usciti in fumetteria/libreria, ma solo in edicola o negli e-shop delle case editrici e si rischia un fenomeno di particolare intasamento, proprio nel momento in cui le disponibilità economiche dei commercianti (e non solo) sono ridotte e di parecchio.
Questo si traduce in inevitabili sacrifici, specie dei cosiddetti “titoli minori” e in difficoltà estremamente amplificate per tutto il settore.
Se un editore decide di vendere i suoi prodotti nel proprio e-shop, non facendo uscire lo stesso in edicola / fumetteria / libreria / e-commerce andrà sicuramente incontro ad un calo di prestazioni estremamente determinante che traccerà il futuro prossimo dell’industria dei fumetti in Italia.
Ricordiamoci che le vendite di un titolo vanno a braccetto con la diffusione capillare dello stesso: più posti occuperai sugli scaffali delle librerie e più copie potenzialmente saranno vendute, è un principio commerciale vecchio come il cucco ma sempre vero.
Se si privano alcuni canali di determinati prodotti è normale che questo possa avere delle conseguenze future, anche di fronte a prodotti di grande popolarità. Ma mi rendo anche conto che un editore, come qualunque altra azienda, debba pur fatturare qualcosa per sopravvivere.
Come si sarebbe potuta evitare quindi questa condizione, ammesso che ci sia una soluzione?
Per analizzare la situazione fumetti in Italia, mi è sembrato importante pensare al modello americano Comic Hub.
Il Modello Comic Hub
Negli Stati Uniti la data di mercoledì 1 aprile sarà probabilmente ricordata negli anni: è stato il primo mercoledì senza fumetti da molti anni a questa parte. Questo non significa che le case editrici si siano fermate, ma che il principale distributore nazionale, Diamond, ha interrotto la propria attività, per far fronte all’emergenza corona virus e alla lotta per arrestare il contagio.
I comics non si erano fermati nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale (essendo un conflitto che si è combattuto fuori dai confini statunitensi); di certo la cosa fa riflettere.
Nelle ultime settimane era tornato prepotentemente alla ribalta Comic Hub, un sistema interessante di espansione e distribuzione di fumetti digitali che, stante l’emergenza, sarebbe potuto essere molto utile.
Ve lo spiego in breve, facendo il riassunto del riassunto: i fumetti sarebbero continuati ad uscire secondo le normali scadenze e i lettori li avrebbero potuti acquistare normalmente dalle proprie fumetterie; anziché ricevere o ritirare la propria copia fisica, per il tempo dell’emergenza, sarebbero stati forniti gli anticipi digitali degli stessi, per poi poter ottenere la propria copia fisica nel momento in cui le cose fossero tornate alla normalità.
In questo modo una parte dei flussi di cassa sarebbe rimasta (o quantomeno non decimata), permettendo al settore di alimentarsi e di alimentare una parte di filiera ad esso connessa.
Al ritorno all’operatività ci sarebbero stati i fondi per procedere con le operazioni di stampa e successiva distribuzione garantendo un più naturale e forse sereno ritorno a regime.
Sulla carta l’idea sembra davvero buona. E invece è saltato tutto.
E non solo – come potreste pensare – per colpa dei “cattivissimi” editori, ma anche (e forse soprattutto) dei commercianti stessi che hanno visto nella proposta digitale, seppur temporanea, una seria e concreta minaccia al proprio business.
Ecco l’elefante nella stanza di cui si parla spesso e che poi forse tanto elefante non è: il fumetto digitale.
Quella che è una realtà ben accolta nel sempre iper tecnologico e avanzatissimo Giappone e che ha conquistato sempre più spazio tra il pubblico (nel 2017 il fumetto digitale ha superato per ricavi quello cartaceo, conquistando 170 miliardi yen contro i 166 miliardi di yen della controparte cartacea), negli Stati Uniti e in Italia non pare affatto “minacciosa”. Anche se le attrattive non sono poche (avete mai dato un’occhiata a Marvel Unlimited?)
In Italia tantissimi leggono le “scan”, specie dei manga più popolari, eppure le vendite dei titoli giapponesi sono ancora ai vertici delle classifiche sia delle librerie che delle fumetterie, complice una diffusa cultura di procurarsi fisicamente il manga che si è letto poco prima davanti allo schermo.
Le case editrici che propongono i formati elettronici dei propri fumetti non sono molte e parliamoci chiaro, il pubblico chiede la carta, meglio se in edizione anche di pregio.
Non è un caso se si sia imposta una produzione così alta di cartonati (case editrici come Bao Publishing e Panini Comics praticamente hanno del tutto abbandonato la produzione dei più economici brossurati) e che soprattutto il mercato della libreria di varia sia quantomai goloso di grossi volumi riempi-scaffale.
Certo se lo chiedete a me, visto che ho la consapevolezza della fine che fanno certi fumetti spillati/brossurati/bonellidi nel corso del tempo, se un titolo mi interessa particolarmente, sono il primo a ricercare la miglior edizione possibile e la più duratura.
In tutto questo discorso, limitatamente in Italia, sembra davvero difficile che la diffusione del fumetto digitale – specie se limitatamente nel tempo per sopperire alle restrizioni di un periodo a dir poco eccezionale – possa arrivare seriamente a minacciare la produzione dei fumetti cartacei.
Vi prego, non facciamone ora una questione ambientale. Pur consapevole del problema non ho le competenze per poter valutare l’impatto della produzione cartacea e non ritengo sia questo l’ambito giusto per affrontare questo seppur importante dibattito.
Tanto è scontato: di certo in futuro si arriverà ad eliminare del tutto la carta e usufruiremo di contenuti only digital. Quando questo avverrà è tutta un’altra faccenda.
Il pensiero va alle centinaia, migliaia, decine di migliaia di posti di lavoro coinvolti da questa crisi.
Esiste una possibile soluzione?
Il numero di uscite fumettistiche italiane, seppur elevato rispetto ad un mercato di lettori non veramente così vasto, se opportunamente gestito nei diversi canali di distribuzione e vendita, poteva essere oggetto di un’operazione come quella di Comic Hub proposta negli Stati Uniti?
Continuo a chiedermelo, ci sto rimuginando sopra da giorni. Il fatto che sia saltato tutto in America non significa necessariamente che sarebbe potuto saltare anche qui. Il problema è che qui in Italia neanche ci abbiamo pensato a compiere un’operazione generale.
Sicuramente l’iniziativa non sarebbe priva di complicazioni, primo fra tutti l’aspetto logistico di dover distribuire oltre un mese di pubblicazioni (nelle aspettative migliori) in un unico periodo concentrato.
Questa è una difficoltà palese e un buon motivo di discussione ma di fatto il problema si porrà comunque nel momento in cui si tornerà a lavorare, cercando di arrivare gradualmente a regime, se non ci sarà un accordo chiaro tra tutti gli editori, distributori e commercianti, facendo finalmente dialogare il canale fumetterie con quello della varia e cercando di migliorare la situazione dei fumetti .
Ma come avrebbe reagito il popolo dei lettori italiani ad una tale iniziativa? E in caso affermativo come starebbero oggi gli editori e i commercianti di fumetto se avessero potuto contare su un flusso di entrate anche in questo periodo così difficile?
Ne abbiamo parlato a lungo nell’ultima puntata di Nerdvana e varie volte a Il Trono del Re su quello che avverrà nei prossimi mesi di un 2020 pieno di incertezze. Non sappiamo se e come si potranno organizzare i grandi eventi legati alla pop culture, figuriamoci quelli medio-piccoli, molti dei quali rischiano di sparire dalla mappa.
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Già il danno economico provocato dalla mancanza di eventi nel periodo primaverile avrà degli strascichi , se si aggiunge il fermo della distribuzione e le chiusure ancora fino a data a destinarsi, c’è la concreta possibilità che diverse realtà (sia editoriali, che di vendita o di distribuzione) possano addirittura non farcela.
Riassumo per punti:
- Alcune piccole case editrici, i cui bilanci sono estremamente basati sulla presenza agli eventi e le relative vendite, potrebbero chiudere o vedere enormemente ridimensionato il proprio business;
- Alcuni eventi territoriali di piccole dimensioni potrebbero scomparire, trasmettendo il danno anche agli espositori locali che si troverebbero minori fonti di guadagno;
- In generale potrebbero uscire meno fumetti.
Abbiamo detto che tanti fumetti purtroppo non arrivano nemmeno a vendere 1.000 copie
E quindi torniamo al punto di partenza. Questo scenario particolarmente allarmante è così negativo se calato sulla situazione di un paese dove si fa uscire troppa roba da leggere? Vale tanto per i fumetti quanto per i libri di qualsiasi genere. Le cose da leggere non sarebbero mai troppe, ma se vengono stampate per poi finire al macero in grandi quantità un paio di anni dopo, la domanda è tutto sommato legittima.
Abbiamo detto che tanti fumetti purtroppo non arrivano nemmeno a vendere 1.000 copie (diciamo anche 500, dai); potrebbe esistere un mercato italiano del fumetto dove convivono le uscite cartacee con quelle digitali, in base alla portata delle stesse?
Immaginate uno scenario in stile Marvel: ci sono i blockbuster che vanno al cinema e diventano poi dei contenuti home video in vari formati, le serie top, create per le grandi piattaforme streaming, con notevoli budget, ma esistono anche le produzioni più piccole, a volte anche estremamente preziose, che sono destinate alla piattaforme streaming minori (come certi cartoni animati, giusto per fare un esempio).
Non so voi, ma preferisco cambiare le mie abitudini di lettura in determinanti contesti, piuttosto che vedere sparire certe realtà per sempre.
Continuo a ripetermi che il modello Comic Hub, se adottato temporaneamente, sarebbe potuto essere di grande aiuto a questo settore.
Da addetto ai lavori sono piuttosto colpito dall’assenza di una centralità, di una volontà unica e corale del settore nel cercare di far fronte comune ad una crisi che coinvolge tutti senza mezzi termini.
È un po’ come ha detto Antonio Moro quando ha lanciato la sua provocazione in ambito festival e manifestazioni di cultura pop, riguardo alla realizzazione di eventi digitali, al posto degli eventi fisici, qualora ci sia l’impossibilità di realizzare quest’ultimi.
Per quanto io sia di una posizione diversa rispetto quella di Antonio (e anche di un certo ottimismo che mi ripeto ogni mattina come un mantra) capisco perfettamente il principio con cui ha lanciato la sua provocazione: è oltremodo complicato, ma non varrebbe già la pena pensare a qualcosa di alternativo, tutti assieme, quando c’è il tempo per farlo, piuttosto che trovarsi separati e senza nulla in mano quando ormai sarà troppo tardi?
Se per gli eventi la cosa è abbastanza difficile da immaginare (visto che si andrebbe a snaturare la natura aggregativa e di spettacolo degli stessi), per a situazione dei fumetti in Italia, forse, la cosa non sembra poi così assurda.
Probabilmente, mi rendo conto, è una visione sin troppo romantica, ma il futuro ci sta correndo incontro e noi dovremo avere le idee chiare per quando si arriverà al dunque.
In tutto questo il 25 marzo, eufemisticamente a sorpresa, è stata inserita in Gazzetta Ufficiale (e quindi è entrata in vigore) la cosiddetta nuova legge sull’editoria che integra e sostituisce la precedente Legge Levi, che tra le tante cose introdotte (alcune positive) ha ridotto lo sconto normalmente applicabile sui libri al 5% (in precedenza era il 15%). Quindi tutti i casellanti delle fumetterie non potranno più avere lo sconto 15% e questo andrà a pesare nuovamente sulle tasche, già provate, dei lettori e sulla diffusione dei fumetti. Mi ci sono sforzato ma non sono riuscito davvero a vedere il lato positivo di questo aspetto e come questa legge oggi possa aiutare l’industria del fumetto. Credo sarebbe stato più corretto attendere quantomeno la fine di questa emergenza sanitaria, e invece no. Non me lo spiego, ma di questo ne parleremo in un altro contesto.
Amo i fumetti. Amo le fiere comics. Ho basato il mio lavoro e la mia vita su di essi e soffro nell’assistere a questa situazione.
Auspico un ritorno alla normalità a breve, sparando che per il mese di maggio si possa tornare nelle fumetterie, nelle librerie, lasciandoci alle spalle i brutti ricordi di questo periodo folle.
Si dice che da ogni crisi nascano delle opportunità. Vero. Ma sono anche convinto che le opportunità si creino con la determinazione.
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