La nostra recensione di Doom Eternal, il nuovo sparatutto id Software seguito dell’acclamato capitolo del 2016. Lo Slayer è tornato. 

C’è poco da nascondere, gli sparatutto Bethesda, dalle mani di id Software a quelle di Machine Games con Wolfenstein, hanno definito nuovi standard per il genere, quantomeno sul piano del gunplay. Per questo il mio lavoro sulla recensione di Doom Eternal è partito con grandi aspettative, forte pure appunto dell’ottima formula del primo capitolo. 

Tra l’incredibile musica da headbanging di Mike Gordon alla danza infernale di fasi shooting senza tregua, il reboot di Doom del 2016 è entrato con merito nel cuore assetato di sangue di molti, e sarete felici di sapere che – almeno per tutto ciò che riguarda lo shooting – Eternal raddoppia la posta in gioco e mantiene alla grande la stessa frenesia del predecessore. 

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L’ambizione di id Software nel volere fare esponenzialmente di più però è vistosa e si sposta non solo nel combattimento, ma anche nella progressione, nell’aggiunta di fasi platform, nella durata dell’avventura più che raddoppiata e via dicendo. Non è detto però che questo sia un bene, e l’ingordigia del volere offrire troppo finisce spesso per sbilanciare equilibri ben consolidati. 

E questo è anche il caso di Doom Eternal, un titolo ottimo nella sua categoria, sia chiaro, che verrà amato dai fan della serie, ma anche minato da idee implementate male o con pigrizia, sezioni riempitivo, qualche pretesa narrativa gestita male e una durata eccessiva che stenta a mantenere il ritmo forsennato necessario per la riuscita del tutto. 

Il Doom Slayer è tornato, e con lui la sua eterna lotta contro le forze infernali. Fuoco, fiamme, distruzioni planetarie, invasioni di massa; contro angeli e demoni, nulla potrà fermarlo.

 

 

Doom Eternal Crucible Blade

 

 

Il Doom Slayer è costretto di nuovo a sporcarsi le mani, non che gli dispiaccia, ovviamente

Doom Eternal parte poco dopo l’epilogo del primo capitolo, con il portale infernale su Marte chiuso e la Torre Argent, che alimentava un’umanità in piena crisi energetica, distrutta. In questo frangente di qualche mese la Terra è stata consumata in gran parte da una gigantesca invasione demoniaca, e quindi il Doom Slayer è costretto di nuovo a sporcarsi le mani, non che gli dispiaccia comunque, ovviamente. 

Dopo una intro del gioco iper-tamarra e semplicemente stupenda, il nostro furioso eroe si prende quindi la briga di uccidere i tre sacerdoti infernali alla guida dell’esercito nemico, ma la cosa potrebbe essere meno semplice di quanto si creda, ed una nuova scia di sangue, più ambiziosa ed imponente che mai, si apre davanti allo Slayer. 

Per quanto possa risultare complesso parlare di narrativa per una serie come quella di Doom, è impossibile non notare come qualche pretesa in fin dei conti ci sia in Eternal, non troppo nascosta tra azzeccati eccessi tamarri/non giustificati e diversi momenti perché sì. Doom Eternal sceglie visibilmente di approfondire con un lavoro di worldbuilding quanto appena accennato nell’episodio del 2016. 

Il gioco getta nell’azione senza cerimoniale alcuno

Il gioco tuttavia getta nell’azione senza cerimoniale alcuno, rimbambendo il giocatore con informazioni e riferimenti che a quel punto non può davvero capire, quando sarebbe bastata una breve scena d’intermezzo per riassumere gli eventi precedenti e accennare almeno alla premessa.

Se non volete completamente rimanere frastornati il mio consiglio è quello di leggere per bene le entrate del codex del gioco e ripassare almeno la trama del precedente, passando sopra la dispersività e la poca attenzione di Eternal nel presentare, scandire e descrivere un immaginario di per sé interessante.

Ovvio che non sia quello che si va a valutare in primis su un titolo simile, ma vista l’insistenza del gioco è più che giusto segnalarlo. 

 

 

Fatto sta che il Doom Slayer si trova stavolta a lottare non solo contro le fiamme dell’Inferno, di ogni forma e dimensione, ma anche contro una sorta di razza angelica, quella dei Maykr, alleatisi con i demoni per motivi all’inizio decisamente non chiari e in qualche modo legati al passato del guerriero.

Un uomo solo, armato fino ai denti, in cerca di sangue e morte, viene schiacciato quindi tra i due estremi delle dimensioni, elevando al quadrato la carneficina prevista e non facendo sconti a nessuno, tra mascelle spaccate, corpi smembrati, decapitazioni, esplosioni, motosega, lanciafiamme e chi più ne ha più ne metta.

La rabbia dello Slayer diventa la vostra

Sì, perché il gunplay di Doom Eternal al solito scavalla la perfezione del genere, garantendo un ritmo indiavolato che potrebbe portarvi a prendere a testate lo schermo del vostro televisore/monitor, momenti in cui si perde la cognizione del tempo, si entra nei panni dello Slayer e la sua rabbia diventa la vostra. 

 

Doom Eternal Central Europe

 

Il feeling delle bocche da fuoco, dei colpi, è praticamente perfetto

Il feeling delle bocche da fuoco, dei colpi, è praticamente perfetto (non che avessi dubbi), con il gruppo di armi del primo episodio che torna qui quasi intatto, con la Balista a sostituire il Cannone Gauss e con qualche differenza tra le singole mod, attivabili con L2 e legate alle modalità di fuoco secondarie. 

In questo, è semplicemente una manna l’aggiunta del rampino (considerato mod) alla doppietta, che permette di velocizzare il ritmo e accorciare le distanze – solo con i nemici – sia in direzione orizzontale che verticale, per poi colpire il malcapitato agganciato quando ancora in aria. 

Allo stesso scopo in questo ambito contribuisce lo scatto, che ha due cariche prima di andare incontro ad un brevissimo tempo di ricarica, e il pugno di sangue, attacco melee devastante, ma purtroppo non preciso, essendo assegnato alla pressione dell’analogico destro con cui si attivano le glory kill, le cruente e sadicamente creative celebri finisher di questo nuovo corso della serie. 

 

Doom Eternal Shooting

 

Parlando di glory kill, è giusto accennare a quanto in questo simposio di sangue id Software abbia cercato con successo di inserire degli elementi in un certo senso strategici. Oltre ad ammazzare in una sorta di trance invasata e accelerata da scatto e rampino vi troverete spesso a riflettere su quello che state facendo, tenendo sempre sott’occhio le risorse di corazza, salute e munizioni. 

Le glory kill infatti permettono il drop di salute, oltre che la ricarica del pugno di sangue; uccidere un nemico dopo averlo colpito con il lanciafiamme lascia armatura; una finisher con motosega (sottoposta a tempo di ricarica e/o taniche di benzina) fa ottenere munizioni. 

Un’infinità di volte ci si trova a ponderare la prossima mossa nel delirio che si muove a schermo, e anche il design dei nemici, strutturato spesso su punti deboli evidenti, va fortemente in questa direzione.

Colpire i lanciamissili del celebre Revenant lo rende quasi innocuo, sparare ai cannoni del grasso Mancubus porta a disarmarlo, e così via, con ogni nemico provvisto di intelligenza artificiale e moveset piuttosto diversi che richiedono differenti modalità di aggressione. 

 

 

Persino la varietà e la ricchezza del parco demoni è molto notevole, e contribuisce al climax che agevola il ritmo del gioco fino ai problemi del terzo atto, dal ritorno del celebre Aracnatron a quello dell’evocatore Archvile, passando per inediti come i maledetti tentacoli, il demone di supporto Carcassa e l’insidioso e sfuggente Flagellante. E questo senza considerare i vari pesi massimi che evito di anticiparvi e che sbarreranno con buona cattiveria il vostro cammino. 

Doom Eternal è senza dubbio inattaccabile su tutto ciò che riguarda lo shooting

Poi non manca certo qualche ingenuità, come l’implementazione imbarazzante della spada del Crogiolo (già anticipata dai trailer) e l’imprecisione già accennata del Pugno di Sangue, ma in generale Doom Eternal è senza dubbio quanto di più inattaccabile su tutto ciò che riguarda lo shooting. 

Il gioco nelle arene fa qualsiasi cosa per far sentire il giocatore una divinità vendicatrice senza limiti ed onnipotente, e anche al secondo livello di difficoltà (il normale), quello con cui ho giocato, ci riesce alla grande, mantenendo un grado di sfida sempre alto. 

Complice di tutto questo anche la colonna sonora di Mick Gordon, già compositore della incredibile musica metal del reboot del 2016, e che qui bissa con 3/4 brani che vi faranno venire voglia di prendere tutto a pugni e spaccare qualsiasi cosa vi capiti a tiro (magari evitate). La sete di sangue del gunplay di Doom è per il 50% merito delle tracce di Gordon, questo è più che chiaro. 

Non tutti gli accompagnamenti sono brillanti allo stesso modo (forse perché manca a riguardo l’effetto wow del primo capitolo), ma quelli che lo sono valgono il resto.

In Doom Eternal l’ondata di adrenalina e testosterone è assicurata per accompagnare i vostri folli massacri. 

Doom Eternal Arena

 

 

In tutto questo la progressione rimane a metà tra vecchio e nuovo, evolvendosi in gran parte da quanto già presente nell’apripista. 

Massacrando demoni nelle difficilissime ed eccitanti sfide Slayer (in arene con punti di accesso ben visibili) e in generale nel corso dei livelli si sbloccano punti arma, che migliorano le mod e sbloccano le sfide maestria per completarne il potenziamento. 

Le rune – già comparse nel primo episodio e stavolta sparse per i livelli –  hanno invece a disposizione un numero limitato di tre slot, e sono di certo l’elemento di personalizzazione che più impatta sulla fluidità del gameplay, tanto da essere immediate da notare e sfruttare una volta selezionate. Aumento della velocità dopo le glory kill, miglioramento del controllo dei movimenti in aria, e così via. 

Il sistema di progressione si è evoluto dall’originale con poca compattezza

Il resto dell’evoluzione del personaggio viene invece lasciato a token e oggetti ottenibili tra sfide missione ed esplorazione (minima) delle mappe, con un sistema che nel complesso dà tanto l’impressione di essersi evoluto dall’originale con poca compattezza. 

Un esempio chiaro a riguardo sono i Token Maestria, che alla fine del gioco permettono senza particolari cerimonie di bypassare le sfide maestria delle armi vanificando magari sforzi precedenti. Ancora sto cercando di capire la scelta di design dietro il loro inserimento. 

 

 

Grazie a scatto e arrampicate il level design guadagna invece una maggiore estensione e una maggiore verticalità, pur rimanendo comunque perlopiù lineare, anche se a primo impatto potreste pensare il contrario. 

Al netto del saliscendi i livelli di Eternal sono quasi sempre una linea dritta

Ci sono una manciata di situazioni più elaborate, ma al netto del saliscendi i livelli di Eternal sono una linea dritta, dal quale deviare un minimo giusto per prendere qualche punto o collezionabile, quasi sempre scontato ed immediato da trovare (l’apripista del 2016 era in questo più impegnativo). Visto l’essere un sequel, e vista l’aggiunta di scatto ed arrampicate mi sarei sinceramente aspettato di più. 

A proposito invece di scatto e arrampicate, queste sono alla base dell’aggiunta del platforming alla formula, inserito palesemente a mo’ di cuscinetto raffazzonato tra uno scontro in arena e l’altro. Specialmente all’inizio fasi simili sono fin troppo comuni, pretendono spesso di essere tecniche, anche con stretti margini temporali e spaziali tra salto, scatto, sparo e volteggi, quando in realtà il platform di Eternal ha tutto meno che qualche elemento di reale finezza o precisione. 

Quello che è a tutti gli effetti un elemento in sé e per sé anonimo del gioco viene fortunatamente perlopiù ridimensionato dopo le prime missioni, diventando più organico al resto e molto meno pedante. 

 

Doom Eternal Platform

 

Tuttavia, non è in gran parte per nessuna delle criticità sopra spiegate che il voto alla fine di questo pezzo non parla di vera eccellenza. Il vero problema di Doom Eternal è, paradossalmente, la sua longevità. 

Parlo di 4/5 ore di gameplay, tra poco più della metà del gioco e le scoppiettanti battute finali, dove il gioco ha tirato le cose talmente per lunghe che la progressione in pratica si arresta o quasi, la varietà di nemici si assesta e Doom Eternal si scontra con il peggiore nemico di uno shooter simile: la monotonia. 

Il fatto è che comunque anche il gioco stesso se ne rende conto, proponendo imbarazzanti momenti adventure (soprattutto frazioni subacquee che vorrei capire chi in fase di testing ha approvato), buttando sul piatto parentesi completamente narrative e introducendo la spada/Crogiolo, che viene usata relativamente pochissimo e ha zero integrazione nel mezzo del gunplay, oltre ad avere una resa tremenda.

Doom Eternal le prova davvero tutte per riavviare senza il carburante necessario il motore dell’eccitazione e dell’adrenalina, per tenere le redini del ritmo e raggiungere il tetto delle 20/22 ore necessarie al completamento dell’avventura. 

Doom Eternal Helmet

 

Le soluzioni scelte per alimentare la formula oltre le sue possibilità hanno una qualità altalenante che funziona a singhiozzo

La verità è che le soluzioni scelte per alimentare la formula oltre le sue possibilità hanno una qualità altalenante che funziona a singhiozzo, e l’unico momento in cui tutto riprende a brillare è nei pressi del finale vero e proprio, con i ragazzi di id Software che lasciano una volta per tutte il freno. Ogni limite viene infranto, e l’unica carta jolly del massimo mayhem viene finalmente utilizzata, esaurendo completamente la forza dello splendido sistema di combattimento con un’ultima esplosione. 

Peccato che anche in quel caso si tenda in alcuni casi a tirare troppo la corda e a non evidenziare quanto di migliore presente in Doom Eternal, e credetemi quando vi dico che lo scontro finale è davvero troppo lungo, con un utilizzo a dir poco eccessivo del Crogiolo, della cui meccanica già vi ho spiegato la mediocrità. 

Evito in ogni caso di andare troppo nel dettaglio, visto che mi/ci è stato chiesto di mantenere un certo riserbo su determinate fasi del gioco in sede di recensione. 

 

 

Doom Eternal

 

 

Se vi stavate invece preoccupando del versante tecnico, vi posso dire tranquillamente che il gioco gira ad una fluidità superba su PlayStation 4 Pro, con 60 frame per secondo granitici ed incrollabili; penso di poter contare sulle dita di due mani il numero di cali avuti durante tutta la mia prova. 

Il compromesso del gioco, che gira con la nuova, settima versione dell’idTech (il primo Doom e Wolfenstein II con la sesta) sta nel dettaglio minore specie sulla distanza, con una ridotta “profondità di campo” nelle zone aperte, in texture spesso poco definite, in modelli non sorprendenti (nemmeno quelli delle armi, che sono così vicine alla telecamera) e in illuminazione ed effettistica nella norma.

La fluidità tuttavia è davvero l’unico cosa da rendere prioritaria in un’esperienza simile, specie in ambito console, e in questo Doom Eternal va una meraviglia.  

Da notare tra l’altro un menù molto approfondito e sfizioso per impostare interfaccia ed esperienza, che vanta anche una serie di setting dedicati al daltonismo, cosa sempre ben accetta e apprezzata per chi – come me, anche se in minima parte – ne soffre.

 

DOOM Eternal

 

Altrettanto una meraviglia invece non è la direzione artistica del gioco, che alterna tre stili principali, il macabro infernale, l’asettico hi-tech e il fantasy/medievale di Argent D’Nur, con diverse contaminazioni. Manca insomma il momento wow vero e proprio, visto che si finisce per abituarsi velocemente all’impatto raramente notevole degli scenari di Eternal. 

Lo stupore e la meraviglia arriverà solo su uno dei livelli finali, il più artisticamente curato, anche per stacco rispetto al resto dell’esperienza, ma anche su questo preferisco anticipare il minimo possibile. 

I server per la modalità multiplayer Battlemode non erano attivi al tempo della nostra prova, quindi questa recensione fa riferimento esclusivamente alla modalità single-player. 

 

 

 

90
Doom Eternal, la recensione: fuoco e sangue in un massacro senza fine
Recensione di Simone Di Gregorio
ME GUSTA
  • Il gunplay è clamoroso, eccitante, fluido e ancora più dinamico
  • Ottima la vena "strategica" data a certi elementi del sistema di combattimento
  • La colonna sonora di Mike Gordon è l'accompagnamento perfetto
  • Grande varietà dei nemici, nel design e nell'intelligenza artificiale
  • 60 FPS granitici su PS4 Pro
FAIL
  • Il ritmo del gioco fa grandissima difficoltà nel reggere la longevità proposta di 20/22 ore
  • La pretesa di costruire un immaginario viene gestita con confusione
  • Level design guadagna in estensione e verticalità, ma rimane quasi sempre lineare e fin troppo accessibile
  • La direzione artistica stupisce raramente
  • Fasi platform anonime e imprecise, pedanti specie all'inizio