L’inquinamento luminoso non è sempre generato dalle città

Uno studio effettuato dall’astronomo Alex Altair ha rivelato che non sempre l’inquinamento luminoso è fatto di lampadine e luci urbane.

Sembra assurdo pensarlo, ma un terzo della popolazione mondiale non può vedere la via lattea a causa dell’inquinamento luminoso: questa alterazione dei livelli di luce presenti in ambiente notturno provoca innumerevoli danni ambientali, oltre che scientifici, culturali ed economici. Perché se una luce artificiale può andare ad influenzare anche processi che si basano proprio sul ciclo giorno/notte, forti luci capaci di alterare la cromia captata dall’occhio umano o dalle fotocamere portano problematiche meno gravi ma pur sempre tali.

L’astronomo Alex Altair, per togliersi il dubbio del perché un così forte inquinamento luminoso è presente in America, ha iniziato ad indagare sul fatto. Per prima cosa ha sfruttato la mappa creata da Jurij Stare, incrociando le informazioni con quelle captate dal VIIRS (Visible Infrared Imaging Radiometer Suite) e dal DMSP (Defense Meteorological Satellite Program).

 

 

Se infatti uno sviluppo urbano porterà sicuramente ad un’aumento della luce artificiale, nelle zone non sviluppate queste dinamiche non dovrebbero avvenire. Ha detto:

Certamente, la maggior parte dell’inquinamento luminoso proviene dalle città: lampioni, zone industriali, parcheggi. Alcune volte però, è qualcos’altro.

L’astronomo ha cercato nel suo Stato d’origine, il Maine, e ha scovato subito una fonte davvero intensa di luce in una zona senza case o altro. L’inquinamento, in questo caso, era generato da una serra, che nei periodi più carichi arrivava a riempire la zona di luci gialle, diventando in poco tempo la più grande zona di inquinamento luminoso dello stato.

Cercando altre zone “incriminate”, l’astronomo è finito a scoprire una parte del North Dakota con un’intensa attività luminosa, addirittura la più forte di tutta l’America. Sfruttando Google Maps, Altair è riuscito a vedere due cose: una mancanza totale di zone urbane, e la presenza di campi petroliferi. Quest’ultimi, infatti, tendono a dar fuoco ai gas per convertire il metano in CO2, riducendo i gas tossici e pericolosi.

A concludere la ricerca si uniscono all’insieme anche gli effetti naturali: nelle Hawaii, un vulcano chiamato Kilauea genera un forte inquinamento luminoso.

 

 

 

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